SEUL – Dietro ai missili a lungo raggio che si prepara a lanciare e ai mucchi di plutonio che sostiene di avere già pronti per farne bombe, la Corea del Nord deve fare i conti con un’imbarazzante e irrisolvibile debolezza. Sotto la leadership di Kim Jong Il, il paese non può nutrire la sua gente.
Da sempre dipendente dagli aiuti alimentari esteri, la Corea del Nord è diventata una sorta di paziente scontroso che minaccia le nazioni sviluppate che si prendono cura di lui. E’ il primo mendicante della storia dotato di missili e armi nucleari; costituisce senza dubbio un bel grattacapo per l’amministrazione Obama in questa fase di impostazione della sua politica estera.
Il “problema che mangia”, come la questione è spesso indicata in Corea del Nord, ha eroso l’autorità di Kim, compromesso decenni di disgelo tra le due Coree e logorato i corpi e le menti di milioni di nordcoreani. I teenager che sono fuggiti dal Nord nell’ultima decade sono, in media, dieci centimetri più bassi e venti chili meno pesanti dei pari età del Sud, secondo dati raccolti a un centro di raccolta per dissidenti in Corea del Sud.
Il rapporto di dicembre del National Intelligence Council, un istituto di ricerca che opera nel quadro dei servizi informativi statunitensi, sostiene che le tare mentali connesse alla denutrizione ‘affetteranno’ all’incirca un quarto degli eventuali coscritti che potrebbe mobilitare la Corea del Nord. Il documento ritiene vi sia un’alta probabilità che i deficit intellettuali provocati dalla fame nella fascia più giovane della popolazione abbattano la crescita economica, anche nel caso in cui il paese si aprisse al resto del mondo o si unisse con il Sud.
“La scuole – materne, elementari e superiori – appaiono in condizioni terribili”, ha scritto l’anno scorso sul suo diario un operatore umanitario al termine di un tour attraverso le province settentrionali del paese. “Il cibo è razionato, e i bambini sono vulnerabili. Fisicamente e anche socialmente”.
Fame e distribuzione degli aiuti alimentari. Ci sono questi elementi dietro il recente irrigidimento della Corea del Nord, i cui militari sono arrivati al punto di minacciare “un atteggiamento di totale contrapposizione”. Dopo dieci anni di aiuti incondizionati, Seul l’anno scorso ha deciso di non fornire più cibo e fertilizzanti al suo vicino fino a quando non potrà controllare chi ne saranno i beneficiari.
Per assicurarsi le donazioni di cibo dall’Occidente, Kim ha dovuto accettare l’ingresso nel paese di esperti che hanno disegnato la mappa di uno schema perverso nel quale l’accesso ai beni alimentari dipende, in diverse maniere, dalla vicinanza geografica e politica all’elite governativa della capitale, Pyongyang.
Kim sta anche combattendo – e per diversi aspetti perdendo – una battaglia per contenere un’esplosione di capitalismo e di profitti personali che gli aiuti alimentari hanno contribuito a provocare. Da quando, alla metà degli anni Novanta, una carestia uccise forse un milione di nordcoreani, per quanto riguarda le forniture di cibo alla popolazione l’apparato statale è stato rimpiazzato da una fitta rete di mercati privati, che opera al di fuori di qualsiasi regola e in cui, anzi, regna la corruzione.
“La gente dal di fuori non se ne rende conto, ma la Corea del Nord, in questo momento, sta attraversando un cambiamento drastico” dice Jiro Ishimaru, editore di "Rimjingang", una rivista che pubblica reportage, foto e video di quanto avviene in Corea del Nord realizzati da testimoni che mantengono l’anonimato.
Il governo non rilascia alcuna statistica su questi mercati, che sono quasi tutti off-limits per gli stranieri. Ci sono però i numeri prodotti dagli economisti che hanno accesso ai dati sul cibo di Corea del Nord e Onu, secondo i quali almeno la metà delle calorie assunte dai nordcoreani arriva da alimenti acquistati in questi mercati privati. E quasi l’80 per cento dei profitti privati, secondo uno studio del "Journal of Economics" di Seul, deriva dalla compravendita di generi alimentari.
In Corea del Nord, chi ha il bernoccolo del commercio, adesso, può mangiare quanto vuole. Ma la fame resta un problema diffuso. Secondo quanto affermato in dicembre dall’Onu, nel prossimo anno circa il 37 per cento della popolazione avrà bisogno di assistenza alimentare, mentre un funzionario del World Food Program osserva che l’indice di sottosviluppo fisico nei bambini di sei anni è rimasto praticamente immutato negli ultimi cinque anni.
