Dio salvi la Regina (ed il bipolarismo)

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Dio salvi la Regina (ed il bipolarismo)

08 Maggio 2010

Possiamo tirare un sospiro di sollievo: anche questa volta i "corvi" sono stati sconfitti. Le profezie sull’imminente crollo del sistema bipolare inglese, sul successo del terzo polo che avrebbe messo in crisi il modello Westminster sono state smentite. Certo, i conservatori hanno vinto ma non dispongono della maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni. Certo, dopo 35 anni gli Inglesi avranno di nuovo un hung Parliament. Certo, a questo punto le prospettive sono due: o un inusuale (per le abitudini britanniche) governo di coalizione o un governo di minoranza, che presumibilmente guiderà rapidamente il Paese ad una nuova consultazione elettorale. Ed entrambe potrebbero essere notizie non buone soprattutto in una fase di crisi economica e di fibrillazione finanziaria. Ma almeno una cosa è salva: l’impianto della democrazia inglese, la più antica democrazia del mondo, rimane saldamente ancorato al bipolarismo. Anche questa volta, i sudditi di Sua Maestà hanno bocciato la prospettiva del terzo polo, hanno saputo resistere alle tentazioni proporzionalistiche (che sarebbero inevitabilmente derivate dalla vittoria del terzo polo), hanno confermato la loro preferenze per quel modello di democrazia decidente che ormai da tempo immemorabile coniuga rappresentanza democratica e capacità decisionale. Nonostante il fascino del terzo uomo, nonostante le sue indubbie qualità telegeniche, nonostante il clamoroso endorsement in suo favore del Guardian e dell’Observer, i Lib-dem di Nick Clegg hanno raggranellato un modesto 23% di voti (più o meno quanti ne ottennero nelle precedenti elezioni del 2005) con soli 57 seggi (5 in meno della precedente tornata).

Ma le elezioni inglesi sono importanti oltre che per il risultato in sé, anche per le riflessioni che inevitabilmente determinano su un tema – il bipolarismo – che è ormai da diversi anni al centro del nostro dibattito politico. Dopo decenni di palude proporzionalistica, dopo anni di ingovernabilità e di confronto politico giocato tutto sulle identità e sull’appartenenza ideologica, anche l’Italia si è finalmente e faticosamente incamminata sulla strada delle democrazie moderne tutte inevitabilmente costruite attorno alla competizione fra due partiti a vocazione maggioritaria che si contendono il governo del Paese e che, sulla base del giudizio degli elettori sui risultati raggiunti, si alternano al potere. Ma naturalmente la nostra transizione, come tutte le transizioni, è stata dolorosa perché ha inevitabilmente lasciato sul campo alcuni morti e feriti. E così sono morti i partiti (tutti i partiti) della Prima Repubblica. E così è rimasto ferito quell’atteggiamento (a metà fra la furbizia e la codardia) così diffuso nella nostra classe politica di chi alla trasparenza, alla chiarezza ed alla durezza (chi perde la partita va a casa) del confronto politico maggioritario preferisce il più rassicurante gioco della mediazione, dei negoziati, delle alleanze post-elettorali, dei confronti in Parlamento, che, spacciati in nome dei più alti valori della democrazia e del pluralismo, in realtà nascondono solo l’interesse all’inamovibilità della classe politica. Ed è per questo che da noi il "terzo uomo" esercita un fascino irresistibile. Ieri era François Bayrou, oggi Nick Clegg. Chiunque pur di smantellare l’odiato bipolarismo. Si tratta quasi di un riflesso edipico. Del desiderio di veder ritornare il bel (bello ovviamente solo per alcuni) tempo che fu.

Ma questo atteggiamento forse comprensibile attraverso le categorie della psicoanalisi, è del tutto fallace se esaminato in una prospettiva politica. Il fatto è che l’evoluzione della politica italiana in senso maggioritario è bipolare non è stato un capriccio della storia o il frutto della spregiudicata strategia di Silvio Berlusconi, imprenditore prestato alla politica che, secondo i suoi detrattori, ha applicato a questa nobile attività le logiche gli schemi del mondo degli affari finalizzati alla massimizzazione del profitto. Occorre piuttosto riconoscere che il nuovo corso della politica italiana deriva dai profondi movimenti che ha registrato la società italiana negli ultimi trent’anni. Il vecchio sistema politico si fondava sull’esistenza nella società civile di identità politiche statiche, numerose e soprattutto irriducibili fra di loro. Erano gli anni in cui il confronto era fra fascisti e antifascisti, fra monarchici e repubblicani, fra comunisti ed anti comunisti, fra cattolici e laici. In un contesto del genere era inevitabile che il sistema politico si strutturasse in modo da garantire al massima capacità di rappresentanza naturalmente anche a scapito della capacità di governo e di decisione.

Ma oggi il mondo è cambiato. Le vecchie identità novecentesche sono in alcuni casi del tutto tramontate (sotto il peso del proprio fallimento) in altre si sono molto scolorite. Oggi la società è molto più mobile, l’opinione pubblica molto più mutevole, la comunicazione molto più rapida, le forme di aggregazione e di scambio sociale molto più articolate e diffuse. E non ha molto senso immaginare di riprodurre nel nuovo contesto un sistema politico basato su identità partitiche forti e chiuse. Nel quadro attuale il modo migliore per garantire concorrenzialità del mercato politico, capacità e rapidità decisionale, trasparenza dei processi politici e controllo democratico è proprio il bipolarismo. Ed è per queste ragioni che abbiamo una sola preghiera: "Dio salvi la Regina (ed il bipolarismo)".