Dietro alla calma di Kabul, oltre a Petreaus potrebbe esserci Haqqani

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Dietro alla calma di Kabul, oltre a Petreaus potrebbe esserci Haqqani

29 Dicembre 2010

A Kabul regna uno strano silenzio, da ben sette mesi. Un ‘calma terrificante’ di cui non si conoscono perfettamente le cause. Lungo tutto il 2008 e parte del 2009 la capitale afghana è stata attraversata da una serie mortifera di attentati suicidi (si ricorderanno per dovere di brevità quelli maggiori del Serena Hotel nel Gennaio 2008 e nel Giugno dello stesso anno quello contro l’ambasciata indiana a Kabul). L’ultimo attentato suicida a Kabul risale allo scorso 18 maggio, quando un minibus pieno di esplosivo si è lanciato contro un convoglio Usa uccidendo 18 persone di cui cinque soldati Usa, un canadese e lasciando in barella 47 civili. Dal quel giorno, Kabul ‘tace in speme’. Un risultato che nonostante tutto ancora non viene annunciato come un successo del gen. David Petreaus e del nuovo corso politico militare impresso dagli USA nel quadro dell’agenda AfPak obamiana.

Alla Casa Bianca regna la prudenza. Infatti questi mesi di tregua potrebbero presto essere solo un dolce ricordo, a fronte di una possibile recrudescenza delle ostilità. Nessuno nell’amministrazione Obama si sente di affermare il successo della politica anti-insorgenza di Petreaus per il momento. La ragione va ricercata soprattutto nel dubbio che assilla i vertici della difesa statunitense: la fine degli attentati suicidi a Kabul è solo il risultato bellico-politico del contingente e dunque di fattura statunitense? Oppure sulla tregua degli attentati nella capitale pesano anche ‘fattori esterni’? Dietro la sottile tregua potrebbe infatti nascondersi qualcosa di ben diverso di un successo meramente militare.

Dietro gli attentati e i rapimenti del 2008 e del 2009 starebbe un gruppo tribale islamista, responsabile per buona parte del processo di destabilizzazione contro il fragile (e corrotto?) governo Karzai e soprattutto contro le forze Nato. Il gruppo in questione è stato soprannominato Rete Haqqani. Essa prende il nome dal clan a cui fa riferimento, quello degli Haqqani appunto, fondato e guidato dal vecchio Jalaluddin Haqqani, classe ’35 (oggi coadiuvato nella gestione delle operazioni di insorgenza militare da suo figlio Sirajuddin).  

La rete Haqqani è considerata ad oggi la maggiore minaccia per il governo di Kabul e il principale nemico statunitense sul fronte orientale afghano. Il clan ha saputo negli anni mantenere solide relazioni politiche con la leadership talebana (Jalaluddin Haqqani ha ricoperto durante la decade talebana degli anni novanta la carica di Ministro degli Affari Tribali). La rete Haqqani ha fornito e fornisce inoltre assistenza militare e logistica ai gruppi di Al-Qaeda presenti nella regione del Waziristan (Osama bin Laden ha passato mesi accanto a Jalaluddin negli anni ottanta contro i sovietici, almeno secondo quanto racconta Peter Bergen nel suo libro “The Osama bin Laden I Know”). Quanto alle risorse umane di cui il clan può disporre, in un articolo comparso poco più di un anno fa sul NYTimes, si affermava che gli Haqqani potessero contare su un numero di talebani ai propri ordini compreso tra le 4mila  e le 12mila unità. Un micro esercito insomma.

L’adagio “il nemico del mio nemico è mio amico” calza a pennello nella vicenda riguardante la figura di Jalaluddin Haqqani, soprattutto quando si sbircia nei suoi rapporti con gli Usa. Fu capace, durante l’occupazione sovietica afghana degli anni ottanta, di tessere buone relazioni con la CIA statunitense la quale utilizzò la sua rete tribale in funzione anti-sovietica. Per dare la misura di quanto prossime fossero le relazioni tra Jalaluddin e il governo USA, voci di intelligence vogliono che egli abbia addirittura visitato la Casa Bianca sotto una delle presidenze Reagan. Sempre in quegli anni, Jalaluddin seppe costruire buone relazioni con l’ISI pachistana (relazioni ancora oggi idilliache!). Infine il capo Haqqani può vantare un certo numero di generosi donatori musulmani dei paesi del Golfo Persico che ancora oggi continuano a foraggiarne l’insorgenza militare contro gli Usa e i suoi alleati. 

