Dietro al caos anti-Wade in Senegal c’è anche il rischio integralismo islamico

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Dietro al caos anti-Wade in Senegal c’è anche il rischio integralismo islamico

04 Febbraio 2012

 Il Senegal è stato per molto tempo descritto come isola felice dell’Africa occidentale, ma ora quest’immagine si sta incrinando. E a ragioni veduta, dato il crescente caos politico. La causa è la decisione della Corte costituzionale di permettere al presidente uscente, l’85enne Abdoulaye Wade, di ricandidarsi per la terza volta. C’è chi parla di colpo di Stato.

La popolazione si è riversata per le strade a protestare e vi sono stati numerosi scontri con la polizia: gas lacrimogeni, roghi e banchi dei mercati rovesciati. Secondo la stazione radio locale Rfm, un uomo è morto nella capitale Dakar, investito da un blindato, e il sito al-Arab on-line riferisce di altri due sono manifestanti uccisi dalla polizia. L’intenzione era quella di marciare sul palazzo presidenziale (“Palazzo! Palazzo!”, gridavano). Il capo della polizia, Harona Sy, pur confermat la morte del manifestante a Dakar, ha negato l’uccisione del manifestante da parte degli agenti. Durante gli scontri un poliziotto è stato peraltro lapidato dai dimostranti.

La rielezione di Wade è incostituzionale – lamenta un pezzo dell’opposizione e dell’opinione pubblica – dal momento che la Costituzione è stata cambiata abbassando a due i mandati presidenziali, proprio dopo la prima nomina dell’anziano presidente nel 2000. Di opposto avviso naturalmente quest’ultimo e la Corte, per cui tale limite non riguarderebbe lui.

Attualmente il capo dello Stato senegalese sta concludendo il suo primo mandato e il 26 febbraio potrebbe iniziare il suo secondo in caso di vittoria. Con in testa il movimento del 23 giugno (M23, data in cui Wade ha cercato di cambiare il testo costituzionale introducendo la figura di vicepresidente, in modo da favorire suo figlio Karim e spianargli la strada per la successione), i leader dell’opposizione, nonostante le rassicurazioni iniziali di Abdoul Aziz Diop, portavoce di M23, hanno promesso una massiccia rivolta popolare se il presidente uscente dovesse ripresentarsi alle elezioni. Un membro del movimento, Alioune Tine, attivista dei diritti umani, leader di Raddho (Rencontre Africaine pour la defense des droits de l’homme), è già finito in carcere. 

Anche il cantante Youssou N’Dour, 50 anni, noto anche in Italia, candidato ed escluso dalla corsa elettorale per “non aver raccolto un numero sufficiente di firme”, ha fatto sentire la sua voce per denunciare la decisione della Corte costituzionale: “Il Senegal si vergogna. Il Senegal è ferito. Cinquantadue anni di democrazia sono stati spazzati via”, ha dichiarato. Egli stesso è stato malmenato dalla polizia. Dall’alto della sua popolarità anche nel proprio Paese (è proprietario di un gruppo editoriale, Futurs Médias, di cui fanno parte il quotidiano L’observateur, una radio e una tv), N’Dour ha detto: “Faccio appello a tutte le forze vive di questo Paese, ai nostri fratelli africani, alla comunità internazionale affinché esprimano il loro disaccordo contro questo colpo di Stato costituzionale. La lotta continua perché Dio è dalla parte dei giusti”. 

In effetti la situazione dello Stato africano desta preoccupazioni anche nel Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-Moon, il quale ha esortato alla calma i vari partiti politici in nome della “tradizione democratica del Senegal”. Già l’anno scorso però c’è stato un arresto illustre durante una manifestazione anti-Wade: il rapper Thiat, leader del movimento giovanile Y’en a marre (“Ne abbiamo abbastanza”), il quale in questi giorni ha affermato: “Noi passeremo all’azione”. Dello stesso avviso altri attivisti, che hanno aggiunto di essere disposti a compiere “qualsiasi sacrificio”.

La preoccupazione cresce anche anche in seno al governo di Francia, l’ex potenza colonizzatrice, che ha espresso rammarico sia perché non tutte le “sensibilità politiche” possono correre alle presidenziali senegalesi, sia per i molti arresti e le aggressioni subiti dai rappresentanti dell’opposizione.

Anche oltre oceano, negli Stati Uniti cresce la preoccupazione. Il vice segretario di Stato americano William Burns ha detto chiaramente che “la decisione di Wade di insistere per il terzo mandato può mettere in pericolo la democrazia, lo sviluppo e la stabilità del Paese”. Infine Pierrè Sanè ex segretario generale di Amnesty International e membro del partito socialista senegalese ha ricordato sul quotidiano Le Monde come i sospetti di brogli avessero coinvolto Wade nel 2007 e che l’anziano presidente non è “mai riuscito a diventare un vero statista”, preferendo un “potere eterno in spregio alla costituzione”. “Come può pensare di governare senza legittimazione costituzionale e popolare, di affrontare un Paese diviso, attanagliato dagli effetti della crisi mondiale e dal malcontento sociale, dalla sfida dei giovani e dei sindacati, dall’intensificazione della guerra in Casamance (al sud del Paese)”, si è chiesto Sanè. “Senza contare le lotte per la sua successione. E tutto questo a 90 anni? Patetico”.

