
Diamo a Ruini quel che è di Ruini e alla Chiesa quel che è della Chiesa

21 Febbraio 2010
Il bilancio dell’età ruiniana tratteggiato da Alessandro Gnocchi e da Mario Palmaro su Il Foglio del 18 febbraio scorso presenta molti aspetti di verità, ma pecca per eccesso: eccesso nell’attribuire al Cardinale Ruini tutto il merito per i successi ottenuti durante il suo lungo governo della Chiesa italiana (1986-2007), eccesso nell’attribuirgli tutte le responsabilità per gli insuccessi. Secondo i due autori, il cardinale Ruini avrebbe sconfitto il cattolicesimo democratico di origine dossettiana, ma non sarebbe riuscito a saldare centro e periferie della Chiesa italiana sicché sul piano dottrinale diocesi e parrocchie vanno ognuna per la propria strada. Il Progetto culturale, avviato da Ruini nel 1997, si sarebbe risolto in mille rivoli privi di una vera e propria anima.
C’è molto di vero in questa analisi, a cominciare dalla sconfitta del cattolicesimo democratico. Rimanere una chiesa di popolo, anche se in minoranza, riuscire a garantire una presenza pubblica della religione, non solo in occasione del referendum sulla legge 40 o del family day ma anche nel caso Englaro ed ora sulla sfida educativa, aver ribadito la linea che la religione cristiana non si riduce ad etica ma non può essere una religione senza etica … tutto questo ha chiuso ogni possibilità di sviluppo, almeno allo stato attuale, del cattolicesimo democratico con la sua netta separazione tra politica e fede, l’elezione della democrazia a valore assoluto e l’assolutizzazione della coscienza individuale. Hanno ragione Gnocchi e Palmaro a far rientrare in questo clima culturale anche la famosa “distinzione dei piani” di Jaques Maritain. Come se la natura fosse capace di provvedere pienamente a se stessa senza la sopranatura e come se la seconda – la sopranatura – si aggiungesse in un secondo momento e non fosse già presente fin dall’inizio a purificare la natura. Dimenticano però Il Contadino della Garonna, in cui l’ormai anziano Maritain una certa marcia indietro la fa.
Sulla sconfitta del cattolicesimo democratico bisogna però fare due osservazioni. La prima è che esso è ancora largamente presente sul campo, ossia nella società e dentro la Chiesa italiana. Certo la linea prevalente di questi ultimi anni è stata un’altra, ma la resistenza del progressismo è molto viva, e non solo tra gli esponenti politici del cattolicesimo democratico. Che la Chiesa debba solo accompagnare il mondo e non comunicargli una verità, che la pastoralità prevalga sulla dottrina, che basti la carità senza la verità sono idee ancora molto teorizzate sui libri, molto diffuse nella formazione diocesana dei laici, molto esposta nelle parrocchie. La seconda osservazione è che a garantire questa “sconfitta” sono stati più Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che non Ruini, il quale ha avuto il merito di allinearsi con i due pontefici. La svolta del Convegno ecclesiale di Loreto, che abbandonò la linea voluta da Padre Sorge al convegno ecclesiale di Roma su evangelizzazione e promozione umana, è stata inaugurata dal discorso di Giovanni Paolo II. Il rilancio della Dottrina sociale della Chiesa, le encicliche Evangelium vitae, Fides et ratio, Veritatis splendor, che fanno piazza pulita dei presupposti teologici del progressismo sono di Giovanni Paolo II. A dire che l’annuncio della verità cristiana non è arroganza, ideologia o integralismo in quanto mostra all’uomo e al mondo la risposta alle loro più profonde attese, da cui il “diritto di cittadinanza” della Chiesa nella società e la conferma che “non esiste soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo” è stato Benedetto XVI al convegno ecclesiale di Verona del 2006. Ruini ha battuto questa stessa strada, quella decretata dalla famosa Nota della Congregazione della dottrina della fede del 2002 sui cattolici impegnati in politica, che continua però ad essere baypassata dall’ala progressista.
Per questo mi sembra che Gnocchi e Palmaro abbiano forse sopravvalutato il ruolo di Ruini. Come, ugualmente, lo hanno sopravvalutato per i suoi insuccessi. E’ vero, molti nella Chiesa italiana si smarcano dalla linea di Ruini e dagli stessi insegnamenti del Papa. Ci sono molti antipapi nella Chiesa italiana, sia che si tratti di cardinali, di vescovi, di priori di comunità, di teologi, di presidenti di grandi istituti sanitari e di ricerca o di direttori di settimanali cattolici. Nei nostri Studi teologici si insegna di tutto e trovare qualcuno all’Università Cattolica di Milano che parli di Agostino o Tommaso è impresa difficoltosa. Gli appuntamenti periodici, come per esempio le Settimane sociali, non dettano una linea, ma si accontentano di costituire un tavolo per le diverse anime del cattolicesimo italiano. Questo è vero e si può dire, con Gnocchi e Palmaro, che ci sia un deficit nel trasferimento della dottrina del vertice alla periferia. Ma ci si chiede se questo sia tutta colpa del cardinale Ruini e rappresenti un difetto intrinseco alla sua gestione e se veramente egli avrebbe potuto fare di più. Il Progetto culturale ha concesso troppo alla cultura-spettacolo e si è frammentato in mille micro-progetti … però il convegno romano su "Dio oggi" ha indicato una strada di non ritorno.
Al referendum sulla legge 40 si doveva puntare sul “no” in modo da evitare che quella legge diventasse nell’opinione pubblica una legge cattolica compromettendo così il risultato della consultazione? Il cardinale Ruini può sostituire a suo piacimento i vescovi italiani? Le nomine le fa la Santa Sede e un ruolo molto importante è svolto dal Nunzio in Italia. Se non tutti i risultati sono arrivati, è perché molte altre forze non hanno fatto il proprio dovere e non solo al centro ma anche nelle periferie. Almeno però la linea è tracciata e se la sua realizzazione ha conosciuto e conosce sfilacciamenti e sbavature, il cattolicesimo italiano ha assunto una direzione. Nei tremendi anni Sessanta tre pensatori avevano visto giusto: Del Noce con "Il problema dell’ateismo", Maritain con "Il contadino della Garonna" e Ratzinger con "Introduzione al Cristianesimo". Ruini è ripartito da lì.