Dolore e sgomento per gli attacchi a Bruxelles ma lavoriamo perché tutto questo non si ripeta in Italia
22 Marzo 2016
Al momento sarebbero 34 le vittime e più di cento i feriti dell’attacco terrorista che ha colpito l’aeroporto di Zaventem e la stazione della metropolitana a Maelbeek, nel cuore del quartiere europeo di Bruxelles, in Belgio. Una violenza che lascia sgomenti, mostrando come il terrorismo ormai in Europa sia fuori controllo: subito dopo l’arresto di Salah Abdeslam, uno dei boia di Parigi, altre cellule animalesche si sono messe in azione per mietere sangue, forse temendo di essere braccate.
E’ l’ora del dolore e della commozione, ma il ripetersi degli attentati in mezza Europa deve farci allo stesso tempo riflettere sul perché fino adesso l’Italia non sia stata colpita dal terrore islamista e spingerci a lavorare ventre a terra per evitare che tutto questo possa ripetersi nel nostro Paese. Siamo europei, colpire Bruxelles significa colpire l’Europa, e quindi la risposta agli atti degenerati del terrorismo dovrà essere unitaria. Ma c’è anche una dimensione della sicurezza interna sulla quale va fatto un ragionamento e che non può essere sottovalutata.
Dopo il duplice attentato di stamattina in Belgio, anche a Roma è stato alzata al livello massimo l’allerta negli aeroporti Leonardo da Vinci e di Fiumicino, ma anche nei porti e nelle metropolitane, in attesa che si riunisca il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Chiediamoci allora, perché non viene colpita l’Italia?
1. "QUARTIERI-GHETTO". Nelle nostre grandi città, Milano, Roma, Torino, Napoli, non ci sono, o perlomeno non ci sono ancora, grandi concentrazioni di immigrazione fuori controllo come avviene nei "ghetti" delle capitali nordeuropee, si pensi a quello che è accaduto nei giorni scorsi a Molenbeek, sempre a Bruxelles, quando le forze della sicurezza, entrate nel quartiere per assicurare alla giustizia Salah, sono state prese di mira dagli abitanti della zona che a quanto pare considerano quel territorio roba loro, zona franca dove si può anzi si deve nascondere un assassino.
Nel nostro Paese abbiamo fenomeni urbani di concentrazione degli immigrati, per esempio i cinesi a Prato o nel quartiere di Piazza Vittorio a Roma, ma queste comunità non rappresentano certo una minaccia per l’Italia, come invece sta accadendo nelle metropoli del Nord Europa, dove i modelli multiculturali e dell’assimilazionismo hanno prodotto lo sfascio che è sotto gli occhi di tutti. C’è dunque un discorso da fare su urbanesimo, sicurezza e immigrazione, tema su cui occorre continuare a lavorare per evitare di ritrovarci anche noi con aree senza controllo che fanno da palude al terrore.
2. MARESCIALLO E POLIZIOTTO DI QUARTIERE. Esperti come Edward Luttwak hanno evidenziato più volte che il modello della sicurezza italiano, quello, per intenderci del maresciallo dei Carabinieri che conosce il suo quartiere, funziona meglio che altrove, in particolare nell’ambito della "controsorveglianza", cioè del controllo di prossimità, del monitoraggio di personaggi e individui sospetti nelle vicinanze di obiettivi sensibili e non.
"Gli stessi vigili urbani che a Napoli chiudono un occhio davanti alle macchine parcheggiate in doppia fila," ha detto Luttwak in una intervista a Libero, "poi però conoscono il loro territorio, la loro gente. Se di colpo un vu cumprà compare con una barba lunga, se la moglie si mostra avvolta nello hijab nero, ecco che per loro questo è un segnale. Ed è un segnale! Non è una moda, è un segnale di radicalizzazione".
