Difendiamo l’università dagli insulti e dalle liste di proscrizione

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Difendiamo l’università dagli insulti e dalle liste di proscrizione

02 Dicembre 2010

Provate a immaginare che cosa sarebbe successo se studenti, ricercatori e docenti universitari saliti sui tetti in questi giorni per protestare contro il ddl Gelmini avessero ricevuto in cambio del loro impegno – di cui nessuno ha il diritto di dubitare – una catena infinita di insulti, offese, pernacchie, diffide e minacce di querela, allusioni alla propria onestà personale e accuse di bassezza intellettuale, lanciate da parte di chi sostiene la riforma. Probabilmente i media e i benpensanti, in un trionfo di correttezza politica, avrebbero gridato – giustamente – alla repressione, come già fanno (Vendola ha detto che lo Stato risponde con una “gestione criminale dell’ordine pubblico”), lamentando l’incultura, il disprezzo e l’incapacità di dialogare delle forze "reazionarie", che sui tetti non salgono perché le riforme si fanno appunto con i piedi per terra.

Ebbene, ora rovesciate i ruoli e scoprirete quello che ci è capitato in questi giorni, dopo che la fondazione Magna Carta e l’Occidentale hanno dato voce e visibilità all’appello del comitato "Difendiamo l’università dalla demagogia", a cui hanno aderito oltre 400 fra ordinari, associati, ricercatori del mondo dell’università pubblica e privata con l’idea di sostenere la riforma Gelmini (università privata che, per inciso, non è sinonimo di ingiustizia e prevaricazione, ma un’opportunità di scelta sancita dalla Costituzione).

Abbiamo deciso di raccontare quanto è accaduto perché ci sembra tristemente sintomatico di un’Italia che non cambia. La rappresentazione drammatica e per certi aspetti violenta della perenne guerra civile, che, come nel passato, rende indisponibile una parte del paese anche solo ad aprirsi alle ragioni di un’altra parte. Per dare il segno di quanto oggi, ben lontani dal secolo delle ideologie, vi sia ancora, nel mondo della cultura, ma non solo, un pregiudizio delegittimante e discriminatorio, che affonda le sue radici in una forma di intolleranza culturale, che troppo spesso si trasforma in intolleranza antropologica, che rasenta il limite dell’estremismo. E le idee estremiste portano con sé una carica di violenza, alimentano le peggiori repressioni, e anche laddove sembrano meno pericolose, obbligano i più deboli a nascondersi e ad uniformarsi ad un pensiero dominante. 

Questi i fatti. Un gruppo di professori universitari prevalentemente di area Magna Carta, ma non solo, ci hanno chiesto di diffondere tra i colleghi docenti, ordinari, associati e ricercatori, un appello in difesa non tanto di questo o quel ministro della Repubblica, ma del futuro dell’università a cui appartengono. Rientrando da sempre nelle aree di interesse della Fondazione, non ci siamo sottratti all’impegno. La casella di posta elettronica del comitato promotore dell’appello è stata letteralmente inondata di insulti che per eleganza tralasciamo di riportare in questa sede (anche se, vale la pena chiedersi, se e cosa possono insegnare professori che sanno usare solo l’offesa e il turpiloquio per esprimere la propria idea?).

Ma oltre alla scurrilità in sé la cosa che più ci ha colpito sono stati gli atteggiamenti sprezzantemente superbi, tipici di chi crede di avere la verità in tasca e considera qualcosa meno di un idiota chi non si accoda, il cinismo sardonico e avvilente, l’idea, insomma, che qualsiasi battaglia politica e culturale provenga da ambienti non identificabili con il mainstream e il politicamente corretto, in Italia sia per forza di cose mafiosa, corrotta, propagandistica, malvagia e faccia l’interesse del potere costituito.

Giorno dopo giorno abbiamo assistito a un montare di ostilità e avversione dal sapore antico un sapore che alla fine però ci ha lasciato l’impressione che un mondo – un vecchio mondo fatto di proteste che si ripetono stancamente, slogan e reazioni oltranziste – sia al tramonto, senta di essere finito, archiviato, ma non possa far altro che autoalimentarsi di volgarità e accuse per continuare ad esistere.

Ma la cosa più inquietante non è stato il trattamento riservato a noi – siamo uomini di mondo, non vogliamo fare le vittime, accettiamo anche le critiche più dure, soprattutto se le critiche hanno un fondamento –, a spaventarci sono stati i boicottaggi, le pubbliche gogne, le e-mail intimidatorie che sono cominciate a circolare immediatamente nelle sedi universitarie per stanare il traditore di turno e inchiodarlo ex cathedra alle sue responsabilità: la responsabilità di aver dato un giudizio positivo su una legge di riforma, di aver alzato il dito anche solo per dire di starci.

