Dietro le teorie di D’Alema c’è una resa dei conti interna al Pd (e alla Puglia)

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Dietro le teorie di D’Alema c’è una resa dei conti interna al Pd (e alla Puglia)

16 Giugno 2009

La strategia del lider màximo è fatta di “scosse”. E non è una novità come ben sanno quelli del suo partito, da Prodi a Veltroni. Ma l’effetto provocato finora dal vaticinio di Massimo D’Alema sta tutto nel suo campo, o in quel che ne resta dopo la batosta delle europee e soprattutto il macigno delle amministrative. Ed è mirato anzitutto ad evitare l’esplosione di un partito che Franceschini rischia di vedersi scivolare tra le mani molto prima che si arrivi al d-day congressuale, in autunno (la posizione critica di Rutelli non è un segnale da sottovalutare). La lettura arriva dai piani alti di via del Nazareno, dove si racconta di un Franceschini furibondo dopo l’exploit dalemiano.

Nell’intervista a Lucia Annunziata, D’Alema si muove su due piani. Il primo: sul fronte della maggioranza pronostica “difficoltà improvvise” per la tenuta del governo e “scosse” in arrivo per un premier dal consenso personale “dimezzato”, non solo sulla scena nazionale ma anche nel contesto internazionale. Congetture e ipotesi gettate nell’arena politica, guarda caso, nel giorno in cui Berlusconi incontra Obama a Washington e a meno di tre settimane dal G8 a L’Aquila. Obiettivo: soccorso rosso al partito che nella campagna elettorale anti-Cav si è speso molto (raccogliendo ben poco in termini di ritorno elettorale), patto d’acciaio con la corazzata Potemkin di Repubblica e L’Espresso scatenata tra Casoria e Villa La Certosa. Infine, con la solita prosopopea condita con una buona dose di presunzione, dice all’opposizione di tenersi pronta; quanto a lui, scenderà in campo solo di fronte a “ un’emergenza nazionale”.

Il secondo piano del “dalema-pensiero” è un j’accuse neanche troppo velato alla leadership di Franceschini: della serie la ricreazione è finita, occorre tornare a parlare di politica perché il partito attraversa una fase delicata di transizione. E la prova dei ballottaggi rappresenta uno dei passaggi-chiave in vista del redde rationem democrat. Non è un caso se l’ex Dl Enrico Letta scommette sulla candidatura di Bersani alla guida del Pd e stringe l’asse con D’Alema. Non è un caso se dopo il richiamo al silenzio fatto ai suoi (puntualmente disatteso) per non lavare in piazza i panni sporchi, oltretutto a cinque giorni dal voto amministrativo, lo stesso Franceschini starebbe pensando di affrontare il congresso da candidato alla segreteria. Non è un caso, infine, se a ventiquatt’ore dalla profezia del lider màximo si rifà vivo Walter Veltroni che si schiera con il suo ex numero due e boccia il disegno dalemiano di ridare fiato e forma all’Unione di Prodi rivista e corretta in chiave Casini-Udc .

Su Facebook Veltroni anticipa il senso del suo intervento al Capranica (2 luglio) per rilanciare il progetto del Pd con “personalità di diverse idee e sensibilità” e per dire che la via giusta è quella del Lingotto. Veltroni torna in campo ora, “perché a due anni dal Lingotto – afferma – avverto che il nostro progetto, il progetto del Pd, è messo in discussione. E perché sento che attorno ad esso si muovono richiami antichi, perché le tensioni tornano e aumentano, perché si arriva a dire che forse sarebbe meglio lasciar perdere il Pd oppure ridurne le ambizioni trasformandolo in un frammento minoritario di uno schieramento senza un disegno riformista”. Messaggio chiaro per il compagno D’Alema: nessuna marcia indietro, anzi serve “più riformismo, più modernità, non il ritorno ad antiche e inesistenti certezze”. Posizioni contrapposte che danno la stura alla lunga notte dei coltelli in casa Pd. Primo round, dopo i ballottaggi anche se il match è già iniziato.

