Dieci giorni per cambiare la legge elettorale ma l’accordo ancora non c’è

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Dieci giorni per cambiare la legge elettorale ma l’accordo ancora non c’è

10 Luglio 2012

Dieci giorni. E’ il tempo assegnato ai gruppi parlamentari per mettere nero su bianco un testo base. Ma quello che manca ancora non è tanto una data in agenda, quanto un accordo politico che sblocchi il tira e molla di queste settimane. Al Senato in Commissione Affari Costituzionali ci lavorerà un comitato ristretto per poi portare il dossier in Aula. La riforma del Porcellum resta lo spartiacque anche per comprendere gli scenari futuri, alleanze, posizionamenti e tuttavia c’è da sciogliere il nodo – trasversale – delle tante perplessità e distinguo tra e nei partiti della ‘strana’ maggioranza di Monti. Col Prof. che proprio ieri ha ribadito il suo no a un Monti-bis.

Se le istituzioni rispondono alla sollecitazione di Napolitano e le forze politiche si dicono, ciascuna per propria parte, pronte anche oggi al confronto, la situazione di stallo fa presupporre che tutto sia ancora in salita. Perché il problema è e resta tutto politico. Nel Pdl si ragiona sull’ipotesi di un sistema proporzionale con preferenze e premio di maggioranza al partito ripartito in una percentuale non superiore al 10 per cento. E’ su questo che ieri lo stato maggiore del partito ha ragionato con Berlusconi nel vertice notturno a Palazzo Grazioli. Il Pd, invece, di preferenze non vuol sentire parlare e sposta al 15 per cento la soglia del premio di maggioranza. Ma pure all’interno dei principali partiti non mancano perplessità e resistenze.

Anzitutto sul capitolo preferenze che nelle ultime ore ha ripreso vigore nel dibattito politico. Le dichiarazioni di Cicchitto in questo senso non sono passate inosservate. L’altro tema sul tavolo è il premio di maggioranza ed è qui che si dovrà verificare se vi sono le condizioni per un’intesa. Se il Pd non cede – è il ragionamento negli ambienti pidiellini –  su un premio meno sostanzioso e da assegnare al partito o alla lista che ha preso più, non alla coalizione, il Pdl non è orientato a mediazioni sulle preferenze. E c’è perfino chi si dice convinto che alla fine dei giochi si vada al voto col Porcellum senza modifiche. Lo ribadiscono numerosi deputati pidiellini che accusano i democrat di giocare a melina per non cambiare nulla, contando sul favore dei sondaggi che li danno vincenti. Accusa che a Largo Nazareno rispediscono al mittente sottolineando che è il Pdl a perdere tempo perché in questa fase svaforito dai sondaggi.

Nell’inner circle berlusconiano si parla di un Cav. da sempre restio al ritorno delle preferenze come del resto molti dei forzisti della prima ora, mentre tra gli ex An l’eventualità viene sollecitata (vedi Meloni) eppure consapevole del fatto che la scelta del parlamentare da parte dei cittadini sia lo strumento più efficace per restituire loro voce e peso, e dunque per riconquistare appeal su quella parte di elettorato di centrodestra deluso e indeciso. Come a dire: se la gente vuole scegliere i propri candidati noi non possiamo fare orecchie da mercante. Nel pallottoliere delle incognite c’è poi la questione del semipresidenzialismo su cui lo stesso Alfano e il Cav. continuano a investire (politicamente). Non c’è dubbio che se la riforma passasse, non ci sarebbe bisogno di tornare alle preferenze dal momento che i i cittadini possono esprimersi direttamente sul Capo dello Stato. Ma in questo caso molto dipenderà dall’accordo, peraltro tutto da costruire, con la Lega. Contatti in questo senso ci sono da giorni tra Alfano e il neo-segretario Maroni il quale non ha nascosto una certa senibilità  sulle preferenze. Un ritrovato asse con il Carroccio potrebbe agevolare in Senato l’approvazione del semipresidenzialismo ma è chiaro che la contropartita politica dovrà giocarsi sul fatto che nella riforma della legge elettorale si tengano in debita considerazione le richieste dei lumbard.

Infine c’è il fronte dei filo-montiani. Pure qui trasversale: nel Pd sono una quindicina i parlamentari propensi al Monti-bis, un governo di larghe intese per portare avanti le riforme che servono per far uscire il paese dal cono d’ombra della crisi. Al di là del partito filo-montiano per definizione – quello di Casini – anche nel Pdl –  soprattutto tra le nuove leve della classe dirigente – si guarda con favore allo scenario. Per contro, ci sono le resistenze degli ex aenne che minacciano scissioni rispetto all’idea di governare col Pd.

Una partita a scacchi. Dall’esito ancora molto, troppo incerto.