Una professoressa dell’Università di Pisa ha scritto ai colleghi informandoli di aver svolto un controllo sull’elenco dei firmatari pisani e di aver scoperto (sic!) che due sono pensionati (come se lo status di professore si perdesse con l’età) e che uno non le risulterebbe essere dipendente dell’ateneo. A proposito di quest’ultimo nominativo l’autrice dell’email, professoressa universitaria, si chiede se non  si tratti di "un’ospedaliero" (proprio così, con l’apostrofo!). La docente ha concluso invitando i colleghi ad effettuare un controllo per verificare di non essere stati inseriti indebitamente fra i firmatari dell’appello…

Un professore ordinario di ingegneria della Facoltà di Tor Vergata con fare travagliesco fa il pelo al comitato scientifico della nostra fondazione, evocando misteri e chissà quali sotterfugi.
Leggere per credere.

“Cari colleghi, ho ricevuto ieri un "appello" a sostegno della "riforma" dell’università, che personalmente non condivido (lo riporto qui in calce).
Tale appello risulta provenire da un indirizzo email di un fantomatico dominio "maggioranzasilenziosa.com": su tale sito ho trovato accidentalmente ben 16.000 indirizzi email di colleghi di tutte le università tra cui il Vostro, ai quali l’appello è stato presumibilmente inviato. Si tratta di indirizzi carpiti da una banca dati in modo probabilmente illegale e comunque utilizzati abusivamente.
Personalmente, NON aderisco all’appello, e mi stupisco sinceramente che colleghi alcuni dei quali altrimenti stimabili possano appoggiare questo progetto di devastazione dell’Università italiana frutto di un patto scellerato tra l’oligarchia dei rettori e il mondo politico e sindacale.
La "riforma" accentua la gerarchizzazione degli atenei e lo strapotere dei rettori; sottrae alla comunità scientifica i meccanismi del reclutamento, rimettendo tutto alle oligarchie locali; nasconde dietro il polverone della valutazione della ricerca scelte arbitrarie e clientelari; distrugge l’autonomia didattica e scientifica dei giovani studiosi riducendoli ad un precariato senza sbocco; dulcis in fundo, ripropone la promozione ope legis per persone che, in quanto scientificamente validissime, non meriterebbero un trattamento così infamante.
Mi chiedo quanti dei colleghi firmatari abbiano davvero letto il testo e abbiano ragionato sulle sue conseguenze, non limitandosi al proprio stretto contesto e alla propria limitata esperienza (o convenienza).
Questo attacco del sistema dei partiti al mondo accademico ha un precedente storico che non va dimenticato: il famigerato decreto Pedini. Fu allora l’ostruzionismo dei deputati del gruppo indipendente di sinistra, dei radicali e in extremis di un drappello di missini a salvare l’università italiana dal saccheggio. Oggi lo scenario si ripete: il futuro si giocherà sul filo del rasoio.
Non posso sperare che gli anonimi promotori dell’appello, ai quali ho scritto, abbiano la cortesia di trasmettere ai (presunti) firmatari questa mia risposta. Sarò grato dunque a chi vorrà diffonderla o comunque contribuire a contrastare questa scellerata iniziativa.
Alcuni colleghi cui ho scritto mi hanno chiesto di promuovere un contro-appello: provo a farlo artigianalmente sottoponendovi la mozione approvata all’unanimità dalla Facoltà di ingegneria di Tor Vergata il 24 novembre scorso:
"Alla luce degli ultimi gravi eventi collegati alla discussione del DDL Gelmini, la Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” esprime la propria preoccupazione:
– per i tagli a danno dell’Università Pubblica, lasciando pressoché inalterati i finanziamenti all’Università privata, e per il rafforzamento delle oligarchie;
– per la precarizzazione del ruolo del Ricercatore Universitario, che allontanerà dalla ricerca molti giovani di talento;
– per l’improvvisa accelerazione dell’iter parlamentare, peraltro con forzatura dei regolamenti, che non consente un’adeguata discussione e il necessario confronto."
Magari non tutti ci riconosceremo del tutto nelle posizioni espresse nella petizione, ma credo che valga la pena di unirsi e di diffonderla per fermare lo scempio in atto. Hanno già aderito migliaia di colleghi.
Sono consapevole che questa mia email dovrebbe essere considerata come spam, tanto più che sto usando anche io l’indirizzario di “maggioranzasilenziosa” di cui sono casualmente entrato in possesso, o almeno parte di esso. Ritengo che si tratti, però, di legittima difesa, e come vedete uso in modo trasparente un account con il mio nome. Chi fosse interessato a contattarmi troverà facilmente i miei recapiti presso la mia facoltà.
P.S.:
Un collega mi segnala che molti dei firmatari dell’appello sono legati alla fondazione “Magna Carta”, cui fa capo “L’occidentale”.
Il presidente onorario della Fondazione MagnaCarta è Gaetano Quagliarello, che è succeduto a Marcello Pera. Fanno parte del comitato scientifico esponenti politici della maggioranza come Benedetto Della Vedova (unico di FLI, a quanto pare però l’unico a decidere la linea del partito di Fini in materia di università), Alfredo Mantovano, Renato Brunetta, Margherita Boninver, Eugenia Roccella, Gustavo Selva, Maurizio Sacconi, Fiamma Nirenstein, Enrico La Loggia, Marco Taradash.
Molto rappresentate le università non statali (Luiss, Lumsa, Guglielmo Marconi, San Pio V, Carlo Cattaneo di Castellanza) (http://www.magna-carta.it/comitato-scientifico).
Nel consiglio d’amministrazione oltre a numerosi esponenti poilitici della maggioranza di governo e della sua "opposizione interna", ci sono Francesco Bellavista Caltagirone, Enrico Luca Biagiotti (consigliere della Banca di credito cooperativo fiorentino di Denis Verdini), Fabio Cerchiai (neo presidente di Autostrade per l’Italia), Edoardo Garrone (Confindustria, presidente del gruppo ERG), Roberta Lacava (Dirigente dell’Università Luiss Guido Carli di Roma), Fabrizio Lombardo Pijola (presidente di Antenna Sud e del consorzio RTP, che riunisce sedici televisioni, dieci radio e quattro web tv in Puglia), Gianmarco Moratti (figlio di Angelo, fratello di Massimo e marito di Letizia, presidente delle raffinerie Saras), Gina Nieri (Consigliere di Amministrazione Mediaset) (http://www.magna-carta.it/content/collaboratori)
Tra i fondatori ci sono Mediaset, l’Acqua Pia Antica Marcia di Caltagirone, tra gli aderenti Finmeccanica e ovvimente le aziende di diversi imprenditori meno noti che compongono il consiglio d’amministrazione (uno è candidato a sindaco a Milano con una lista civica di centro-destra)
(http://www.magna-carta.it/content/fondatori-e-aderenti)
 Poi c’è il "caso" Giacomo Elias, ex direttore dell’Invalsi, recentemente condannato dalla Corte dei Conti del Lazio a pagare un risarcimento di 924 mila euro per un appalto "inutile" (http://roma.repubblica.it/cronaca/2010/05/04/news/sprechi_per_i_test_a_scuola_condannati_due_dirigenti-3799557/ )(http://www.bur.it/sezioni/Foglietto_numero_1018.pdf). Che si dichiari a favore della legge "perchè stabilisce regole certe e trasparenti per disciplinare i casi di disavanzo finanziario e di mala gestione" sembra senza dubbio segno di ravvedimento.
Tra i firmatari anche Roberto De Mattei, ex vice presidente CNR, molto noto per le polemiche che aveva suscitato organizzando un convegno antievoluzionista, in cui si propagandava il creazionismo, proprio al CNR; nonché Roberto Cingolani, direttore del mostruoso Istituto Italiano di Tecnologia voluto da Grilli e Tremonti, con un budget pari a quello dell’intero sistema universitario”.