Ma c’è un passaggio che rimanda alla strategia dalemiana anti-Cav. Ne chiede conto il ministro Fitto, quando si domanda “cosa intende D’Alema per ‘imprevedibili scosse’ che dovrebbero colpire il presidente Berlusconi da qui a breve? A quali informazioni inaccessibili ai comuni mortali ha, invece, avuto accesso D’Alema? Come mai queste doti di preveggenza che in Puglia hanno già caratterizzato altre campagne elettorali, si manifestano in lui durante il suo soggiorno in Puglia e i suoi passaggi baresi?”. C’è poi un altro interrogativo sul quale Fitto si sofferma: “Avrà forse ricominciato a frequentare quegli ambienti baresi in cui a partire dai primi anni ’90 D’Alema ha improvvisamente (ma provvidenzialmente anche per lui) garantito più di una carriera politica a chi faceva tutt’altro mestiere? E quindi parliamo di scosse o di prevedibili trame?”

L’idea che la mossa di D’Alema abbia in qualche modo a che fare con la Puglia è diffusa nei ranghi del Pdl e si collegherebbe alla sfida che nella roccaforte dell’ex presidente del Consiglio è aperta in vista dei ballottaggi di domenica prossima. Qui l’asse D’Alema-Casini è già realtà. A Cominciare da Bari dove il sindaco uscente e ricandidato del Pd Michele Emiliano (49,01%) è lo stesso che alla fine degli anni Novanta vestendo la toga di magistrato (poi riposta nel cassetto per abbracciare l’impegno politico) indagò sulla missione Arcobaleno in Albania, un caso che esplose quando a Palazzo Chigi c’era D’Alema. Nel 2004 la candidatura di Emiliano a primo cittadino del capoluogo pugliese avrebbe ottenuto la benedizione del leader del Pd. Cinque anni dopo, Emiliano viene ricandidato. Il Pd chiude l’accordo coi centristi (3,23%) per aumentare le distanze sul candidato del Pdl Simeone Di Cagno Abbrescia (46%). Ma in quello che sta diventando il "laboratorio Puglia" del patto democrat-cristiano la prospettiva va ben oltre il 21 giugno e punta dritta alle regionali del prossimo anno.

Esiste davvero la tentazione di un “governissimo”? Il disegno attorno al quale si coalizzerebbero “poteri forti”, grandi gruppi editoriali, italiani e non, pezzi dell’opposizione (D’Alema, Casini ad esempio) e della maggioranza non più in linea col Cav. (il solito Fini, tra i più tirati in ballo negli scenari di fantapolitica anche a proposito del suo il feeling con D’Alema), tutti pronti a scalzare Berlusconi dalla sua poltrona per mandare a Palazzo Chigi il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi? Fini a parte, un simile scenario non lo esclude l’ex capo dello Stato, Francesco Cossiga, che in un’intervista di qualche giorno fa a Il Giornale parla di un “piano trasversale tra il partito di Repubblica, Murdoch e pure Pierfurby Casini, per sostituire Berlusconi col governatore della Banca d’Italia”. Anche se il suo, pare più un avviso ai naviganti. Di certo, e sono le cronache di queste settimane a testimoniarlo, c’è una campagna mediatico-politica tesa a delegittimare l’immagine del Cav. in Italia e all’estero.

Ma a ben guardare, la teoria del complotto propedeutica al governo istituzionale non sta in piedi, seppure il primo ad evocarla è stato il presidente del Consiglio davanti ai Giovani Industriali riferendosi alle strumentalizzazioni su vicende private e al tentativo della sinistra di colpirlo con una campagna ad hoc. L’idea delle "scosse" nella maggioranza evocate da D’Alema non regge perché c’è un governo democraticamente eletto, la maggioranza è compatta e la recente vittoria elettorale ne ha rinsaldato la forza (Lega compresa). Stessa coesione nei gruppi al Senato e alla Camera rispetto all’azione dell’esecutivo e del suo leader. E Berlusconi non pare proprio un uomo solo nel suo partito. C’è poi da considerare che Draghi non pare un uomo preso da irrefrenabili smanie politiche; inoltre un governo istituzionale adesso, significherebbe trascinare il Paese nel baratro di una transizione che finirebbe per aggiungere danni a quelli che sta già provocando in tutto il mondo la crisi economica. Infine, qualsiasi siano le presunte mire di autorevoli esponenti politici – di centrodestra e centrosinistra – l’idea di un governo istituzionale rischierebbe di trasformarsi in un boomerang politico pesantissimo per chi, ammesso e non concesso che la manovra per disarcionare il Cav riesca, si ripresenta davanti al paese per chiedere fiducia e voti. La frase più calzante, nella ridda di dichiarazioni che scandiscono l’ennesima polemica politica, la ripete sottovoce un dirigente del Pd commentando le esternazioni dalemiane e le contromosse di Franceschini: “Aridatece Veltroni”.