Dietro il referendum sul welfare   le bugie della sinistra

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Dietro il referendum sul welfare le bugie della sinistra

11 Ottobre 2007

Referendum: il sì vince ma non convince. E’ solo una battuta per “sollevare lo spirito” in mezzo a tanta confusione. La sinistra politica e sindacale sta dando di sé uno spettacolo indecoroso. Cgil, Cisl e Uil, poche ore dopo la chiusura delle urne, hanno reso noto gli esiti di una specie di sondaggio riferito a 115 aziende-campione, da cui risultava che più dell’80% dei lavoratori votanti ha approvato il protocollo del 23 luglio. Immediatamente insorgeva Giorgio Cremaschi (in quale altro paese civile un visionario allucinato come il “nostro” avrebbe tanta audience sui media?) per dichiarare l’inattendibilità dei dati. Poi è seguito l’elenco di tante  aziende blasonate schierate per il no. E, infine, a notte fonda, è arrivata la conferma – contestata – della vittoria delle segreterie confederali; ma l’analisi del voto consentirà alla sinistra comunista di “interpretare politicamente” il risultato della consultazione e di confermare una valutazione negativa  nel Consiglio dei ministri e in Parlamento. Questa esecrabile messa in scena pone una serie di interrogativi inquietanti.

E’ ancora una maggioranza affidabile quella che si riconosce nell’Unione del serafico Romano Prodi?  I temi controversi non sono di scarso rilievo. I sindacati (che sono pur sempre gli “azionisti di riferimento” dell’attuale maggioranza) hanno espresso – sia pure con sfumature diverse – un giudizio positivo sull’accordo di luglio (qualche leader sindacale si è persino fatto prendere la mano scomodando a sproposito la storia del dopoguerra); le medesime entusiaste valutazioni le ha fatte Romano Prodi coi suoi ministri di tempra riformista. Persino la Confindustria, alla fine, ha sottoscritto l’intesa (dalla cui definizione era stata emarginata). In tanti si sono pronunciati per l’intangibilità del protocollo (magari nello stesso momento in cui negoziavano dei “contentini” per il Prc, il cui obiettivo è soltanto quello di salvare la faccia). Eppure, mentre una parte della maggioranza intonava dei peana di entusiasmo, le forze della sinistra reazionaria  esprimevano giudizi sempre più critici fino ad accusare i vertici dei sindacati di veri e propri brogli. Siamo, dunque, al di là dei dissensi politici. E’ venuto meno il fondamento di un’alleanza: il reciproco rispetto, la fiducia degli uni negli altri. Si conferma ogni giorno di più un giudizio azzeccato di Nicola Rossi: la sinistra, ora forza di governo, sconta tragicamente il “modo dissennato” con cui ha fatto opposizione nella passata legislatura.

Hanno imposto al dibattito politico un’agenda distorta, ingigantendo, con un colpevole supporto di media culturalmente asserviti,  problematiche come il “precariato”  a soli scopi elettorali. Finendo, così, per seminare – al di là  dei dati reali – un’ondata di autocompatimento assolutorio di un’intera generazione di giovani. L’Italia ha tassi di precarietà inferiori a quelli della media UE-15 e di altri grandi nazioni europee, ma da noi questo problema è divenuto un’ossessione. Si prendono a riferimento – per valutare la condizione dei giovani d’oggi, i quali si avvalgono comunque dei privilegi di una società più ricca – modelli di lavoro e di vita esistiti solo nella fervida fantasia degli apologeti del comunismo (un regime in cui era precaria persino la permanenza in vita). Come se ci fosse stato un tempo in cui  bastava svoltare l’angolo o dare un calcio ad un sasso per trovare dei posti di lavoro stabili e ben retribuiti. Un tempo magico in cui i giovani abbandonavano a vent’anni la casa paterna divenendo immediatamente proprietari immobiliari grazie alla stipulazione di mutui generosamente offerti dalla banche.

Questa epoca del Bengodi chiama in causa gli sciagurati anni Settanta, quando le aziende (magari a partecipazione statale) crescevano come funghi ed inghiottivano decine di migliaia di lavoratori (accumulando perdite ingenti a carico della collettività). E l’inflazione (alla faccia dei mutui) era pari non solo a due cifre ma a due decine. E i giovani si sposavano prima, ma decidevano di andare a vivere con la famiglia di uno dei due coniugi.

Tornando a noi, che cosa succederà adesso a partire dal Consiglio dei ministri di venerdì? Se Prodi creda che il cammino davanti all’Esecutivo sia in discesa, sbaglia. Il Prc ha fatto capire di essere disponibile a trovare delle soluzioni (a cui già si è lavorato nei giorni scorsi). Ma questo partito – per dirla con Mastella – “non si farà processare nelle piazze”. La maggioranza ha un problema: la mega-manifestazione del 20 ottobre potrebbe scappare di mano agli stessi promotori e risolversi in una contestazione dell’eventuale “compromesso” accettato dal Prc. Capita agli “apprendisti stregoni” di non riuscire a controllare le forze malefiche che hanno scatenato. Successe già quando, durante la visita del presidente Bush, piazza del Popolo era vuota. E i “movimenti” marciavano altrove.