Difesa appassionata e argomentata della scienza

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Difesa appassionata e argomentata della scienza

15 Marzo 2008

Il Novecento ha visto il sorpasso della scienza da parte della tecnologia: alla riflessione teorica, matrice di conoscenza e di cultura, si è sostituito un insieme di tecniche manipolative, sempre più orientate alle applicazioni immediate, che privilegia ciò che si può fare rispetto a ciò che si può capire e in cui è difficile ravvisare elementi culturali. Mentre la scienza affronta la complessità dei suoi oggetti di studio e cerca di costruirne modelli concettuali più semplici, la tecnologia nasconde la complessità dei suoi manufatti sotto una superficie ammiccante, che invita a partecipare a un grande gioco sociale e paritario.

Di fronte a questa concorrenza è inevitabile che la scienza, soda, ardua, impegnativa, perda terreno a favore del bricolage tecnologico, manipolativo e mentale. Le conseguenze sono: un calo d’interesse per l’attività di ricerca, calo dimostrato dalla crisi delle iscrizioni alle facoltà scientifiche; un’incomprensione crescente per i metodi e i contenuti della scienza, incomprensione che sfocia spesso in avversione se non in ostilità; un approfondimento del fossato che separa le due culture – scientifica e umanistica – e un irrigidimento reciproco dei loro rappresentanti.

Di fronte a questa profonda crisi della scienza si fa ricorso a rimedi che sono peggio del male, tra i quali spicca una moltiplicazione sfrenata dei cosiddetti festival che, all’insegna del divertimento, forniscono un’immagine godereccia e pecoreccia della scienza, che vorrebbe essere allettante ma che in realtà non contribuisce in nulla a destare un vero interesse da tradurre in alimento culturale nel senso vero del termine. Non è la mondanità dei festival che può fornire elementi per la costruzione di un sapere scientifico nel senso più nobile e ampio, che non resti al livello grettamente specialistico ma si inscriva in una cultura ampiamente umanistica.

Un altro “rimedio” adottato dai cosiddetti difensori della scienza consiste nell’accentuarne fino alla caricatura il carattere riduzionistico, materialistico e progressivo: la missione dello scienziato sarebbe quella di dare botte da orbi a filosofi, maghi, ciarlatani e religiosi senza distinzione di sorta, come se tutto il sapere dell’uomo fosse di origine e natura razionalcomputante e tutto il resto si potesse assimilare sotto l’etichetta dell’oscurantismo misticheggiante e regressivo. Questo atteggiamento dogmatico e intollerante è spesso incoraggiato da divulgatori ignoranti o in malafede, che alimentano nel pubblico false speranze, visioni semplicistiche, attese miracolistiche, interpretazioni svianti e contribuiscono all’appiattimento culturale (o alla distruzione pura e semplice della cultura).

Questo, rozzamente semplificato, è uno dei temi portanti del libro di Israel, che si segnala per una veemente e argomentata difesa della scienza – intesa come matrice di cultura e non di sapere specialistico – dai suoi veri nemici, gli scientisti che si autoproclamano rappresentanti della “vera” scienza. Ma non tutto è perduto: il libro contiene non soltanto una lucida e accorata diagnosi dei mali della scienza, ma, in filigrana, anche una strenua fiducia nelle capacità palingenetiche dell’uomo occidentale, che alla lunga riuscirà a superare questo Medio Evo della ragione e ad opporsi al tecnoscientismo dilagante.

Un altro tema centrale, legato a doppio filo al precedente, è la crisi della scuola: in nome della democrazia (parola magica che paralizza ogni resistenza e talvolta anche ogni ragionevolezza), si è, paradossalmente, creata una scuola di classe in cui a rimetterci sono, guarda caso, i più deboli per censo. Le tradizionali materie di studio, considerate troppo arcaiche per il fulgido nostro tempo e per l’uomo nuovo, sono state sostituite da fumose competenze da acquisire secondo un gioco di crediti e debiti in cui l’aspetto pratico va a scapito di quello concettuale e in cui lo studio è sostituito dalle esperienze e dalla costruzione di risultati propri: come se l’ontogenesi cognitiva dovesse e potesse ricapitolare la filogenesi cognitiva.