Da quando Petreaus ha preso in mano i destini operativi dell’agenda AfPak di Obama, il potere degli Haqqani è stato messo a dura prova. L’uso di droni nei territori nel Nord Waziristan sotto controllo Haqqani (in particolare tutta l’area intorno a Miram Shah sembra essere completamente Haqqani con buona pace pachistana) sembra dare i primi risultati. Chi si intende di operazioni belliche in Afghanistan, sa che oggi esse si concentrano principalmente nell’est del paese sul confine pachistano e contro le forze militari del clan Haqqani in particolare. In soli tre mesi, il contingente ISAF ha condotto 1.700 operazioni di commando sul territorio afghano (e pachistano) da cui sono discese l’uccisione o la cattura di più di 850 insorti.

L’arrivo di Petreaus alla guida dell’ISAF (in sostituzione di quel gaffeur del Gen. McCrystal pre-pensionato dal presidente Obama dopo aver sputtanato l’intera l’amministrazione di fronte ad un giornalista di un rivista di musica) ha segnato certamente il passo nella strategia statunitense contro il clan. Non più tardi di sei mesi fa il gen. Petreaus ha richiesto ai vertici della difesa della Casa Bianca l’inserimento degli affiliati del clan Haqqani in una lista nera. Il primo ad averla evocata è stati il Sen. Democratico Levin, presidente del potente Armed Services Committee del Senato, il quale ne avrebbe parlato direttamente con Petreaus in una sua fact-finding mission in Afghanistan e Pakistan.

Benché presa in considerazione, la soluzione ‘lista nera’ non è stata fatta propria dall’amministrazione Obama. Per due ragioni. La prima è che tali sarebbero le connessioni tra il clan Haqqani e l’ISI pachistana e il suo esercito che mandare in ‘lista nera’ un gruppo di potere politico-militare così vicino ai pachistani, avrebbe come effetto quello di creare punti di attrito con il governo di Islamabad (il giornalista del NYTimes, David Rhode, rapito dal clan Haqqani nel 2008 ha potuto raccontare alla sua liberazione quanto gli Haqqani fossero liberi di muoversi nei territori pachistani del Waziristan al punto da non esitare a guidare in pieno giorno con rapito a bordo senza esitare al passaggio di forze militari pachistane). Una ‘lista nera’ che avrebbe condotto inesorabilmente le relazioni tra Washington e Islamabad ad una formale ed esplicita avversione, la quale non permetterebbe alle truppe e ai droni statunitensi di muoversi così “liberamente” in Nord Waziristan, come accaduto negli ultimi mesi.

La seconda ragione risiederebbe nel fatto che l’amministrazione Obama è ormai in una logica di “bastone e carota” in vista di una soluzione politica del conflitto afghano. Da una parte l’aver assegnato ad un abile falco politico-militare come Petreaus, il comando delle forze militari permette alla diplomazia alla Casa Bianca di indebolire il clan e portarlo al tavolo delle trattative. Dall’altra, è necessario permettere a chiunque voglia raggiungere il tavolo ufficioso delle trattative di potervi aderire, senza immettere ulteriori ostacoli come lo status di terrorista. Si ritiene comunque che nel caso del clan Haqqani si possa sperare solo in un coinvolgimento di quadri medi del clan nel processo di riconciliazione afghana ormai ufficiosamente sponsorizzato dal presidente USA e il presidente afghano Karzai. Il NYTimes riporta in un suo articolo del 26 Dicembre scorso che nel sottobosco politico di Kabul si rumoreggia da mesi che il presidente afghano, con l’aiuto persuasivo dell’ISI pachistana, stia pagando gli Haqqani per non esporre Kabul alla violenza terroristica in fase di trattative. Cosi si spiegherebbe il silenzio delle bombe della capitale afghana.

Quello che di fatto emerge, comunque, è una spaccatura tra gli obiettivi dei vertici militari statunitensi – Petreaus in testa – il quale penderebbe ancora oggi per una soluzione più militare che apra poi le porte ad una più politica da posizione di forza, opposta ad una politica fatta di ‘manovre silenziose’ (e un poco perniciose) tra i nemici di ieri che hanno già fatto la pace e che non sanno come raccontarla ai “loro” e la diplomazia USA attenta a non fare patti impresentabili all’elettorato USA in vista delle presidenziali 2012. Il prossimo atto della riconciliazione, comunque, sarà la imminente nomina da parte di Obama e il segretario di Stato Hillary Clinton, alla carica di special envoy per l’Af-Pak statunitense dopo la scomparsa di Richard Holbrooke, oggi sostituito provvisoriamente dal suo vice, Frank Ruggiero. Non ci resta che attendere per sapere se l’amministrazione Obama miri ad una ‘pace onorevole’ oppure ad una ‘ingloriosa’.