Dio salvi la regina. E il suo servizio da tè di porcellana

Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Dio salvi la regina. E il suo servizio da tè di porcellana

09 Gennaio 2009

Dio salvi la regina. E il suo servizio da tè di porcellana. Perché la crisi economica “made in suprime” non sembra voler proprio guardare in faccia niente e nessuno: né alla storia, né al prestigio, né al blasone. E’ stato proprio così che in questi ultimi tempi, nel vorace tritacarne della crisi che manda in tilt i bilanci di molte aziende e fa chiudere i battenti a tutte le altre, è finita anche la Wedgwood, la casa artigiana da sempre considerata dai sudditi di Sua Maestà Britannica la “regina” delle porcellane. Adesso, con le vacche magre che ruminano voracemente non solo i dollari, ma anche le sterline, quasi 300 anni di storia rischiano di andarsene in fumo. Pardon, in bricioli. Proprio come una finissima chicchera che cada dal suo ripiano.

Anche per la storica Wedgwood, infatti, è scattato il regime di amministrazione controllata, dopo cinque anni di tiro alla cinghia per far stare a galla il marchio nonostante la chiusura dei bilanci fosse sempre, irrimediabilmente in rosso. Il gruppo anglo-irlandese Waterford-Wedgwood, proprietario della casa artigiana, ha tirato avanti finché ha potuto: ma da quest’anno i suoi creditori hanno chiuso i rubinetti delle bombole ad ossigeno. Prima fra tutte la Bank of America, sua creditrice principale. L’istituto di credito statunitense, fino a poco tempo fa considerato una corazzata inaffondabile nei sette mari della finanza internazionale, ed ora a rischio di colata a picco come un altro inaffondabile, il Titanic, ha risposto con un secco no ai “cugini” d’Oltreoceano che imploravano un’estensione dei prestiti. “Niente soldi, siamo in crisi”. Ora che il valore delle azioni Wedgwood è sceso alla ridicola cifra di 0,001 euro ciascuna, e nessuno pare intenzionato ad immettere nuova linfa vitale nelle casse esangui della ditta, oltre alla nobile aura del brand sono a rischio quasi tremila posti di lavoro manufatturiero d’eccellenza.

Ma non è sempre stato così. C’è stato un tempo in cui, nelle terre d’Albione, per le dame della upper class sfoggiare un servizio di porcellana marchiato Wedgwood era un po’ come per i loro figli e mariti andarsene in giro con al fianco della loro divisa di ufficiale di marina una splendida sciabola Wilkinson: un segno di distinzione sociale, di prestigio, di estremo buon gusto e di indubbio benessere.

La casa delle porcellane d’autore era stata fondata nel 1759 da Josiah Wedgwood, un impareggiabile artista nel suo campo. Tanto bravo che nel giro di pochissimi anni l’azienda artigiana da lui fondata si era trasformata in un colosso, conquistando con il suo prestigio le preferenze di regnanti e nobili di mezza Europa, e anche un po’ più in là. E’ entrata nella storia, ad esempio, la storica commissione ordinata dalla zarina Caterina di Russia, che volle per se’ dalla Wedgwood un servizio di ben 952 pezzi. Merito di tanto successo furono all’inizio soprattutto le simpatie di Carlotta, principessa consorte di re Giorgio III, il sovrano che perse 13 colonie del nord America nella guerra d’indipendenza. Carlotta si innamorò perdutamente di quelle porcellane, tanto da conferire a Josiah la qualifica di Ceramista di Sua Maestà, e da elargire un titolo anche al servizio che Wedgwood aveva fabbricato per lei: da quel giorno, “il Servizio della Regina”. E se è vero che la pubblicità è l’anima del commercio, essere sponsorizzato dal monarca più potente della terra significava all’epoca aver saldamente raccomandato l’anima del proprio commercio a tutti i santi del paradiso.

Inaccettabile, dunque, per qualsiasi figlio d’Inghilterra che si rispetti, lasciare scomparire nel nulla un marchio che da sempre ha rappresentato nel mondo tutto lo stile ed il lusso Made in Britain. Così gli amministratori della Wedgwood di oggi, Angus Martin e David Carson si stanno dando da fare molto seriamente nella battuta di caccia grossa ad un nuovo acquirente. Anche straniero, purché danaroso: come avvenuto per la Rolls Royce e la Rover, le blasonate case automobilistiche “cadute” l’una in mano tedesca e l’altra cinese ma pur sempre vive e britannicissime nel cuore di ogni inglese. Perché l’orgoglio patriottico sarà pur sempre l’orgoglio patriottico, ma in casa Wedgwood sono anche disposti a chiudere un occhio sul pedigree del futuro acquirente se questo potrà consentire una serena e prosperosa sopravvivenza alla casa di porcellane che ha affascinato così tanti monarchi devoti a San Giorgio.

Pare che le offerte d’acquisto non siano mancate, e soprattutto che siano di portata tale da poter garantire sia agli attuali proprietari di concludere un buon affare, che al marchio di assicurarsi una lunga vita anche in futuro. La più concreta, fino ad ora, è quella pervenuta nella sede di Dublino da parte di una private equity americana, che ha messo sul piatto una posta di 280 milioni di dollari sonanti per diventare azionista di maggioranza del gruppo. Quasi un milione per ogni anno di storia Wedgwood, che potrebbe far entrare i nuovi acquirenti nel libro dei primati: nemmeno l’opulentissima zarina Caterina di Russia aveva mai speso tanto per un servizio da tè.