Dietro gli aiuti umanitari dei paesi arabi-musulmani si nasconde altro

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Dietro gli aiuti umanitari dei paesi arabi-musulmani si nasconde altro

27 Ottobre 2011

Mentre i paesi occidentali, ed in primis l’Italia, continuano a tagliare o, al meglio, a diminuire gli aiuti ai paesi poveri e allo sviluppo, ci sono tanti paesi arabi-musulmani che stanno aumentando enormemente il loro sostegno ai paesi in difficoltà, specialmente in Africa e nel Medio Oriente. In Somalia, colpita duramente da guerre e carestie, l’Organizzazione della Cooperazione islamica ha inviato 350 milioni di dollari di aiuti umanitari. Secondo un rapporto dell’agenzia Irin delle Nazioni Unite, la Turchia, tramite un suo organismo, ha raccolto 280 milioni di dollari. L’Arabia Saudita ha consegnato all’agenzia dell’Onu, 60 milioni e il Kuwait 3.5. I paesi del Golfo, insomma, stanno prendendo la scena internazionale, almeno nell’area del Corno d’Africa, per sostegno e impegno umanitario. Basti pensare che in sole tre ore di Telethon, una TV in Qatar ha raccolto 6.8 milioni di dollari, “cifre – rivela un operatore delle Nazioni Unite – che noi ci sogniamo”.

L’impegno di questi paesi musulmani ed arabi non è solo motivato da ragioni umanitarie. Si può intravedere, dietro quest’azione di aiuto, anche la volontà di riprendersi terreno di influenza sulle popolazioni della regione.

Storicamente, riferisce Abdel-Rahman Ghandour, operatore umanitario e autore del libro “Humanitarian Jihad:investigation into Islamic NGOs”, “il sistema occidentale e quello musulmano sono come due elefanti di ceramica: si guardano reciprocamente, sanno che entrambi sono presenti ma nessuno fa un passo verso l’altro”. Alcuni musulmani vedono “nel sistema dell’Onu una certa arroganza e la volontà di non capire il mondo e la cultura islamica”. Anche la vecchia paura di vedere negli aiuti umanitari “un nuovo colonialismo occidentale” è sempre più o meno presente nella mentalità della gente e anche degli operatori musulmani.

C’è la necessità di stabilire, di scrivere un codice etico e una riferimento-quadro di valori e principi di azione ed intervento che siano rispettosi di entrambe le prospettive. La questione della parità di genere o della emancipazione della donna è un esempio di come le differenze debbano essere comprese e superate nel rispetto. “Emancipazione – secondo i musulmani – non può voler dire togliere lo hijab alle donne o minare l’unità e i fondamenti della famiglia o gettare la religione fuori dalla finestra”. Un altro terreno delicato e fragile riguarda l’immagine e l’autorevolezza delle Nazioni Unite. Da una parte il Consiglio di Sicurezza approva aiuti a favore dei paesi poveri, dall’altra non fa niente per aiutare il popolo palestinese, per questo molti musulmani sono perplessi sulla reale ‘neutralità’ dell’Organizzazione e preferiscono “coordinarsi con le diverse agenzie dell’Onu piuttosto che farsi coordinare da loro”. Ma no è neanche facile coordinarsi con le organizzazioni arabe, riferiscono gli operatori Onu.

Il caso dell’Arabia Saudita è emblematico in quanto “non si capisce chi è il vero responsabile delle attività e organizzazioni, in quanto le decisioni sono prese ai massimi livelli”. Così il rischio concreto è di realizzare strutture parallele, come a Mogadiscio, dove l’Organizzazione della Cooperazione Islamica porta avanti incontri al suo interno, senza coinvolgimento di altre realtà presenti sul territorio, e ha costruito un mini-sistema di altre piccole strutture, guidate dalla Federazione dei Medici Musulmani per l’area sanitaria e dalla Luna Crescente del Qatar riguardo alla distribuzione del cibo.

Il coordinamento degli aiuti umanitari è sempre più necessario, dal momento che l’impegno finanziario e di risorse umane da parte dei paesi arabo-musulmani è cresciuto enormemente, ‘scontrandosi’ con le forze messe in campo storicamente dalle agenzie e strutture occidentali e delle Nazioni Unite e rivelando la diversità di impostazione, di mentalità e di motivazioni. Per i musulmani la carità è uno dei pilastri della propria fede, e generalmente chiede di essere realizzata attraverso “segni visibili, tangibili”. Ecco perché sono ingenti le risorse per costruire ospedali e consegnare medicine e tutto ciò che può essere “visibile”.

Gli aiuti umanitari sono un nuovo terreno di “scontro versus incontro” tra arabi-musulmani e occidentali-cristiani. Una nuova sfida che mette in gioco non solo la vita degli altri ma anche una strategia geopolitica di ‘posizionamento’ sullo scacchiere internazionale.