Si profila insomma anche in Senegal una rivoluzione come quella che ha spazzato via diversi pluridecennali regimi nordafricani? Non è da escludere, anche perché, oltre alle forze politiche democratiche che si oppongono a Wade guidando le proteste di questi giorni, il presidente uscente ha contro di sè gli integralisti islamici, com’è avvenuto per i dittatori scacciati durante la “primavera araba”.

Nel 2010 le proteste degli integralisti islamici in Senegal hanno riguardato persino una statua voluta dal presidente Wade: il “Monumento della Rinascita Africana”, alto 52 metri, più della Statua della Libertà. Se da una parte l’uomo muscoloso che esce da un vulcano tenendo su una spalla un bambino, guardando in segno di sfida l’Occidente, mentre dall’altro lato, più in piccolo, c’è una donna adorante, ha incassato accuse di “rivoltante sessismo” e critiche per l’enorme dispendio di denaro che ha comportato la sua realizzazione, dall’altra ha ricevuto critiche dai fanatici musulmani contrari a qualsiasi forma di rappresentazione antropomorfa (figuriamoci poi di una donna formosa come quella della scultura).

Già nel 2003, Jérôme N’Dour, intellettuale cattolico, esprimeva timori di sussulti integralisti islamici in Senegal. “I discorsi fondamentalisti emersi a livello internazionale”, aveva detto, “hanno trovato una certa eco anche presso alcune fasce della popolazione senegalese, che comincia a pensare di poter vivere della propria religione. Anche il dibattito sul codice della famiglia è sostanzialmente un dibattito di ‘religiosi’ che hanno ambizioni politiche e pensano che la religione sia un mezzo per accedere più facilmente e rapidamente al potere”.

Nonostante la gente comune sia più preoccupata di sopravvivere e dai problemi economici, si temono anche possibili conflitti religiosi, come mai è successo prima nel Paese africano: “È evidente”, ha detto N’Dour, “che oggi si assiste a un ribollire di slanci islamisti in Senegal. Ma questo fondamentalismo è spesso ispirato dall’esterno, in quanto nel Paese le confraternite vi hanno sempre posto un freno. Tuttavia, le ambizioni politiche di taluni religiosi rischiano di invertire pericolosamente questa tendenza. Alcuni di loro hanno studiato in Pakistan, Egitto o Arabia Saudita, paesi che finanziano molte associazioni musulmane che stanno penetrando anche nelle regioni rurali sotto la copertura di progetti di sviluppo”.

Più o meno dello stesso avviso il suo amico Ndene Sarr, musulmano: “Sono convinto”, affermava, “che la maggioranza della popolazione rigetti l’idea di un codice bicefalo", applicabile in maniera diversa ai musulmani e ai non musulmani”, perché di ciò si era discusso nel Paese, mettendo di difficoltà il presidente Wade. “Questo”, ha continuato Ndene Sarr, “creerebbe non solo confusione, ma anche profonde divisioni all’interno della nostra società. Dietro queste tendenze ci sono Paesi che sono pronti a finanziare pseudo-organizzazioni che non hanno niente a che vedere con la religione. Fortunatamente, la maggior parte dei senegalesi ha compreso questo rischio e rivendica con forza la laicità dello Stato, che non è solo un principio astratto, ma viene vissuto concretamente all’interno della stessa famiglia e della società”.

Sono passati 8 anni da tali dichiarazioni, ma timori non si sono ancora placati perché hanno ragione di esistere. Tanto per far un esempio numerose chiese e quartieri evangelici sono stati saccheggiati tra il Settembre 2010 e il Luglio 2011. La comunità evangelica si sente minacciata e ha paura ha dichiarato il Pastore della Chiesa locale. La democrazia e la laicità sono sempre state rispettate in Senegal, ma questi atti mostrano che anche in questo Paese i valori liberali fondamentali non possono essere dati per scontato”.

I cristiani costituiscono la minoranza della popolazione senegalese: il 6%, e una minoranza nella minoranza rappresentano i cristiani evangelici, che sono lo 0.07%. Tuttavia questi ultimi, nei 149 anni di presenza nel Paese, hanno partecipato al dialogo interreligioso e hanno sempre conservato un riconoscimento pubblico. Particolarmente preoccupante perciò risulta essere il silenzio delle autorità statali di fronte alle violenze perpetrate dagli integralisti islamici: Non c’è stata una presa di posizione chiara e decisa da parte dello Stato, ha denunciato il Pastore. Eppure ciò stato chiesto anche in una conferenza stampa tenuta dalla Chiesa Evangelica nel 2010.