Domande e risposte sull’immigrazione

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Domande e risposte sull’immigrazione

03 Dicembre 2006

La legge n. 189/2002, meglio nota come “Fini Bossi”, viene presentata dalla Sinistra come esclusivamente repressiva e di chiusura nei confronti di nuovi arrivi di extracomunitari in Italia. È veramente così? Quali sono le sue linee guida?

 La prima linea guida della “Fini Bossi”, risponde, per riprendere una terminologia che si è affermata in sede europea, al principio di condizionalità. Tenere conto di questo principio significa convincersi che il profilo più importante per affrontare il tema dell’immigrazione privilegia i rapporti con i paesi di origine o di transito. Li privilegia nelle relazioni bilaterali, ma anche e soprattutto nei rapporti fra l’Unione nel suo insieme e i singoli Paesi di provenienza. Del principio di condizionalità vi è traccia già nel primo articolo della legge 189: al comma 2 si dice testualmente che “nella elaborazione, nella eventuale revisione dei programmi bilaterali di cooperazione e di aiuto per lo sviluppo, il Governo tiene conto anche della collaborazione prestata dai Paesi interessati alla prevenzione dei flussi migratori legali, al contrasto delle organizzazioni criminali, agli accordi di riammissione, agli accordi giudiziali”, e così via. Questa terminologia non è vincolante, deterministica, ma è condizionante; si ritrova esattamente negli stessi termini nelle conclusioni del Vertice europeo di Siviglia sull’immigrazione del giugno 2002. Ci sono state molte critiche quando questo passaggio è venuto all’esame del Parlamento italiano, ma il quadro europeo si è orientato con decisione in questa direzione, e un riscontro più concreto di questo “tener conto” si rintraccia anche nell’art. 17 comma 1, lettera a), della stessa legge: nello stabilire le quote, nei decreti sui flussi d’ingresso, si possono prevedere restrizioni numeriche all’ingresso di lavoratori di Stati che non collaborano adeguatamente per il contrasto all’immigrazione clandestina, in particolare per la riammissione dei propri cittadini destinatari di provvedimenti di rimpatrio.

Ma come si fa a chiudere i confini con uno Stato che non collabora, e solo con quello?

Il meccanismo tollera una lettura non in termini meramente negativi, di sanzione, bensì pure positivi, perché nel “tener conto” ai fini della inclusione in quote privilegiate nei decreti flussi vale a maggior ragione l’ipotesi di comportamenti attivi di collaborazione. Se ne è avuta conferma nei decreti flussi varati dal Governo Berlusconi dal 2002 al 2006, che hanno previsto migliaia di nuovi ingressi regolari per quote privilegiate, alcune delle quali sono state riservate per la prima volta a Paesi che hanno mostrato più di recente una collaborazione attiva su questo fronte. Se ne possono citare due, particolarmente significativi: l’Egitto e lo Sri Lanka. In passato queste quote privilegiate erano riservate esclusivamente a Tunisia, Marocco e Albania. Questo aspetto è di particolare importanza, perché la collaborazione a monte è la più efficace, quella che evita tragedie, quella che consente di raggiungere risultati più concreti, e di muoversi anche nella prospettiva di una integrazione reale.

Si parla – a proposito di immigrazione – di un ritardo culturale, e anche politico, dell’Italia nell’affrontare questo tema, a fronte di una esperienza più consolidata di Paesi come il Regno Unito o la Francia.

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Si deve dissentire da questa valutazione, perché l’esperienza del Regno Unito, della Francia, e dei Paesi che hanno una storia in qualche modo analoga non è comparabile alla dimensione del fenomeno in Italia. Lì vi erano comunità anche culturali, prima ancora che politiche, consolidate – nel bene e nel male – da un passato coloniale; qui ci si trova di fronte a provenienze di extracomunitari le più diverse e le più disparate, nei confronti delle quali è veramente difficile trovare dei comuni denominatori. Anzi, la concentrazione di esperienze che l’Italia ha avuto negli ultimi quindici anni le hanno consentito fino all’inizio del 2006 di avanzare in sede europea soluzioni innovative ed equilibrate, evitando e temperando alcune proposte che vengono da altri Paesi, e che – se fossero applicate – non contribuirebbero a circoscrivere le tragedie che si consumano in mare.

