Difendere il trumpismo, nonostante Trump

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Difendere il trumpismo, nonostante Trump

Difendere il trumpismo, nonostante Trump

07 Gennaio 2021

Io credo.

Io credo che quella di Donald Trump sia stata una grande presidenza, per l’America ma non solo, perché la proiezione planetaria dell’”America first” si è riverberata sull’intero Occidente.

Io credo che Trump abbia sfidato la dittatura oppressiva dei “nuovi diritti” e del politicamente corretto con la forza con la quale era necessario farlo.

Io credo che poche volte nella storia del nostro tempo la trincea antropologica del diritto naturale sia stata difesa con tanto coraggio e tanta convinzione da parte del Capo di una potenza mondiale.

Io credo che abbia fatto di più per la pace nel mondo questo esuberante tycoon dalla zazzera pittoresca e il tweet compulsivo che non gli “esportatori di democrazia” delle primavere arabe e simili amenità ammantate di filantropismo peloso. A cominciare dal premio Nobel che lo ha preceduto e che in questi giorni si è fatto immortalare mentre faceva paddel alle Hawaii.

Io credo che la storiella del pipistrello e del pangolino sia buona (forse) per qualche boccalone e che, qualsiasi sia stata nel dettaglio la sua genesi e al netto delle teorie sulla intenzionalità, il virus cinese sia diventato un fattore (e in alcuni casi uno strumento) in grado di condizionare la geopolitica mondiale.

Io credo che fra Cina, islam, Europa secolarizzata e Chiesa bergogliana stiamo messi male e che le elezioni americane fossero una sorta di ultima chiamata per l’Occidente cristiano.

Io credo che per determinarne l’esito si siano mobilitate tali e tante forze, dentro e fuori gli Stati Uniti, che più che la contestazione successiva a Trump andrebbe imputata forse la sottovalutazione preventiva.

Io credo che l’attribuzione della vittoria alla coppia Biden-Harris, la riproposizione di politiche in stile “Obama care”, il riaffacciarsi sulla scena del clan Clinton-Podesta, il prevalere del partito dell’”amen e awomen” sia in questo momento storico una sciagura.

Io credo che sulla regolarità delle presidenziali Trump abbia ragione da vendere e che tra voto per corrispondenza e sistemi informatici si sia verificato qualcosa di indicibile.

Io credo che abbiamo assistito a una serie di gigantesche mistificazioni, l’ultima delle quali con la pubblicazione di un brandello di conversazione estrapolata da una lunga telefonata tra Trump e il governatore della Georgia, che nel suo naturale contesto assume un significato diverso per non dire opposto rispetto a quello che è stato mediaticamente propalato.

Io credo che difficilmente si sarebbe potuta trovare qualche autorità disposta a ribaltare il risultato presunto, ma che nonostante tutto fosse giusto provarci fino alla Corte Suprema.

Io credo che le rilevazioni demoscopiche secondo le quali una percentuale impressionante di cittadini americani, nonostante gli esiti infausti dei ricorsi in sede giurisdizionale, erano persuasi della fraudolenza dell’esito del voto, fossero la conferma di una sostanziale vittoria politica al di là della sconfitta formale, e un buon viatico per restare in pista, momentaneamente all’opposizione, con la necessaria forza alle spalle.

Io credo che il tentativo di confutazione formale del risultato in sede di ratifica parlamentare sia stato un errore ma che, per quanto controproducente e priva di qualsiasi possibilità di successo, tale iniziativa si ponesse ancora nell’alveo costituzionale.

Io credo che per fare politica, per combattere contro la Cina, per difendere il diritto naturale, per anteporre l’economia reale alla grande finanza, ci voglia un fisico bestiale, e Donald Trump ha dimostrato di averlo. Ma in certi momenti, soprattutto in determinate posizioni istituzionali, avere un fisico bestiale significa essere consapevoli del limite oltrepassato il quale la contestazione delle ingiustizie subìte rischia di nuocere alle proprie idee più di quanto possa farlo l’accettazione – che non significa condivisione – di una realtà che si ritiene iniqua ma che si è affermata secondo i dettami formali di una grammatica condivisa.

Io credo che Trump questo limite lo abbia oltrepassato, trasformando avversari privi di carisma e dotati di scarse qualità in numi tutelari dell’ordine democratico, i presunti frodatori in eroi, se stesso in un appestato politico di cui il suo partito, che già lo viveva come un corpo estraneo, ha una scusa per liberarsi.

Io credo che la presidenza Trump sia stata ben altro che un assalto sguaiato, e probabilmente non esente da infiltrazioni avversarie, nel tempio laico di Capitol Hill, da parte di una banda a metà fra Diego Abatantuono e i Village People, ma che Trump abbia fornito un ottimo pretesto ai tanti che da una parte e dall’altra hanno interesse ad archiviarla come una parentesi da dimenticare.

Io credo invece che la presidenza Trump non vada né dimenticata né tantomeno archiviata. A dispetto dell’indole del suo protagonista. E di quanti hanno fatto di tutto per togliere di mezzo questo “accidente” nell’ingranaggio delle magnifiche sorti e progressive della storia.