La distruzione della riforma Gentile, portata a compimento senza avere una valida proposta sostitutiva, ha portato via via alla dittatura dei pedagogisti, al trionfo della misurazione quantitativa di qualsiasi entità nominabile e alla pretesa oggettività del metodo docimologico, che in realtà rende freddo e impersonale qualsiasi rapporto tra docenti e discenti. Lo svilimento della professione dell’insegnante a burocrate valutante si è accompagnata a una crescente prevaricazione degli studenti, robustamente spalleggiati dai genitori, nei confronti dei docenti, sfiancati da un carico ingiustificabile di riunioni e di lavoro burocratico e avviliti dall’abolizione degli esami di riparazione. Nella scuola, conclude amaramente Israel, l’apprendimento è diventato “una ricostruzione giocosa dal nulla verso il nulla”.

Il terzo tema di fondo affrontato nel libro riguarda la crisi dell’Università (che mi ostino a scrivere con la maiuscola…), non più luogo di riflessione e fucina di cultura, bensì esamificio al servizio dell’imperativo socioeconomico di sfornare un numero crescente di laureati armati di “competenze” da inserire nel mondo produttivo. I guasti dell’amministrazione aziendale dell’università (l’ho scritto con la minuscola…) hanno portato a una concorrenza in cui predomina chi confeziona più laureati, dunque a un abbassamento generale del livello degli studi, aggravato da un parossismo burocratico-amministrativo che assorbe sempre più il tempo e le forze di quelli che dovrebbero essere docenti e ricercatori, e da una gestione sempre più sindacale dell’istituzione.

Contro questo disastro, dice giustamente Israel, il primo passo dovrebbe essere l’abolizione del valore legale della laurea (se ne parlava già negli anni sessanta, quando la crisi non era ancora conclamata, ma qualcuno più sensibile di altri l’avvertiva), seguita dal recupero della mobilità dei docenti e dall’abbattimento del feticcio autoreferenziale dell’impact factor. Ma non posso certo riassumere il volume di Israel, che merita di essere letto e meditato per il suo equilibrio, cui non nuoce la passione, e per la finezza argomentativa e la ricchezza documentaria (per esempio si leggano, nelle pagine finali, alcune perle di mala divulgazione).

Devo tuttavia almeno menzionare l’accento particolare che egli pone sull’insegnamento e l’apprendimento della sua materia, la matematica, devastati dall’incursione dei soliti pedagogisti velleitari e incompetenti e stritolati tra il formalismo logico-insiemistico e “le ridicole pratiche di ritaglio, incollaggio e manipolazione di oggetti”; la denuncia della perdita della dimensione narrativa della storia e delle discipline in genere; l’auspicata rivalutazione dei metodi tradizionali, selezionati e consacrati dalla tradizione, di cui andrebbero semmai corrette le manchevolezze; infine la denuncia della pesante interferenza delle forze di sinistra nei confronti della scuola (e della cultura in genere, si veda il capitolo terzo “Quel che non riuscì a Croce riuscì ai suoi ‘nemici'”).

Alla fine della lettura restano alcuni interrogativi: i fenomeni descritti sono negativi solo agli occhi di chi – come Israel e il sottoscritto e tanti altri – si è formato in un liceo classico sovrassaturo di cultura e che questa cultura (senz’altre qualificazioni) si è portato dietro per tutta la vita, oppure questi fenomeni sono intrinsecamente negativi, nel senso che porteranno a una società meno… (e qui bisognerebbe metterci qualche aggettivo dotato di senso e pregnanza: io scriverei “felice”)? Cioè: siamo nostalgici o profetici? Un’altra domanda: poiché questi fenomeni si inscrivono nel quadro di una trasformazione epocale della società (non solo quella italiana) per l’effetto combinato e accelerato di molte cause, tra cui proprio la marcia travolgente della tecnologia, il recupero auspicato da Israel sarà possibile? E se non lo sarà, c’è almeno la prospettiva che la sete di sapere dell’uomo (che do per insopprimibile) si concreti in una cultura “altra”, generata dall’ibrido uomo-macchina, da questo simbionte che sembra preludere a un nuovo stadio evolutivo della nostra specie?

Giorgio Israel, Chi sono i nemici della scienza?, Lindau, Torino, 2008, pagg. 346, euro 21,50.