Morale: il governo e chi ha competenza sulla materia della sicurezza non sottovaluti le proteste che vengono dagli ambienti delle forze dell’ordine, le denunce fatte anche di recente sulla mancanza di mezzi e dotazioni provocata dai tagli alla sicurezza. Attenzione infine anche a scelte come quella fatta dal parlamento sulla introduzione del reato di tortura che rischiano di criminalizzare e legare le mani alle nostre forze dell’ordine. Checché ne dica l’Unione Europea siamo il Paese di Cesare Beccaria, mica l’ultimo degli Stati canaglia.
3. INTELLIGENCE E SERVIZI DI SICUREZZA. Senza riandare troppo indietro nel tempo rivangando le strategie della Prima Repubblica, quando si diceva che l’Italia fosse un punto di passaggio per i terroristi (palestinesi) di allora, stiamo ai fatti: la nostra intelligence, forse perché vaccinata dall’esperienza del terrorismo interno, rosso e nero, continua ad essere una parte, seria, dello Stato italiano che funziona e risponde in modo compatto a minacce come quella islamista.
Attenzione anche in questo caso a non perdere questo punto di forza, un messaggio che va rivolto al presidente del consiglio, impegnato, secondo le indiscrezioni giornalistiche, a piazzare uomini del "giglio magico" in posti chiave della nostra sicurezza. Se come abbiamo detto abbiamo una intelligence efficiente, cosa che ci viene riconosciuta anche a livello internazionale, non si possono fare nomine sulla base di mere logiche di potere ma occorre preservare l’esperienza accumulata in questi anni.
4. LA PRESENZA DEL VATICANO. Nonostante i proclami ricorrenti dell’Isis e dei jihadisti, "marceremo su Roma", "le bandiere nere sventoleranno su San Pietro", gli assassini contro cui stiamo combattendo non sono degli stupidi e sanno qual è il peso e la presenza dei cattolici e dei cristiani nel mondo, gli stessi cristiani che i barbari del Califfato (e non solo nel Califfato) perseguitano senza pietà.
Colpire Roma o il Vaticano insomma potrebbe rivelarsi assai controproducente per la "causa" degli assassini, tanto più che Papa Francesco ha scelto una linea dialogante con le altre fedi, valorizzando il dialogo interreligioso. Non bisogna sottovalutare alcun rischio, certo, ma paradossalmente proprio il fatto di avere a Roma il pontefice e il centro della cristianità può ridurre il rischio di un attacco.
5. LE SCELTE IN POLITICA ESTERA. Prima di imbarcarci in rischiose operazioni militari all’estero, infine, prima di accettare la guida di una eventuale missione internazionale in Libia, pensiamoci due volte. Non per ossequiare i pacifinti di casa nostra, ma perché alla radici della guerra scatenata contro l’Occidente ci sono stati degli errori commessi dagli Stati Uniti, non solo gli Usa di Bush Figlio, visto che sempre e solo di quello si parla, ma la fallimentare politica estera di Obama, e quella ugualmente pericolosa che potrebbe mettere in atto Hillary Clinton se vincesse la sfida per la Casa Bianca.
Hillary Clinton, vale la pena ricordarlo, rivendicò come un grande risultato il disastro libico. Almeno Saddam Hussein, prima di finire impiccato per i suoi crimini, ebbe uno straccio di processo; ricordiamoci invece che la fine che ha fatto Gheddafi, ammazzato per strada senza pietà dai miliziani, e gli effetti che tutto questo ha determinato poi sul fallimento della ormai ex "Jamaria".
Diciamolo chiaramente: il pericolo non è Trump, come dicono tutti, ma una politica del caos sponsorizzata da quegli ambienti democratici che, almeno nel caso di Obama, hanno abbandonato Europa e Mediterraneo. Il pericolo sono gli interessi di potenza di altri Paesi della Ue, certo non l’Italia, che invece di pensare ad una comune politica di sicurezza europea si sono lasciati andare all’avventurismo di taglio nazionalista più sgangherato.