Dimenticate i radical-chic, la sinistra è diventata nazional-popolare

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Dimenticate i radical-chic, la sinistra è diventata nazional-popolare

27 Febbraio 2011

Forse Prodi, da buon emiliano, avrà ecceduto col Lambrusco quando ha parlato di differenza antropologica col Cav. e forse Umberto Eco eclissato da Dan Brown e Ken Follett cercava solo un po’ di pubblicità, quando ha paragonato Berlusconi a Hitler a Gerusalemme. A Sanremo, però, con la vittoria di Vecchioni, con i compagni Morandi e Benigni, si è vista la sinistra nazionalpopolare, anzi arcitaliana, quella che preferisce la Bellucci a Kant prima di addormentarsi. A  Vecchioni piace definire aristocratica Chiamami ancora amore, ma la canzone è aristocratica come la faccia di Livia Turco o quella di Rosy Bindi, due personaggi che avrebbero tenuto banco nelle veglie contadine all’inizio del secolo scorso. Quella di Vecchioni non è neppure una canzone politica, perché ciò che rimane in mente è solo “Chiamami ancora amore/ Chiamami sempre amore”, un refrain cantabile da tutti, a tutte le età, adatto a tutte le stagioni dell’amore.

Vecchioni furbetto strizza l’occhio un po’ a tutti per fare comprare la canzone: agli studenti così belli a gridare nelle piazze, ai disoccupati, ai soldati in missione, ma anche al bastardo ( sicuramente berlusconiano) che sta sempre al sole, ai fasci con “la nostra memoria gettata al vento”, senza dimenticare i cattolici, col “ sorriso di Dio in questo sputo di universo”. Sanremo con Benigni col fatale cavallo bianco, manco fosse il Duce in attesa di entrare ad Alessandria d’Egitto, a parlare di Mameli come se fosse Berlinguer, è il trionfo del trasformismo bonaccione italico, un volemose bene che riconcilia la sinistra con la nazione e lascia gli Eco & C. incartati sulla spiaggia Capalbio, mentre il toscanaccio si fa la villa a Forte dei Marmi. 

Sanremo è stato anche un inno all’amore coniugale con Morandi perduto nel decolté della Bellucci e il vispo sessantasettenne Vecchioni, con la polo, in piena forma, con la dedica alla moglie che contro la sinistra radical chic ha lanciato un appello per non lasciare Sanremo alla destra. Anche la moglie del vincitore di Sanremo, come vuole la tradizione ha il suo momento di gloria: intervistata dal Riformista ha detto che Bersani l’ha delusa, Vendola pure, non sente più Nanni Moretti, però Filippo Rossi di Fare Futuro ha capito la canzone e  sì, certo, Ruby è agghiacciante, cavolo la dignità della donna!

Lasciamo Michele Serra a consolarsi coi pannicelli caldi che l’esaltazione dell’inno di Benigni sia una vittoria della sinistra contro l’egemonia cinica del centrodestra: sappiamo bene quanto la sinistra abbia osteggiato per più di mezzo secolo qualsiasi sentimento di patriottismo negli italiani, dando di fascista a chiunque usasse la parola patria, ed è una bella soddisfazione vedere Benigni sventolare il tricolore e celebrare Mameli. E’ bastato qualche urlaccio di Bossi per far diventare patriota la sinistra. Anche se va detto, che alla faccia dei suoi accademici, giornalisti, registi, attori e conduttori televisivi, il popolo di sinistra nel complesso anti-italiano non è mai stato: ha sempre tifato per la Nazionale, e sfogava il patriottismo nazionale represso dal Partito nel patriottismo regionale e cittadino.

L’anomalia italiana è semmai, come ha scritto recentemente Ostellino, che alla maggioranza di centrodestra del paese corrisponda nell’establishment culturale un’egemonia di sinistra, che ha occupato tutte le postazioni e per mantenerle si ricicla, adottando i valori del centrodestra, il patriottismo prima di tutto. Ma questa è la sconfitta più eclatante di Repubblica, il vero intellettuale collettivo della sinistra, perché è costretta a sconfessare i suoi mandarini, che per decenni hanno tuonato contro la nazione, sinonimo di fascismo, se non di nazismo.

Occorre anche rendersi conto che oltre la gente che va in piazza con la Cgil a gridare contro la dignità delle donne offesa dal premier c’è qualcos’altro che Rep non è in grado di intercettare. Sono le nuove generazioni, soprattutto ragazze, che le vecchie femministe descrivono senza morale, pronte a vendersi, a diventare escort. Ho chiesto a una studentessa cosa fosse per lei libertà. “E’ la libertà interiore” ha risposto. Ho chiesto di spiegarmi meglio cosa intendeva. “La libertà interiore significa essere libera nei giudizi, nelle scelte, essere sicura della mia volontà”. C’è una sensibilità e consapevolezza nuova  nei giovani  che le femministe preoccupate del testimone non raccolto non riescono più a percepire.

Ho chiesto a un neolaureato in ingegneria informatica se i suoi coetanei non lasciassero casa perché i genitori sono amici e li lasciano portare a casa le ragazze e la risposta è stata: “Perché anche lei era una femminista perseguitata dalla famiglia? Non ho mai portato a letto una ragazza in casa dei miei, anche se i miei non avrebbero detto niente, perché non andava a me, volevo la mia privacy”. I nuovi giovani hanno dietro di sé l’esperienza di madri, zie, perfino nonne femministe e non sono sempre teneri con loro. Durante la giornata della manifestazione per la dignità della donna, si potevano ascoltare i commenti di un gruppo di liceali. “Sì, ci va anche la mia alla manifestazione… Sono nata perché non ha fatto in tempo ad abortire…Figurati se gli chiedeva  di mettersi il preservativo….aveva paura la mollasse. Altro che femminista, era come quella là  col desiderio irrefrenabile… Altro che desiderio irrefrenabile, aveva paura la mollasse… Speriamo di non diventare come loro…”. Attenzione, sono le nuove streghe! Sono nate e cresciute con la televisione e come i loro coetanei chattano tra loro, non la bevono tanto facilmente e hanno voglia di rottamare la sinistra, guri di Rep. compresi.