Si concima con sterco umano. Questo inverno, ai nordcoreani è stato detto di arrivare all’autosufficienza alimentare da soli. Come parte di una mobilitazione di massa decretata dal governo, i nordcoreani stanno producendo toibee, un fertilizzante ricavato dalla cenere e dai loro stessi escrementi.
Dai bagni pubblici delle città e dei paesi di tutta la nazione vengono raccolti escrementi umani congelati. Secondo quanto riferito da Good Friends, un’associazione buddista che conta su informatori in Corea del Nord, ogni fabbrica, impresa pubblica o gruppo di abitazioni ha ricevuto l’ordine di produrre due tonnellate di toibee. In primavera verrà messo a seccare all’aria aperta, prima di essere trasportato alle fattorie statali.
A meno di un miracolo, non servirà a nulla. La Corea del Nord ha bisogno di produrre all’incirca 5,5 tonnellate di riso e cereali, tante ne servono per nutrire i suoi 23,5 milioni di abitanti. Quasi ogni anno questo obiettivo non viene raggiunto, in genere con uno scarto di un milione di tonnellate. Il paese manca di terre coltivabili, nega incentivi ai contadini e non può permettersi né petrolio né macchinari moderni. Ha anche perso la fornitura dei moderni fertilizzanti chimici dei quali è ormai totalmente dipendente, e che i fertilizzanti naturali non possono realisticamente rimpiazzare.
Per colmare questa lacuna, il governo comunista non ha avuto altra scelta che aprire le porte e lasciare entrare i tecnocrati stranieri esperti in distribuzione del cibo.
Nei 14 anni da quando la carestia ha attirato gli aiuti internazionali, è stato accolto un contingente che si è progressivamente allargato composto di nutrizionisti, economisti ed esperti agrari. Nonostante gli sforzi del governo per limitarne il numero e circoscriverne l’azione, questi hanno visto il paese e parlato con migliaia di persone, costruendo alla fine un quadro dettagliato della situazione, specialmente quella della gente che più ha bisogno di cibo.
Per quei nordcoreani che hanno soldi, i mercati privati offrono cibo in abbondanza, nonché televisioni, frigoriferi e DVD made in China. Ma gli operatori umanitari si sono resi conto che, l’anno scorso, l’alimentazione nelle istituzioni pubbliche quali scuole e ospizi non è affatto migliorata nell’arco dell’ultimo decennio.
“I bambini appaiono assai tristi, emaciati, fanno veramente tenerezza” ha detto chi ha visitato scuole e orfanotrofi.
Quattro inchieste sulla nutrizione condotte tra il 1998 e il 2004 dal governo, dall’Unicef e dal World Food Program hanno stabilito che il deperimento fisico, sintomo di grave denutrizione, era tre o quattro volte superiore nelle zone periferiche del paese rispetto a Pyongyang. A giudicare da un’inchiesta condotta dall’Onu lo scorso autunno, le cose stanno ancora così. Fin dagli anni Cinquanta, il governo ha classificato i cittadini in base all’affidabilità politica, e quelli che sono stati giudicati non sufficientemente fedeli sono stati mandati in zone remote del paese.
Sebbene la Corea del Nord sia stata spesso chiamata l’ultimo bastione dello stalinismo, la si comprende meglio qualora la si immagini come uno stato semifeudale dove la linea di sangue determina l’accesso alle migliori scuole, ai migliori lavori, ai migliori alimenti.
Il servizio militare è stato, per tanto tempo, un modo per i figli della gente comune di sottrarsi alla fame. Ma negli ultimi anni la carenza di cibo ha colpito anche i gradi più bassi delle forze armate. E’ quanto riferisce Kwon Tae-jin, che ha modo di recarsi spesso in Corea del Nord in qualità di direttore del Korea Rural Economic Institute di Seul. Durante la scorsa estate, nelle settimane che precedono il raccolto si verificò una grave carenza di cibo e in numerosi reparti, racconta Kwon, la razione venne ridotta a soli due pasti al giorno. Molti soldati erano visibilmente deperiti, e tentavano di procurarsi qualcosa da mangiare andando a rubare nelle fattorie statali.
“L’esercito era popolare tra i bambini, perché non si faceva la fame”, dice Kwon. “Adesso pensano che è meglio mettersi a fare soldi nei mercati”.