Secondo i ministri dell’attuale Governo, la politica sull’immigrazione seguita dal Centrodestra ha fatto incrementare la clandestinità…

Non è il contrasto in mare l’elemento risolutivo del quadro, ma è lo sforzo politicamente impegnativo per impedire, grazie alla collaborazione del Paese d’origine o di transito, che il natante a rischio prenda il largo. Proprio perché negli anni del Centrodestra si è privilegiato questo tipo di lavoro, si è verificato un significativo mutamento nelle rotte della clandestinità. Il canale d’Otranto, che aveva visto muoversi fino al 2001 anche 50.000 clandestini in un anno, è stato praticamente chiuso all’immigrazione clandestina; dal mese di agosto 2002 fino all’agosto 2006 non c’è stato un solo gommone che sia giunto sulle coste pugliesi: il che significa che avevamo ottenuto il rispetto degli accordi sottoscritti con noi e con chi ci aveva preceduto. La rotta del canale d’Otranto è tornata ad aprirsi ai clandestini a partire da agosto 2006, con una serie di sbarchi, per un totale (a novembre 2006) di circa 300 nuovi arrivi (è un segnale preoccupante, che dovrebbe far riflettere). Discorso simile va fatto a proposito delle coste calabresi, che non sono state interessate dai gommoni, bensì, negli anni passati, soprattutto dalle carrette del mare che partivano dalla Turchia o transitavano dal canale di Suez: grosse imbarcazioni con 800, o 1.000, o più persone a bordo; anche qui i numeri parlano da sé. La collaborazione da parte di paesi come la Turchia, l’Egitto e lo Sri Lanka ha consentito risultati estremamente positivi. Con l’Egitto si è avviata una collaborazione instaurata a partire da una bozza di accordo che è stata sottoscritta con le autorità del Cairo nel maggio del 2002, che ha permesso di inviare al Cairo, e più in particolare sul canale di Suez, un nostro ufficiale di collegamento, per fornire uno scambio di informazioni in tempo reale. Il dato più significativo e la conseguenza più rilevante di questo accordo è costituita dal fatto che in più di una circostanza le autorità egiziane hanno fermato prima dell’ingresso nel Canale delle imbarcazioni cariche di clandestini, e le nostre forze di polizia hanno mandato sul posto dei voli charter che hanno fatto salire a bordo i clandestini e li hanno riaccompagnati nei paesi di origine (soprattutto nello Sri Lanka). È stata una sorta di difesa avanzata, con costi minori rispetto a tollerare il passaggio delle navi, a farle entrare nel Mediterraneo, e quindi a farle arrivare in Italia, con tutti i problemi conseguenti.

Si può immaginare una politica contro l’immigrazione clandestina basata solo sul contrasto?

Intanto vi è stata anche prevenzione. E poi prevenzione e contrasto si sono raccordati in modo stretto con la politica dei flussi, per avviare un binario parallelo tra la repressione e l’integrazione. Sono stati sottoscritti nuovi accordi: vorrei segnalare in modo particolare quelli con Cipro, con la Moldavia e con lo Sri Lanka; quest’ultimo si è rivelato particolarmente efficace, col riconoscimento alle autorità cingalesi delle quote privilegiate. Si è ottenuto in cambio un controllo molto stretto in partenza, che ha abbattuto notevolmente l’arrivo di clandestini da quello Stato.

È vero che per il Centrodestra gli immigrati sono soltanto forza lavoro? Questo sarebbe dimostrato dal collegamento, stabilito nella “Fini Bossi” fra permesso di soggiorno e contratto il lavoro…

