Dilma “La Rossa”, le incognite sulla prima donna alla guida del Brasile

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Dilma “La Rossa”, le incognite sulla prima donna alla guida del Brasile

22 Gennaio 2011

Dal primo gennaio 2011 il Brasile ha un nuovo presidente, il quinto a guidare il Paese dalla fine della dittatura e il ventesimo dalla proclamazione della Repubblica. E per la prima volta nella sua storia si tratta di una donna. Era una vittoria annunciata quella che Dilma Rousseff, la pupilla di Luiz Inácio Lula da Silva, ha conquistato lo scorso 31 ottobre battendo al ballottaggio con il 56% dei voti il suo concorrente socialdemocratico, José Serra.

Economista, 63 anni, membro del Partido dos Trabalhadores, ex guerrigliera, imprigionata e torturata negli anni della dittatura, ex ministro dell’Energia, numero uno della Casa Civil, Dilma, ribattezzata dalla stampa bulgara la “dama di ferro”, si presenta agli occhi dell’opinione pubblica come un presidente autorevole. Almeno apparentemente, perché nel caso specifico vale il detto ‘non è tutto oro quello che luccica’. La ‘presidentessa’, infatti, non spicca per carisma e le perplessità sulla gestione dell’eredità – il governo della prima economia latinoamericana – cedutale dal suo predecessore non sono poche.

Già vittima dello scandalo sulla creazione, da parte dei coordinatori della sua campagna elettorale, di un presunto dossier contro il suo concorrente José Serra, e conosciuta anche per essere la prima candidata alla presidenza a essere multata per aver fatto propaganda illegale nelle ultime elezioni, La Rousseff – che ha occupato la poltrona presidenziale proprio grazie al traino che Lula le ha offerto – dovrà dimostrare di saper governare senza la mediazione e i suggerimenti del suo mentore e protettore. Compito non facile che richiede molta prudenza ed equilibrio, doti che all’intransigente e integerrima signora sono pressoché sconosciute.

Un punto interrogativo, poi, è quanto l’ideologia che la lega al suo partito possa effettivamente ostacolare la realizzazione delle riforme di cui il Brasile (come anche i due paesi emergenti, Cina e India) ha bisogno per poter continuare a crescere: quelle sulla sicurezza sociale, del lavoro, la modernizzazione del diritto tributario e il taglio della spesa pubblica – il “partito della spesa”, che ha avuto gioco facile nell’ultimo anno elettorale e ha annoverato fra i suoi esponenti principali proprio Dilma Rousseff e il ministro dell’Economia, Montega (appena riconfermato), dovrà prendere atto che il contenimento del deficit 2010 è dipeso in larga misura da operazioni eccezionali (la vendita delle concessioni petrolifere) e dovrà affrontare alcuni nodi strutturali del paese: la riforma delle pensioni; i costi del federalismo brasiliano e del settore pubblico, che assorbe il 20% del Pil.

Senza dimenticare, poi, la capacità tattica che l’attuale presidente – che ha per il momento promesso l’impiego di 6 milioni di dollari in radar, veicoli blindati e aerei per sorvegliare la zona – dovrà sfoderare per gestire al meglio il controllo dei confini, in corrispondenza della temuta ‘Tripla Frontiera’, porto franco per qualsivoglia tipo di traffici, dove si danno appuntamento cartelli narcos sudamericani piuttosto che gli Hezbollah libanesi, che rappresenta un serio pericolo per la stabilità interna del Paese. Altre situazioni su cui rimboccarsi le maniche saranno: abbattere la corruzione che affligge gran parte della classe politica brasiliana, soprattutto a livello locale, migliorare il sistema scolastico, inaccessibile o lacunoso, e rendere le favelas più vivibili e meno violente.

Due questioni scottanti riguardano, inoltre, l’ambiente e i temi bioetici. Sul primo punto, gran parte dei brasiliani non è più disposta a transigere sulla tutela dell’Amazzonia e del Cerrado. Lo conferma il 20% di voti ottenuto al primo turno dall’ambientalista Marina Silva che criticò aspramente l’operato della Rousseff quando era Ministro delle Miniere e dell’Energia. Una “fanatica” degli investimenti nel campo dell’energia, quale Dilma, riuscirà ad abbracciare una politica verde ad ampio raggio?

Stessi dubbi affiorano in riferimento a un delicatissimo tema bioetico, quello dell’aborto, che l’ha vista fare (forzatamente) dietrofront durante la campagna elettorale per ingraziarsi i voti della frangia cattolica ed evangelista, che l’accusava fino a quel momento di volerne favorire la legalizzazione. Secondo informazioni diffuse dal giornale O Estado de S. Paolo, il programma di governo della Rousseff registrato presso il Tribunale Superiore Elettorale del Brasile (TSE) il 6 luglio 2010, ha avuto due differenti versioni nel giro di poche ore. Inizialmente il partito consegnò un libretto di 19 pagine, tutte redatte dalla candidata, con temi controversi come il controllo dei media e l’aborto. Qualche ora dopo fu inviata una seconda versione, depurata dai temi definiti più “radicali” da diversi periodici, firmata da avvocati procuratori del PT.  Sarà in grado una donna come lei, forgiata da decenni nel sindacato dei metalmeccanici e caratterizzata per la sua inflessibilità, a mantenere l’equilibrio con queste volontà senza far prevalere le sue prerogative?

Poi c’è la politica estera. A fronte di un Lula che in questi anni ha giocato a tutto campo, cercando di promuovere l’immagine di chi è amico di tutti e nemico di nessuno (vedi la firma dell’asse del bioetanolo con Bush mentre un suo ministro firmava un accordo sulla Banca del Sud con Chávez; la visita in Iran dopo quella con Israele; i viaggi dal Forum Sociale Mondiale a quello Economico di Davos), in che modo un tecnocrate (poco diplomatico) come Dilma muoverà le sue pedine sullo scacchiere internazionale? L’attuale presidente brasiliano non è in grado di mettere sul tavolo nuove idee e il Brasile potrebbe continuare a dimostrarsi accomodante nei confronti di nazioni dai tratti marcatamente antioccidentali, come l’Iran e il Venezuela.

Che dire, poi, della decisione che la Rousseff assumerà in merito all’estradizione di Cesare Battisti – su cui Lula si espresse con un secco ‘no’ –, che ha già inciso non poco sulle relazioni bilaterali tra Italia e Brasile? Prima che ottenesse la gloria, Dilma aveva promesso al nostro Paese “se sarò eletta rimanderò Battisti in Italia”. Non resta che vedere se anche su questo l’“Iron Lady” farà inversione a U. Del resto, “Dilma è la persona più democratica del mondo, a patto che si concordi al 100% con lei”. Questa definizione di Luciano Zica, ex deputato federale con cui la Rousseff è giunta ai ferri corti più volte, non potrebbe descrive meglio il personaggio.