Divisa e impaurita, l’Europa se non reagisce è perduta
22 Marzo 2016
Adesso avremo due settimane di dibattiti fra chi propone la chiusura delle frontiere con il silicone e chi sostiene che in fondo L’Occidente se l’è voluta e dovremmo accogliere tutti con ghirlande di fiori al grido di peace and love. Assisteremo ad ore ed ore di trasmissioni che ci faranno vedere i luoghi degli attentati, dove vivevano gli attentatori, la loro vita, i loro parenti e a corollario drammatico le vite spezzate di coloro che inconsapevolmente in una mattina di marzo sono andati incontro alla morte in un aereoporto e in metropolitana. Luoghi che da località di transito e lavoro si sono trasformati, in pochi secondi, nell’inferno in terra.
Esprimeremo la nostra solidarietà istituzionale al popolo belga, qualche manifestazione, commemorazioni, insomma tutta quella ritualità in cui siamo bravissimi, poi, tutti a casa fino al prossimo massacro. Perché se pensiamo che questa storia finisca tra Parigi e Bruxelles continueremo a fare finta di non capire cosa significhi dover affrontare problemi di dimensioni globali, ovvero, espressioni di questa nostra epoca in cui tutto è interconnesso. Pensare che all’entità, alle dimensioni dei problemi che abbiamo dinanzi si possa rispondere con l’inadeguatezza di politiche non comuni rispetto alla sicurezza, all’immigrazione, all’instabilità del Medio Oriente, delle sponde meridionali del Mediterraneo e della fascia dei paesi subsahariani, è follia.
Una follia che parla della inadeguatezza e codardia di una classe dirigente politica europea annichilita da settanta anni di pace in cui abbiamo demandato le decisioni più dure ad altri, illudendoci di poter costruire e vivere in un continente svincolato da ciò che accade drammaticamente ogni giorno intorno a noi ed oggi, anzi, da ieri anche dentro casa nostra. Non è con i muri che ci difenderemo. Gli Spartani a chi gli chiedeva perché Sparta non avesse mura rispondevano che una città non deve essere difesa da pietre e legno ma dal coraggio dei suoi abitanti. Figuriamoci in un momento in cui la gran parte delle minacce provengono da chi già è dentro la città. E allora questa citazione sta semplicemente a significare che la realtà va vista per quello che è.
Se si è, come si è, dinanzi a una minaccia globale, la risposta non può che essere globale e non può essere demandata ad altri. Continuare a credere che il problema profughi possa essere addossato ai turchi, piuttosto che a noi ed ai greci, è un gravissimo errore. Come è un errore gravissimo pensare che ciò che sta accadendo in Libia, Siria e nell Africa sub-sahariana non ci tocchi più di tanto e debba essere risolto dai libici, piuttosto che dai siriani. La realtà ci sta dicendo con forza che queste situazioni sono tutte collegate e portano, in un modo o nell’altro, come punto di caduta ultimo dentro casa nostra.
Se capiamo questo, se prendiamo realmente coscienza di questo, comprenderemo anche come le parole di Valls non siano una esagerazione. Siamo in guerra, una guerra non convenzionale, ma, di fatto, siamo in uno stato di conflitto che ha un fronte interno ed uno esterno ed una emergenza umanitaria che ogni giorno diventa più drammatica. In questo contesto, va bene ponderare con attenzione, va benissimo cercare e sviluppare alleanze con i paesi che rappresentano la front line con questi accadimenti, ma non iniziare a pensare seriamente a come interagire con questa realtà in maniera più concreta ed attenta, credendo che distanza, pietismi o muri possano salvaguardarci sarebbe una colpevole omissione, foriera di disastri inimmaginabili.