Questo collegamento ha costituito la seconda linea guida della nostra riforma. Anche su tale aspetto la discussione in Parlamento, al momento dell’esame della “Fini Bossi”, è stata molto animata, ma pure in questo caso l’Italia ha anticipato un orientamento sul quale l’Unione europea si sta definitivamente attestando in materia di ingresso regolare, che viene collegato strettamente con un contratto di lavoro. Non vi è stata, a differenza delle critiche ascoltate dentro e fuori il Parlamento durante l’esame della legge 189, nessuna equiparazione dell’extracomunitario a una merce: l’extracomunitario ha delle prospettive di lavoro che sono diversificate. Può esserci l’intenzione di permanere nel nostro territorio limitatamente a una parte dell’anno per svolgere un lavoro stagionale, che può anche essere ripetuto nel corso degli anni: la legge viene incontro a questa periodicità di soggiorno breve sul nostro territorio allorché il comma 3 ter dell’articolo 5 prevede la possibilità di permessi di soggiorno triennali per chi svolga ogni anno lavori stagionali. Questo semplifica la vita all’extracomunitario e al personale delle questure. Può esservi una prospettiva di lavoro a tempo determinato: un anno e poi si torna nel paese d’origine; può esservi, infine, una prospettiva di lavoro tendenzialmente a tempo indeterminato: in tal caso il permesso di soggiorno è per due anni, ed è rinnovabile se continua il lavoro fino ad arrivare al minimo che consente di ottenere la carta di soggiorno. Nella legge è stata peraltro confermata, sia pure con una contrazione temporale, la possibilità che in caso di perdita del lavoro si possa rimanere sul territorio nazionale per un periodo di sei mesi, al fine di trovare un altro lavoro. Si sono immaginati percorsi che valorizzano una integrazione effettiva: per questo l’articolo 19 della legge, che ha modificato l’articolo 23 del Testo Unico, ha previsto dei titoli di prelazione. Nell’ambito di programmi approvati, organizzazioni sindacali, organizzazioni di categoria, associazioni di volontariato, Regioni ed enti territoriali possono attivare programmi di istruzione e di formazione professionale nei Paesi di origine: la frequentazione di questi corsi rappresenta titolo di prelazione per l’ingresso in Italia. Questa norma tende a favorire l’ingresso in Italia di extracomunitari già con una formazione di base e con qualche nozione rudimentale della nostra lingua e del nostro diritto: il che dà garanzie superiori rispetto a quelle che poteva fornire uno sponsor, soprattutto se in larga parte dei casi era extracomunitario.

Ma come si fa ad assumere qualcuno senza conoscerlo?

All’obiezione  secondo cui nessuno assume un lavoratore che non conosce è facile rispondere che questo vale o per lavori particolarmente qualificati o per il lavoro di collaborazione domestica: per i primi esiste una disposizioni della “Fini Bossi” che permette di oltrepassare la quota annuale, e quindi di agire a prescindere dalle quote, mentre sul lavoro domestico si può discutere e intervenire, alla luce dell’esperienza maturata, con soluzioni idonee, senza intaccare il principio generale e senza scardinare – come sta avvenendo – l’intero sistema. Infatti, far venire in Italia persone che non hanno ancora un lavoro, ma lo devono cercare – come intende fare il Centrosinistra –, significa consegnarle allo sfruttamento in nero, o rischiare che siano assorbite dalla criminalità.

Che cosa accade in altre Nazioni europee?

Stati europei guidati da Governi di sinistra orientano le loro politiche di immigrazione verso direzioni che, se fossero adottate anche in parte in Italia, farebbero gridare allo scandalo. Da qualche mese il Regno Unito ha approvato un meccanismo “a punti”. Si giunge a Londra da Paesi extraeuropei solo se si totalizza un certo punteggio, e con preferenza rispetto a chi abbia un punteggio inferiore; per far maturare i punti vengono in considerazione l’età (preferibilmente meno di 30 anni), il titolo di studi (meglio la laurea, meglio ancora uno o più master), esperienze di lavoro qualificante… Ciò comporta l’impoverimento del Paese di origine e l’arricchimento di quello di destinazione, ed è un meccanismo proprio di Stati che hanno al loro interno un deficit di lavoratori superqualificati. In Italia, dove la manodopera extracomunitaria, con tante lodevoli eccezioni, si indirizza verso lavori manuali, il Governo Berlusconi ha semplicemente introdotto delle regole per disciplinare gli arrivi. Peccato che non le si voglia far funzionare.