La nascita dei mercati privati. A metà degli anni Novanta, all’apice della carestia, il baratto imperava in Corea del Nord. Era una risposta, nata dalla paura, all’incapacità governativa di fornire cibo. La causa scatenante della carestia furono le alluvioni del 1995. Ma l’economia centralizzata del paese era in caduta libera sin dal 1990-91, quando il crollo dell’Unione sovietica pose termine ai sussidi dall’estero. Senza petrolio gratis per le sue vecchie fabbriche e senza un mercato garantito per i suoi prodotti, spesso scadenti, la Corea del Nord entrò in crisi.
Kim Jong Il, in un discorso pronunciato il 2004, ha spiegato parte di quel che accadde: “Quando lo stato divenne incapace di fornire efficientemente il cibo, la gente iniziò ad abbandonare il proprio lavoro e a cercare il modo di procurarsi guadagni personali”.
La momentanea scomparsa dell’autorità statale negli anni della carestia lasciò lo spazio a chi operava baratti di creare una improvvisata rete di mercati privati. E quando, alla fine dei Novanta, il governo riprese il controllo della situazione, milioni di nordcoreani dovevano la loro sopravvivenza ai piccoli mercati cittadini allestiti dai contadini, ai venditori ambulanti, ai singoli che si mettevano a vendere sul ciglio delle strade, ai titolari delle bancarelle nei mercati più grandi.
Nel 2002 Kim ha approvato timide riforme che consentono ad alcuni commercianti di esercitare, una tacita ammissione che questi possono soddisfare bisogni ai quali il governo non è in grado di far fronte. “I mercati hanno spezzato la pratica governativa di controllare la gente attraverso il cibo” spiega Andrew S. Natsios, già direttore dell’americana Agency for International Development e autore di un libro sulla carestia.
Dal momento che i commercianti privati hanno bisogno di trasportare le merci, le elite hanno fatto soldi creando il relativo sistema di trasporti. E’ quanto rivela Ishimaru, i cui reporter hanno raccontato di funzionari della polizia o dell’esercito che hanno acquistato autobus di seconda mano in Cina, con i quali hanno allestito linee intercomunali di trasporto merci.
Gli aiuti alimentari rubati aiutano più di ogni altra cosa la crescita dei mercati privati. Per anni, riferisce Lee Jong-joo, direttore dell’assistenza umanitaria presso il ministero sudcoreano dell’Unificazione, profughi nordcoreani hanno raccontato alle autorità di Seul che le donazioni sono ampiamente disponibili sulle bancarelle dei commercianti.
Secondo Marcus Noland, che studia da Washington il problema del cibo e della carestia in Corea del Nord, ai privati finisce circa il 30 per cento del cibo che viene donato dall’estero.
All’Onu non contestano tale stima. Controllare il flusso del cibo in Nord Corea, dicono alle Nazioni unite, è impresa quanto mai complicata. A differenza degli altri paesi che ricevono aiuti, il governo di Kim chiede l’esclusiva responsabilità per il trasporto e la consegna delle derrate alimentari. Burocrati e ufficiali dell’esercito usano le loro conoscenze e i veicoli dello stato per riempire i mercati con quantitativi di cibo stornati dagli aiuti.
“Gli aiuti hanno creato una situazione che ha dato a una larga e influente fetta della società nordcoreana validissimi motivi per volere uno sviluppo del mercato”, dice Nolan. “Se ottieni il controllo degli aiuti che ricevi gratis, puoi averne guadagni astronomici: ma solo se sei in grado di venderli. Non è stato voluto, sta di fatto che gli aiuti alimentari rubati hanno agito come carburante per lo sviluppo di un’economia di mercato”.
“Il genio è uscito dalla lampada”. Kim ha tentato di strangolare i mercati, perché “fomentano l’egoismo e portano al collasso l’ordine sociale basato sull’assenza di classi”. Ma intanto la loro importanza nel riempire gli stomaci dei nordcoreani è in continua crescita.
“Kim Jong Il ha ordinato alla polizia di porre limitazioni ai mercati, ma non sempre gli agenti fanno quel che viene detto loro” dice l’editore Ishimaru. “Ci sono tanti poliziotti e tanti funzionari pubblici che si arricchiscono dietro a quelle attività”.
Recentemente il governo si è impegnato in un altro dei suoi ricorrenti sforzi per contenere l’espandersi dei mercati, imponendo orari limitati, una lista precisa delle merci da vendere, cacciando i venditori ambulanti dalle strade e vietando traffici non autorizzati attraverso la frontiera cinese. Queste misure hanno fatto aumentare i prezzi degli alimenti, hanno contratto i profitti dei commercianti e aumentato la tangente per gli agenti della polizia di frontiera.