Un professore di fisica si è preso la briga di verificare se i nomi di chi ha aderito all’appello sono veri o falsi, se rientrano o meno nell’archivio del Miur o negli altri sistemi burocratici e ministeriali di uno Stato con la passione (malata) per le gerarchie i ruoli, le qualifiche i poteri da onorare e rispettare anche quando nel frattempo tutto intorno il resto va in rovina. E se un nome non è inserito nel Miur che scandalo! Chissà che farabutto… e che disonesti i promotori di un’iniziativa tanto scellerata quanto inopportuna. Quando poi vai a scoprire che ad aver firmato l’appello ci sono stati, debitamente inseriti in una lista a parte, per carità, fiori fiore di docenti che scrivono, pubblicano e insegnano come e forse molto meglio degli altri, ma non hanno il privilegio di un concorso pubblico alle spalle.

Che dire dell’acredine di chi sfotte le "americanate" (la tenure track per la valutazione del corpo docente), ma poi si lamenta perché a cinquant’anni è ancora un ricercatore sottopagato?
Che dire di chi scrive: “Non aderisco a questo appello e provo sincera vergogna per chi ha dato la propria adesione. Lo dico da ricercatrice estremamente coinvolta nel mondo della ricerca, cui ha dato, senza peccare di immodestia, grandi contributi, e che ha visto come si lavora all’estero”.

E si potrebbe continuare ancora a lungo. Altri commenti potete trovarli in questo articolo dell’Occidentale.

Ci consoliamo, con l’adesione di oltre 400 coraggiosi professori, tra cui, ultimo in ordine di tempo, di un irregolare come Antonino Zichichi (qualcuno avrà da ridire pure su questo?) e leggendo cosa ci scrivono tanti ricercatori universitari, proprio loro, sì, che sembrano essere i più bersagliati da questa riforma, tra cui una giovane studiosa emigrata negli Usa, una ragazza che non difende la Gelmini ma il sistema della ricerca universitaria nei paesi avanzati.

Capiamo la rabbia, la disillusione, il disfattismo che arieggia nelle aule universitarie. Ma questo non vuol dire avere licenza di sparare addosso a chi la pensa diversamente. Questa lezione ci permettiamo di darla persino ai professori dell’università italiana, pur non essendo accademici, pur non aver vinto concorsi.