Vi hanno accusato di favorire i traffici di clandestini…

Al contrario, la “Fini Bossi” ha introdotto un maggior rigore nei confronti dei trafficanti di uomini. Può ricordarsi, per esempio, la norma contenuta nel comma 3 dell’articolo 11 della legge 189, cioè quella che per i delitti connessi all’immigrazione prevede una diminuente fino alla metà nei confronti dell’imputato che si adopera per impedire che l’attività delittuosa comporti conseguenze ulteriori, o aiuta concretamente le autorità di polizia e l’autorità giudiziaria a raccogliere gli elementi di prova decisivi per ricostruire i fatti. È una norma che ha consentito, tenendo conto anche delle condizioni in cui avvengono certi sbarchi, di ricostruire il quadro dell’organizzazione criminale di riferimento. Ha dato utilità concreta e significativa quella disposizione così contestata nel momento in cui la legge è stata discussa in Parlamento, relativa alle cosiddette impronte digitali. In più di un caso il confronto con ciò che era contenuto nelle banche dati ha consentito di individuare i colpevoli di reati significativi che avevano fornito identità diverse e false. Fa piacere che questa misura, a distanza di quattro anni dalla sua introduzione, sia condivisa anche dall’attuale presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, l’on. Luciano Violante, che l’ha posta a base di una propria proposta di legge (non si comprende perché, visto che esiste già). L’introduzione del meccanismo dei rilievi fotodattiloscopici ha permesso di evitare il ripetersi di vicende come quella – esemplare e tutt’altro che isolata nel vigore della precedente disciplina – che ha interessato Luan Toto, di nazionalità albanese e di professione (pregressa) scafista. Luan Toto è stato arrestato per la prima volta dall’autorità giudiziaria italiana il 18 maggio 1995, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: qualche giorno dopo l’arresto ha chiesto e ottenuto di patteggiare la pena nella misura di un anno e quattro mesi di reclusione: la pena gli è stata sospesa, è stato scarcerato ed è stato espulso. È stato arrestato la seconda volta il 6 giugno 1997 per il medesimo reato, con le false generalità, riportate in un documento contraffatto, di Mehmet Kamberi. Ha patteggiato un anno e undici mesi di reclusione: pena sospesa (non risultavano precedenti penali con tale nome), scarcerazione, espulsione. Terzo arresto il 30 aprile 1998: terza condanna, questa volta a due anni; non gli è stata concessa la sospensione della pena sospesa, perché è stato identificato col vero nome (e quindi risultava il precedente penale); è stato però scarcerato ed espulso per la terza volta, in questo caso in applicazione della legge n. 40/1998, la cosiddetta “Turco Napolitano”. Il quarto arresto è avvenuto il 1° marzo 1999, sempre come Luan Toto; inutile pensare a reato diverso dal favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: il reddito è notevole e gli intralci (per quanto fin qui visto) minimi. Patteggiamento a due anni, scarcerazione ed espulsione, ancora in virtù della legge “Turco Napolitano”. Arrestato per la quinta volta il 1° febbraio 2000, Luan si fa identificare come Luan Rrokaj; il patteggiamento in questo caso avviene a un anno e otto mesi di reclusione ed, essendo Rrokaj incensurato, la pena viene sospesa; seguono scarcerazione ed espulsione. Totale, in cinque anni di attività sul Canale d’Otranto, otto anni e undici mesi di reclusione; sì e no, un mese di carcere effettivo (e senza l’aiuto del ministro Mastella, all’epoca non ancora attivamente impegnato nel tirare fuori prima del tempo i criminali dalle carceri). Dopo la “Fini Bossi”, l’onesto Luan ha fatto sapere di aver cambiato lavoro, pur rimpiangendo quello precedente, non più praticabile. Nel frattempo, tanti suoi colleghi presenti in Italia sono finiti in carcere perché il prelievo delle “impronte” ha permesso di identificarli e di fare il riassunto delle puntate precedenti. Oggi guardano con rinnovata speranza alle misure che sta adottando il Governo Prodi, o già ringraziano, in virtù dell’indulto.

Alcuni organismi europei e internazionali vi hanno criticato per la mancata adozione di una legge sull’asilo…

Sarebbe interessante ascoltare la voce di questi organismi quando l’Italia sopporta il peso dell’arrivo di migliaia di clandestini da sola, senza l’aiuto di chi è pronto a puntare l’indice in altre occasioni. Nella legge 189/2002 sono stati inseriti due articoli, al fine di impedire l’uso strumentale della richiesta di asilo e di permettere l’esame più celere di quest’ultima. Procedura più celere non vuol dire più sommaria: alle dipendenze del Ministero dell’Interno sono state istituite, al posto dell’unica Commissione centrale, che in passato esaminava le domande di asilo, delle Commissioni territoriali (sette, complessivamente), ciascuna delle quali valuta la sua parte di domande. Le Commissioni territoriali sono integrate da un rappresentante dell’Alto Commissariato ONU per i profughi e i rifugiati.