Ma un’ordinanza che vietava alle donne che non avessero ancora compiuto 50 anni di lavorare nei mercati è stata revocata dopo una serie di scontri tra donne e polizia. Quel limite è stato abbassato a 40 anni, però – riferisce Ishimaru – molte donne che sono più giovani fanno sedere le loro nonne o madri nel punto di vendita mentre loro se ne vanno in giro cercando clienti. Agli uomini è proibito vendere in un mercato.
Kim presiede uno stato di polizia che non tollera alcuna opposizione politica e tiene oltre 200 mila persone in prigione per reati politici. Le sue forze di sicurezza possono, se ricevono l’ordine, chiudere tutti i mercati privati. Ma anche negli stati di polizia la gente deve mangiare, e i mercati nutrono la gente e riempiono le tasche dell’elite.
“Il genio è fuori dalla lampada”, commentava un esperto funzionario dell’Onu riguardo alla sua esperienza in Corea del Nord. “Rimetterlo dentro provocherebbe una tale disorganizzazione economica e un tale pericolo di denutrizione per tanta gente, che sarebbe da pazzi provarci”.
Le politiche di aiuti alimentari. La mancanza di tonnellate di cibo per il popolo nordcoreano è stata colmata, negli ultimi anni, dalla Corea del Sud nel quadro di un accordo volto a stemperare la tensione nella penisola coreana.
Il governo di Seul inviava ogni anno mezzo milione di tonnellate di derrate, oltre a quantitativi di fertilizzante sufficienti per produrre un altro mezzo milione di tonnellate di generi alimentari. A differenza del World Food Program dell’Onu e di altri programmi internazionali di aiuti, che adottano il criterio “niente controlli, niente donazioni”, la Corea del Sud non si mise a monitorare chi si mangiava il cibo da lei donato. Ma l’anno scorso il presidente sudcoreano Lee Myung-bak ha cambiato le regole.
“Abbiamo deciso di monitorare e assicurare la distribuzione del cibo adottando come parametri operativi le procedure in atto nel programma World Food Program” spiega Lee Jong-joo. “Sfortunatamente, non siamo ancora riusciti a parlare della questione con nessun rappresentante nordcoreano”.
In effetti, la Corea del Nord ha dato di matto. Ha cancellato gli accordi militari e ha mosso i suoi missili a lungo raggio vicino al confine. Dietro la rabbia c’è la carenza di cibo. Nonostante un raccolto insolitamente ricco lo scorso autunno, uno studio Onu di questo dicembre sostiene che più di un terzo della popolazione nordcoreana, quest’anno, avrà bisogno di aiuti alimentari.
Visto lo stallo tra Sud e Nord, sono entrati in scena gli Stati Uniti. Lo scorso maggio si sono impegnati a fornire mezzo milione di tonnellate di cibo, l’80 per cento del quale da distribuirsi a opera del World Food Program.
Quell’impegno, tuttavia, è finito nelle pastoie delle complesse relazioni tra Corea del Nord e Usa. Pyongyang predica l’antiamericanismo, ma è ansiosa di stabilire relazioni commerciali con Washington. E anche se l’allora presidente George W. Bush una volta incluse la Corea del Nord tra i membri dell’“Asse del Male”, il governo Usa è stato di gran lunga il più prodigo di aiuti alla nazione sin dagli anni della carestia.
L’ostacolo principale a questi aiuti statunitensi è una disputa circa le capacità linguistiche dei funzionari Onu incaricati di monitorare l’uso delle derrate. Per lungo tempo il Nord ha rifiutato l’ingresso a funzionari capaci di parlare fluentemente il coreano, ma l’anno scorso – secondo quanto rivelato da un funzionario statunitense che ha chiesto l’anonimato – avrebbe siglato un accordo che non pone limiti sui madrelingua coreani. Le trattative sono ancora in corso.
Gli Stati Uniti insistono affinché dodici coreanofoni partecipino alle operazioni di rifornimento alimentare dell’Onu. Soltanto tre sono stati autorizzati da Pyongyang.
Lo stallo, che si è protratto fino all’instaurazione dell’amministrazione Obama, ha determinato la decisione Usa di fermare le consegne di derrate al World Food Program. Mancando di materiali, l’agenzia ha dovuto sospendere gran parte delle forniture di cibo, anche se alcune consegne continuano a essere effettuate da un consorzio di organizzazioni assistenziali statunitensi.
Circa 4,5 milioni di persone hanno smesso di ricevere aiuti alimentari in dicembre, e le razioni per altri 1,8 milioni di persone, per la maggior parte bambini, sono state dimezzate. Saranno sempre più affamati mentre la Corea del Nord e gli Usa litigano su come – e in che lingua – il cibo debba essere consegnato.
Traduzione di Enrico De Simone
Tratto da The Washington Post