Diritti Umani: gli Usa li difendono, all’Onu si combattono
25 Marzo 2008
A Ginevra è in corso la VI sessione del Consiglio per i
diritti umani dell’ONU che si concluderà il 28 marzo e le difficoltà nuovamente
si fanno sentire. Solo che molta stampa italiana continua a darne la colpa
principale agli Stati Uniti, che non si impegnerebbero a fondo per il buon
funzionamento dell’Organismo, anche perché non vogliono che Abu Grahib e
Guantanamo vengano messi all’ordine del giorno. Ma a ben guardare le cose
sembrano stare diversamente. I responsabili del difettoso funzionamento di
questo importante organismo sono i paesi islamici, l’assenteismo politico degli
europei e tutti quei paesi non democratici che intendono il Consiglio come una
vetrina dalla quale lanciare la loro propaganda interessata.
Cominciamo da quest’ultimo aspetto. Il 3 marzo scorso, all’apertura
della Sessione, il segretario generale dell’ONU Ban ki-moon ha voluto parlare
ai 47 membri del Consiglio e al suo presidente che attualmente è il russo
Vitaly Churkin. Egli ha invitato il Consiglio ad applicare “universalmente i diritti
umani senza favoritismi, senza selettività, senza rimanere invischiati in nessun
tipo di macchinazione politica”. Nel dibattito che ne è seguito, però, il
rappresentante serbo Vuk Jeremic ha condannato le violazioni dei diritti umani
dei kosovari, il ministro degli Esteri cubano ha accusato gli USA per l’embargo
al suo paese e il ministro della Giustizia sudanese Mohamed Ali Al-Mardi ha
difeso l’azione del proprio governo nel Darfur e ha provocatoriamente garantito
il pieno appoggio del suo paese all’azione del Consiglio per i diritti umani. Alla
logica universalistica proposta da Ben ki-moon si contrappone troppo spesso una
logica particolaristica.
Se guardiamo poi all’azione dei paesi islamici, si comprende
ancora meglio quali siano i veri motivi dello stallo del Consiglio. Giovedì 6
marzo il Consiglio ha approvato una mozione di condanna degli attacchi
israeliani nella Striscia di Gaza, dichiarandoli contrari al diritto
internazionale in quanto colpiscono i civili. La proposta è stata fatta dal
Pakistan a nome della Conferenza islamica con l’appoggio della Lega degli Stati
arabi: 33 voti a favore, 13 astenuti e uno contrario, quello del Canada. Quando
un gruppo terroristico ha fatto strage di israeliani nella scuola rabbinica la
Libia si è opposta alla condanna da parte del Consiglio per i diritti umani.
L’ambasciatore statunitense Zalmay Khalilzad ha detto che questo tipo di
decisioni impediscono al Consiglio di svolgere un ruolo pacificatore nella
regione. Del resto, già lo scorso gennaio la Libia aveva bloccato una
dichiarazione del Consiglio esprimente “preoccupazione” per la sicurezza delle
persone lungo la caotica linea Gaza-Egitto. Come si vede gli Stati islamici
hanno una coerenza di azione, mentre gli europei non sanno che astenersi.
La tesi della colpevolezza degli Stati Uniti quindi non
regge. Non per caso il nuovo ambasciatore degli USA presso la Santa Sede, Mary
Ann Glendon, incontrando il papa per le credenziali sabato 29 febbraio, ha
voluto ricordare l’impegno del suo paese per i diritti umani: dal progetto
“Citizen Dialog” di cooperazione tra cittadini americani musulmani e comunità
musulmane nel mondo, ai programmi contro il traffico di esseri umani, dal
“Millennium Challenge Account” volto a favorire la trasparenza e lo Stato di
diritto nei paesi in via di sviluppo, agli aiuti alimentari mondiali che
provengono per la metà dagli Stati Uniti all’“Emergency Plan for Aids Relief”
con cui si stanno curando 1,4 milioni di persone.