Attribuite all’attuale Governo il varo di sanatorie mascherate. Ma non avete voluto voi la più grande sanatoria di extracomunitari?

Vi è una differenza sostanziale tra regolarizzazione e sanatoria. Le sanatorie si limitavano a prendere in considerazione la presenza sul territorio nazionale a una certa data e riguardavano i disoccupati. La regolarizzazione, che il Centrodestra ha approvato nell’autunno 2002, non si è limitata a questo, ma ha richiesto un rapporto di lavoro reale, che è stato fatto emergere con una domanda che è stata presentata non dall’extracomunitario ma dal suo datore di lavoro. Il rapporto di lavoro è stato formalizzato in un contratto di lavoro con un salario regolare: a esso si è collegata la regolarizzazione contributiva, l’assistenza sanitaria, in un contesto di sicurezza, perché a ciascuno sono stati effettuati i rilievi fotodattiloscopici. Su 705 mila domande presentate per la regolarizzazione, i procedimenti conclusi positivamente sono stati circa 640 mila. Tutto questo è stato fatto in un anno, senza file al momento della presentazione della domanda (in virtù della convezione con Poste Italiane, che ha consentito di distribuire le istanze sull’intero territorio nazionale attraverso i 14 mila uffici postali), e senza file anche al momento della formalizzazione; tutti sono stati ben lieti di essere convocati in Prefettura, a giorno e a orario fisso, e di avere, sempre in Prefettura, in una sola occasione definito i vari adempimenti: non soltanto la sottoscrizione del contratto di lavoro, ma pure, come si diceva, la regolarizzazione contributiva, sanitaria e fiscale. La sanatoria che aveva fatto seguito all’approvazione della legge Turco Napolitano, a partire dal 1998, era durata due anni e mezzo con 250 mila domande, lasciando una coda di 35 mila pratiche inevase.

Perché vi siete opposti al decreto flussi integrativo, promosso dal ministro della Solidarietà sociale Ferrero?

Perché esso è una vera sanatoria, pur se mascherata. Il decreto flussi serve alla determinazione annuale, nel quadro di una programmazione triennale, del numero degli immigrati che possono entrare regolarmente in Italia. La sua elaborazione conosce una procedura complessa, con un’ampia consultazione preventiva, che coinvolge Regioni, enti territoriali, sindacati, associazioni di categoria. Così è stato fatto dal precedente Governo per l’anno 2006, giungendo alla individuazione di un tetto di 170.000 unità. Le domande presentate sono state 520.000, e in parte – sulla base di un tam tam diffuso da alcuni sindacati e da qualche associazione di volontariato – hanno riguardato non (come è secondo regola) datori di lavori che chiedevano l’ingresso in Italia per lavoratori stranieri che si trovano al di fuori dei confini UE, bensì extracomunitari già presenti clandestinamente in Italia. Ora, è ammissibile (lo prevede l’art. 3 co. 4 della legge sull’immigrazione) che durante l’anno il decreto flussi conosca rettifiche con decreti integrativi: lo si è fatto, per es., più volte per i lavoratori stagionali destinati all’agricoltura. Ma il decreto integrativo deve seguire la medesima procedura del decreto originario, mantenendone l’impostazione di fondo. Invece per questo decreto si è introdotto il criterio secondo cui a tante domande presentate corrispondono tanti ingressi; il Governo ha redatto quindi un decreto flussi integrativo di 350.000 unità, risultante dalla differenza fra le 520.000 domande presentate e gli originari 170.000 ingressi previsti. In tal modo lo strumento è stato usato per uno scopo diverso da quello per il quale esiste, e soprattutto si è fatto saltare in aria l’intero meccanismo della legge sull’immigrazione: non solo della “Fini Bossi”, ma prima ancora della “Turco Napoletano”. Ciò vuol dire inoltre che anche nei prossimi anni si dovranno accettare tutte le domande che verranno presentate, con un effetto moltiplicatore dirompente: senza pensare alle conseguenze indotte, quali i ricongiungimenti familiari, che pure, con altro provvedimento di queste settimane, vengono allargati.

