Dieci giorni di vertici sul disarmo nucleare. Ma si prepara la guerra

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Dieci giorni di vertici sul disarmo nucleare. Ma si prepara la guerra

19 Aprile 2010

Negli ultimi dieci giorni abbiamo assistito a una “guerra di vertici” sul disarmo nucleare. Il summit sulla sicurezza nucleare voluto da Obama a Washington, quello inaugurato sabato scorso a Teheran dal Presidente Ahmadinejad. Il primo un incontro fra i Paesi che contano, destinato a passare alla Storia ma senza incidere particolarmente su di essa, il secondo un evento di più modeste dimensioni che ha suscitato curiosità, sospetti e più di una perplessità. Da una parte abbiamo una superpotenza atomica che vuole il disarmo e promette di colpire chi dovesse dotarsi di armi nucleari, dall’altro chi dice di non possederle, probabilmente ha la possibilità di entrarne in possesso in tempi brevi e rivendica l’uso del nucleare per scopi civili. Sembra di assistere a una commedia degli equivoci in cui gli attori si accusano reciprocamente di minacciare la sicurezza del pianeta, nascondendo le loro reali intenzioni dietro la prammatica delle relazioni internazionali e le esigenze di propaganda interna.

Così agli ideali del disarmo di Obama (annacquati dal più prosaico accordo con Medvedev) si sovrappone la retorica menzognera dell’Iran, che chiede lo scioglimento della AIEA e la creazione di un nuovo organismo per la non proliferazione nucleare, da cui sarebbero esclusi i Paesi dotati di armi nucleari. A Washington viene presentato come un “successo” un vertice che ha spinto alcuni Paesi, Ucraina, Canada, Cile, ad annunciare una riduzione dei programmi di arricchimento dell’uranio, anche se il principale pericolo alla sicurezza internazionale, l’Iran, non era presente al tavolo dei negoziati. Russia e Cina, si dice, valutano la proposta di nuove sanzioni contro il programma nucleare iraniano, ma nello stesso tempo i loro rappresentanti non disertano il vertice di Teheran, attenti a non perdere i vantaggi scaturiti dal “dialogo” con i mullah.

Dietro la parata di buoni propositi si addensano nubi di guerra. Nelle settimane scorse Obama aveva teso la mano a Damasco, nella speranza di convincere la Siria a interrompere le sue forniture di missili ai terroristi di Hezbollah; per tutta risposta, il Presidente Assad ha fatto arrivare una nuova scorta di missili Scud al gruppo sciita libanese. I Katyusha di Hezbollah, usati anche durante il conflitto tra Libano e Israle del 2006, sono in grado di raggiungere e colpire Tel Aviv, con una capacità di penetrazione di oltre 400 miglia nel territorio dello stato ebraico. Mentre il re giordano mette in guardia da un eventuale nuova guerra estiva, il segretario di Stato Gates fa sapere che, secondo lui, agli Usa manca una politica di lungo termine per il contenimento dell’Iran nucleare e che l’amministrazione dovrebbe studiare alternative, comprese quelle militari, se la diplomazia dovesse fallire. Il commento di Ahmadinejad: “Il regime sionista è un microbo corrotto impegnato sulla strada che porterà alla sua caduta”. I Paesi occidentali devono “mettere da parte il loro militarismo e smetterla di sostenere un regime omicida”.

E’ lo spaccato dell’era nucleare prossima ventura, in cui Stati di piccole dimensioni, ma sempre più aggressivi in ascesa, non potranno essere più controllati dai Grandi, dai “Cinque” del Consiglio di Sicurezza, diventando una minaccia costante alla sicurezza internazionale (Ahamadinejad ha anche proposto di eliminare il potere di veto del consiglio onusiano). L’esplosivo Pakistan, la Corea del Nord, o l’Iran che già si offre di fornire la propria tecnologia al Sudan, sono alcune di queste minacce. C’è poco da rallegrarsi se il Canada decide di ridurre il suo stock di uranio arricchito. Non era certamente questo il problema.