Difendiamo Cremonini e il diritto al sorriso dalla censura politically correct
29 Giugno 2020
Proteggiamoci, per carità, dalla sanzione morale sulle battute. E allora diventa obbligo civile, culturale, sociale difendere Cesare Cremonini, la cui fama è ri-guizzata ai livelli stellari dei tempi leggiadri dei Lunapop. Stavolta non è il cantore di amori adolescenziali, ma il bersaglio di questo grande moloch censorio, che oltre ad asfaltare il diritto alla memoria punta a quello al sorriso, e alla libertà di provocarlo. E’ colpevole, Cremonini, di una battuta non proprio riuscita, anzi, diciamo pure sgradevole, sulla sua collaboratrice domestica, straniera. L’ho ribattezzata Emilia, ha detto più o meno, perché in Emilia sono nato e se pago una persona voglio avere la facoltà di cambiarle il nome. Parole scombinate e infelici, forse parodia di certi cafonismi qui e là sparsi, uscite però non durante un seminario sull’integrazione o sull’inclusione sociale, ma nel corso di un programma comico. E dunque, anche Cremonini, ha dovuto passare attraverso le forche caudine dell’anatema, della condanna, della doccia di compassata seriosità moralistica sul web. Un rito di passaggio, anche per lui, ancora incardinato nell’immaginario collettivo, a distanza di 20 anni, come di front man di una band di adolescenti che cantavano di scorribande in vespa, 4 sul registro e la più bella della classe che non ci sta o ti ha lasciato. Catapultato, Cremonini, da quel fantastico, morbido, colorato pianeta temporale a cavallo tra i ’90 e il 2000, quando la leggerezza abbracciava la possibilità di dire e sperimentare, nella pausa che c’eravamo presi dopo la caduta delle ideologie.
E atterrato, di fondoschiena, in questo oggi così pesante, pericoloso, abitato da una nuova ideologia spietata, che ha il sogno perverso di gettare la provocazione nel buco nero del condannabile da codice penale. Bello sarebbe se si rispettasse la legge di natura, replicando ad una battuta con una uguale e contraria, o magari migliore, o al limite con un vaffa. Qui no. Alla battuta si replica mandando la buoncostume morale. Percorrendo un sentiero al termine del quale il sorriso diventerà faccenda complicata, pericolosa, ennesima applique per irradiare il senso di colpevolezza, unico spirito del tempo di cui il progressismo è capace di farsi interprete. E dunque difendiamo Cremonini e il sacrosanto diritto di osare una battuta sbagliata, una cazzata per intenderci. Perché quel nostro senso del motteggio pronta è la scaturigine popolare e maldestra di un’ontologia di popolo, sulle cui vette siedono Pietro Aretino, Cecco Angiolieri, Belli, Trilussa. E l’Alberto Sordi con il tratteggio spietato dei suoi film. E finiremo come nella novella di Pirandello “C’è qualcuno che ride”, dove durante un consesso si innesca una caccia all’uomo proprio per una risata. La novella finisce con una lezione sulla doppia morale. Alla fine chi si incarica di passare a processo la risata altrui, ride eccome. Lezione valida anche per oggi, quando ad avere cittadinanza è soltanto la satira che si prende gioco del mondo al di là del recinto politicamente corretto. In quel caso, sono legittimate anche ferocia e derisioni sull’aspetto fisico e le origini. Per tutti gli altri, ghigliottina.