Sono affermazioni pesanti…

… ma assolutamente corrispondenti alla realtà. Infatti con questo decreto il Governo: a) ha azzerato lo strumento della determinazione delle quote d’ingresso; se si accolgono tutte le domande presentate, si abbandona la politica selettiva degli ingressi, e si rinuncia alla programmazione dei flussi attraverso l’individuazione preventiva dei fabbisogni del mercato del lavoro; b) ha ignorato le capacità di assorbimento “reale” non solo del mercato lavoro, ma anche del tessuto sociale: l’extracomunitario che viene in Italia non si limita, come è ovvio, a occupare un posto di lavoro; ha l’esigenza di trovare alloggio, ci sono i figli da mandare a scuola, vi è necessità di garantire l’assistenza sanitaria. Non a caso su questo decreto l’Anci- Associazione nazionale dei Comuni d’Italia (il 03.08.06) ha espresso un parere critico e problematico; c) ha abbandonato le politiche di cooperazione internazionale al contrasto dell’immigrazione clandestina. Se si accolgono le domande di tutti, a prescindere dallo Stato di provenienza dell’extracomunitario, si disincentiva la collaborazione dei Paesi interessati dai flussi irregolari, perché di fatto si cancellano le quote “privilegiate”. Perché lo Sri Lanka oggi dovrebbe essere invogliato a spendere energie e denaro per frenare l’immigrazione clandestina verso l’Italia se i suoi cittadini che vogliono andarci non incontrano limiti? d) ha disincentivato di fatto le attività di formazione culturale e professionale all’estero, che costituiscono titolo preferenziale all’ingresso; se vale la logica del “tutti dentro”, perché devo frequentare un corso se tanto entro egualmente? e) ha realizzato una sanatoria mascherata di enormi proporzioni, se si pensa che il numero di 520.000 è relativo al solo 2006; f) ha posto in seria difficoltà i funzionari delle ambasciate e dei consolati italiani, con problemi di regolarità formale e sostanziale. Il decreto flussi serve a far venire in Italia chi si trova fuori dal territorio UE. Secondo la legge, a fronte di una offerta di lavoro proveniente da un datore lavoro presente sul territorio italiano, lo straniero si presenta al nostro consolato nel territorio dello Stato di residenza, riceve un visto di ingresso, viene in Italia col visto, e – qui giunto – perfeziona il contratto di lavoro e ottiene il permesso di soggiorno. Il presupposto è che però si trovi fuori dall’Italia, e quindi col visto entri in Italia. La prova che questo decreto flussi è una sanatoria, e non un decreto flussi, sta nel fatto che si parte da un presupposto diverso: quello secondo cui le domande riguardano stranieri già presenti sul nostro territorio. Non a caso le organizzazioni sindacali, consultate a proposito di questo atto, hanno proposto l’esenzione dal visto d’ingresso! Ma la conferma più autorevole dell’esattezza di quanto scritto finora l’ha fornita il ministro Amato, nel corso della menzionata audizione davanti alla 1^ Commissione del Senato del 27.06.06: “una volta accolta la domanda, (gli extracomunitari) devono tornare nel loro Paese per fingere (sic! Un ministro dell’Interno che parla in questo modo!) di essere là ed ottenere il visto consolare”.

Ma ormai il decreto è operativo. Perché continuare a parlarne?

Perché si è adoperato uno strumento amministrativo per abrogare, o quanto meno disapplicare, una legge dello Stato, e per giungere a una sanatoria senza sottoporla all’esame del Parlamento. Anche questo è stato confermato dal ministro dell’Interno Amato, nell’audizione tenuta il 27 giugno 2006 alla 1^ Commissione del Senato (“le file per la presentazione delle domande sono state fatte dagli interessati e ciò dimostra che gli interessati sono in Italia”) e dal ministro della Solidarietà sociale Ferrero, nell’intervento che ha svolto il 4 ottobre 2006 davanti alla medesima Commissione (“la gran parte della forza lavoro richiesta è già presente in Italia”). In questo modo si è entranti in collisione con uno dei cardini della normativa UE in materia di immigrazione: il collegamento tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. L’effetto richiamo di ulteriori arrivi di clandestini è stato immediato: le persone sbarcate in Sicilia dal 1° luglio al 31 agosto 2005 sono state 4.828, di cui  3.076 sull’isola di Lampedusa. Le persone sbarcate in Sicilia dal 1° luglio al 31 agosto 2006 sono state 6.864, di cui 5.723 sull’isola di Lampedusa.

