Dietro alle Papi girls ci sono i D’Alema boys
20 Settembre 2011
II dito indica gli appalti, la grancassa di sinistra si concentra sulla patonza. Gianpaolo Tarantini fin lì poteva arrivare, fino al tentativo di imbonire un assessore di Vendola o il premier, sfruttando le rispettive debolezze. Tutto il resto lo hanno sempre fatto gli esponenti del Partito democratico suoi sodali: la famiglia del senatore Pd Alberto Tedesco, con cui Giampi fa affari nel ramo protesi tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del Duemila; più di recente – ed è la notizia di oggi – manager e imprenditori pugliesi fedelissimi di D’Alema, che lo usano per arrivare a Berlusconi e tramite lui ottenere appalti milionari.
È rosso il filo che lega la prima inchiesta barese del Tarantini-gate e gli sviluppi di cui all’inchiesta conclusa la scorsa settimana: il fascicolo aperto nel 2001 dal pm Roberto Rossi (oggi membro del Csm) si arena all’indomani di una informativa datata2004 in cui i carabinieri scrivono: “Sembra come se Giampaolo stia accennando a una tangente che sarebbe costretto a versare al medico/operatore chirurgico pari al 20% della somma che gli viene poi liquidata dall’Azienda sanitaria locale committente, somma che lui anticipa decurtandola dalle sue provvigioni”. La telefonata è tra Tarantini e il ragioniere dei Tedesco. La polizia giudiziaria suggerisce di indagare, il pm tiene tutto nel cassetto fino al 2009 quando Tarantini appare sulla scena nazionale non come il presunto tangentista che fa affari a sinistra, ma l’uomo che ha portato Patrizia D’Addario a Palazzo Grazioli.
Da lì ha origine anche l’inchiesta chiusa pochi giorni fa: il pm Giuseppe Scelsi che la avvia si concentra sulla prostituzione e il suo favoreggiamento. Poi arriva il nuovo procuratore, Antonio Laudati, gli affianca due colleghi tra quelli meno attratti dalle telecamere, Eugenia Pontassuglia della Dda e Ciro Angelillis, e blocca il patteggiamento omnium che Scelsi aveva avallato per chiudere tutto alla svelta. Decide insomma di vederci chiaro. E intanto arresta l’ex re delle protesi.
Perdere decine di mesi per sbobinare centomila telefonate non ha senso: meglio concentrarsi su quelle che appaiono rilevanti sotto il profilo penale. E così in pochi mesi emerge sì lo sfruttamento della prostituzione,ma in quanto tangente umana per ottenere appalti. E chi sono i soci di Giampi? Quelli di sempre, di sinistra, del Pd. Per gli inquirenti il quadro è chiaro, e lo mettono nero su bianco: c’è il socio di D’Alema “Roberto De Santis, colui che, nonostante l’affiliazione a uno schieramento politico opposto a quello di Berlusconi, era quello che aveva guidato Giampaolo per trarre il maggiore profitto dall’amicizia con il presidente” Berlusconi; ci sono altri tre intimi di Baffino, gli imprenditori Cosimo Catalano e Enrico Intini e l’avvocato d’affari Totò Castellaneta; c’è la Protezione civile da mungere e Finmeccanica dalla quale farsi affidare appalti milionari senza gara. Roberto, già comproprietario dello yacht dalemiano Ikarus, manco a dirlo è il più scafato: scrivono i pm che “Giampaolo andò da Roberto a dire: "Non è che vi arrabbiate se mi vedete con il presidente?". E Roberto gli disse: "Perché ci dobbiamo arrabbiare?"”. Il piano era già congegnato: “Roberto pensa solo ai soldi” e Berlusconi “lo dobbiamo sfruttare, è una cosa da sfruttare”.
Altro che ritardi, che il Csm sta valutando di contestare alla Procura di Bari: prima di Laudati qui era un porto delle nebbie quando si incappava in figuri sinistri. Ora c’è una inchiesta già chiusa e una corposa nata per gemmazione: l’ipotesi di reato è associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta.
Si parte da un incontro del 21 gennaio 2009 nell’Hotel De Russie di Roma in cui si parla di un appalto da 55 milioni da spartire tra correnti pugliesi del Pd, tutti amici di Giampi. Ci sono Catalano e Intini. Da lì il cerchio si allarga anche grazie a un colpo di fortuna: in casa di Tarantini c’è un suo curriculum, dove l’ingenuo “ragazzo senza morale” (detto da sua moglie) annota una decina di incarichi con società collegate a Finmeccanica. Nel fascicolo finiscono i nomi di Rino Metrangolo, Domenico Lunanuova, Pier-francesco Guarguaglini, Lorenzo Borgogni, di tre imprese della holding di piazza Montegrappa, Sei Proc, Seicos e Ssi, e di aziende dei dalemiani pugliesi.
Sono molti gli appalti su cui la Procura ha deciso di andare a fondo: un gasdotto Italia-Albania e almeno altri dodici affidamenti (valore 51 milioni di euro) che dovevano essere pilotati società del gruppo Finmeccanica. La sensazione è che si è soltanto agli inizi. C’era anche il terremoto dell’Aquila nel mirino dei sodali di Tarantini, e il copione è quello già visto con Francesco Piscitelli, l’imprenditore finito nell’inchiesta sui Grandi eventi: che “culo, tra virgolette – chiosa Lunanuova – là è successo il terremoto e hanno bisogno di questa cosa”.
(Tratto da Libero)