Che cosa non è condivisibile della politica sull’immigrazione del Governo Prodi?

Tutto! Dal giorno del suo insediamento, vari esponenti del Governo hanno sostenuto la necessità di “superare” la legge italiana sull’immigrazione, e con essa la politica che ha condotto all’approvazione di quella legge, in ossequio a quanto scritto nel programma elettorale del Centrosinistra. Con il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2003/86/CE, per il quale sono stati fatti decorrere i termini senza che le Camere potessero esprimere il parere, si è ampliata la possibilità del ricongiungimento familiare, andando ben oltre il nucleo familiare in senso stretto e dilatando i confini previsti dalla stessa UE. Si tenta, con una proposta di legge di deputati della maggioranza, la AC 528, in discussione alla Camera, di introdurre la possibilità per lo straniero detenuto di ottenere il permesso di soggiorno, o addirittura la carta di soggiorno, anche in costanza di detenzione, e per il clandestino in espiazione di pena di vedersi revocare l’ordine di espulsione. Il Governo punta ad abbassare il limite temporale per conseguire la cittadinanza, senza pretendere il possesso di requisiti sostanziali che documentino la reale integrazione. Negli ultimi mesi nei confronti dei clandestini e degli stranieri che delinquono si è seguito un pericoloso lassismo, consistito nella liberazione, in virtù del provvedimento di indulto, di circa 10.000 extracomunitari condannati in via definitiva per reati gravi, senza aver poi proceduto alla loro espulsione, avendo per la gran parte di essi ricevuto una semplice intimazione ad allontanarsi dall’Italia, con conseguente innalzamento del tasso di criminalità diffusa. Nell’audizione tenuta il 27.09.06 davanti alla Commissione Affari costituzionali del Senato, il ministro Amato ha ipotizzato per i clandestini il finanziamento del rimpatrio volontario: secondo tale proposta, chi deve essere espulso non viene condotto coattivamente alla frontiera, ma riceve una somma in denaro per allontanarsi volontariamente. È prevedibile – se questa follia diventasse legge – che il clandestino che otterrà denaro per andarsene volontariamente, ne impiegherà parte per acquistare un documento falso, cambiare identità, salvo poi a essere intercettato, ottenere nuovamente i soldi per andarsene, e così via, in una spirale perversa. È sufficiente a spiegare perché non si condivide nulla?

Il Governo però assicura che vuole combattere i trafficanti di uomini e gli sfruttatori del lavoro nero…

… con la stessa decisione con la quale combatte la criminalità! Da un lato il Governo non provvede a realizzare nuovi centri di permanenza temporanei,  indispensabili per identificare i clandestini e riaccompagnarli nei Paesi di origine, dall’altro assiste senza intervenire alla rinuncia alla gestione dei cpt da parte di enti che, con impegno e sacrificio, vi provvedevano dignitosamente da anni, a causa della impossibilità di costoro di proseguire per le minacce di organizzazioni dell’area dell’antagonismo (vale l’esempio delle Misericordie a Modena). La collaborazione con i Paesi di provenienza e di transito della clandestinità conosce un momento di stasi e di difficoltà, in particolare con la Libia; vi è addirittura, come si ricordava prima, una ripresa di traffici di clandestini che interessa nuovamente, dopo quattro anni di assenza di arrivi, le coste della Puglia.

Che valutazione si può dare del disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 17.11.2006?

Sul piano politico, è la vittoria della Sinistra radicale, e in particolare del ministro Ferrero, ed è la sconfitta del ministro Amato. Sul piano del merito, è la formalizzazione di una sanatoria permanente. Il ddl ruota attorno alla estensione delle disposizioni di cui all’art. 18 del testo unico sull’immigrazione: nella versione ancora in vigore, introdotta dalla legge Turco Napolitano, esse prevedono misure di protezione per la vittima di tratta che denuncia alla polizia o alla magistratura lo sfruttatore; tali misure consistono, oltre che – quando necessario – in una tutela da parte delle forze dell’ordine, nel rilascio di un permesso di soggiorno, accompagnato da un sussidio: quando cessano gli impegni processuali, la vittima può scegliere se convertire quel titolo di soggiorno in un permesso collegato a un lavoro, o rientrare nel proprio Stato. Nella “versione Ferrero”, fatta propria dal Consiglio dei ministri, l’art. 18 viene esteso a tutti coloro che, lavorando “in nero”, denunciano chi li impiega irregolarmente e non rispetta norme sulla tutela del lavoro, o della salute. L’estensione è realmente improvvida, essendo profondamente diversa la tratta rispetto al traffico di clandestini: è facile prevedere denunce strumentali, tese al conseguimento del permesso di soggiorno. È altrettanto facile l’uso della denuncia da parte di lavoratori familiari o domestici “in nero”, quando non sono più soddisfatti del salario. Una volta ottenuto il permesso di soggiorno, l’extracomunitario non avrà automaticamente il lavoro; anzi, è probabile che, in base a quanto accaduto, nessuno lo assuma più: a quel punto, come vivrà? Sarà nuovamente orientato verso il lavoro nero, o tentato dal reclutamento criminale.

Perché il ministro Amato sarebbe stato sconfitto?

Perché qualche settimana prima del Consiglio dei ministri che la ha approvata aveva qualificato la proposta Ferrero come il più grande regalo alla criminalità organizzata. Poi, come spesso gli accade, Amato ha cambiato idea. Perché, ancora, intervenendo ai lavori della 1^ Commissione del Senato il 27.09.06, aveva annunciato le sue linee di modifica della legge Fini Bossi, che andavano in una direzione opposta, di fatto confermando le norme già in vigore dal 2002! In particolare, aveva prospettato: a) corsie preferenziali per l’ingresso di lavoratori stranieri altamente specializzati, al di fuori dei limiti delle quote; ma questo è già previsto dall’art. 27 del testo unico sull’immigrazione!; b) corsie preferenziali per l’ingresso di lavoratori stranieri che seguono corsi di formazione nei Paesi di provenienza, d’intesa con nostre organizzazioni di categoria, o sindacali, o di volontariato; ma anche questo è già previsto dall’art. 23 del testo unico sull’immigrazione! c) una distinzione chiara fra centri di prima accoglienza e centri di permanenza temporanea, finalizzati all’espulsione; pure questo è già previsto dal testo unico sull’immigrazione, e anzi c’è anche una terza tipologia di centro, per i richiedenti asilo; d) un decreto sui flussi triennale, con possibilità di correttivi annuali; l’art. 3 del testo unico sull’immigrazione prevede già un documento di programmazione triennale, che costituisce la cornice nella quale inserire i decreti flussi annuali. Tutto ciò non servirà più a nulla, nel momento in cui gli immigrati arriveranno per la gran parte clandestinamente, nella certezza della sanatoria, per le ragioni prima indicate…

Che cosa farà l’opposizione?

Continuerà a denunciare l’errore contenuto nei provvedimenti e nella politica del Governo Prodi, col rammarico di vedere distrutto in pochi mesi un lavoro durato cinque anni, che certamente non aveva risolto tutti i problemi del settore, ma per lo meno aveva ridimensionato e circoscritto l’emergenza. In particolare, denuncerà che l’immigrazione è uno dei terreni privilegiati sui quali pesa in modo determinante la pregiudiziale ideologica della Sinistra radicale, per la quale oggi i clandestini sono i nuovi proletari. Nella loro prospettiva (non nella realtà) il clandestino è la versione aggiornata e no global del proletario. La sinistra radicale fa tutto questo con fini dichiarati di lucro (elettorale, ovviamente), come ha detto, con estrema chiarezza, il ministro Ferrero sulle colonne del «Corriere della Sera» lo scorso mese di agosto. Secondo il Ministro, da questo meccanismo – ingresso clandestino, sanatoria, ricongiungimento familiare allargato, e poi cittadinanza breve – ci si attende un aumento di voti per la sinistra, in particolare per quella estrema, che equilibrerà i voti che vengono “sprecati” (soprattutto per la Lega Nord, più in generale per l’intero Centrodestra) nel nord del Paese. La politica sull’immigrazione del Governo Prodi non è solo a favore dei clandestini e di chi li sfrutta; ponendo l’Italia fuori dall’Europa, è una politica clandestina di un Governo ormai clandestino che proprio per questo va espulso insieme con i clandestini!