Domani Messico al voto: narcotraffico e riforme i temi sul tappeto
30 Giugno 2012
Domani, domenica 1 Luglio, i Messicani si recheranno alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Ma entro quale contesto economico-politico si staglia tale tornata? Sotto il primo aspetto, quello economico, il dato della crescita parrebbe descrivere un Paese in piena salute: il Pil per il 2012 dovrebbe attestarsi attorno al +4,6%, grazie, soprattutto, al settore manifatturiero in ampia e inesorabile espansione. Il dramma messicano, semmai, è esclusivamente di carattere politico-militare. Già, la cosiddetta ‘guerra ai cartelli della droga’, sembra davvero proseguire senza soluzione di continuità, con le drastiche misure sinora adottate dal Presidente uscente, Felipe Calderòn, in grado, esclusivamente, di tamponare.
Una volta eletto (nel 2006), dunque, Calderòn optò – giustamente, sia chiaro – per la linea dura. La via del dispiegamento, nell’ottica di un contrattacco a testa bassa contro le organizzazioni criminali, di 50.000 militari sul territorio messicano. In tema, comunque, è fuori discussione il principio secondo cui le barbarie dei narco-trafficanti rimangano un priorità assoluta per la popolazione, la quale, al riguardo, ha apprezzato il legittimo binomio del ‘legge e ordine’ di Felipe Calderòn. Secondo quanto riportato da una ricerca della scorsa settimana del Pew Global Attitudes, a sua volta ripreso da un report del Wall Street Journal di mercoledì scorso – ‘Mexico Campaign Bypasses Drug War’, a cura di Nicholas Casey e José De Còrdoba – l’80% dei Messicani sostiene le politiche calderòniane. Inoltre, nonostante la parzialità della ricetta anti-crimine, ritengono il partito del Presidente uscente – il PAN, Partito d’Azione Nazionale – ancora il più adatto a fronteggiare, nel breve periodo, l’emergenza criminalità.
La fiducia degli elettori su un tema tanto delicato, però, potrebbe non bastare. “I Messicani sono alla ricerca, per il medio e lungo periodo, d’una via più intelligente per la risoluzione della questione”, ha dichiarato Adrian Villegas, sondaggista Ipsos di base a Città del Messico al The Globe and Mail. Pertanto, in base alle ultime rilevazioni, sarebbe in testa Enrique Pena Nieto, leader del Partito Istituzionale Rivoluzionario (PRI). A seguito della sconfitta del 2000, e dopo oltre 70 anni al potere, molti analisti avevano predetto l’inesorabile fine del PRI. Eppure, dopo 12 anni di purgatorio, dovrebbe spuntarla di nuovo, a scapito del candidato del PAN, Josefina Vàsquez Mota (Calderòn, per legge, non è rieleggibile, ndr).
In chiave anti-narco-traffico, nel corso della sua lunga campagna elettorale, Nieto ha proposto il ritiro delle truppe nel momento in cui la polizia locale, federale e statale saranno pronte a fronteggiare i cartelli della droga in piena autonomia. E ancora, prevenzione e professionalizzazione del potere giudiziario. In Messico, infatti, l’impunità è la regola. Una costante, un ineluttabile destino del Paese centro-americano. Solo l’1.5% dei reati commessi vengono perseguiti dalla magistratura. L’intero peso della repressione penale è nelle mani dei militari, in più d’un’occasione, tra l’altro, macchiatisi di talune gravi violazioni dei diritti umani. Sul tema, Nieto ha promesso uno shift, una riforma dell’intero ordinamento in un’ottica maggiormente garantista, con il passaggio dal processo inquisitorio, tuttora in vigore nonostante i tentativi in tal senso di Calderòn, all’accusatorio. Più trasparenza e responsabilità, quindi. Principi atti a ingenerare quel meccanismo virtuoso del rispetto del rule of law universalmente riconosciuto, teso, anche, ad emancipare il Paese dal ricatto delle organizzazioni criminali. Sul piano economico, invece, ecco la proposta di una riforma del lavoro nel senso di una liberalizzazione del mercato e dell’apertura agli investimenti stranieri nella compagnia petrolifera di Stato.
Infine, ecco a voi il terzo incomodo: il candidato dell’ultra-sinistra Andrés Manuel Lòpez Obrador, del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD). Già sindaco di Città del Messico, Obrador era stato sconfitto al foto-finish da Calderòn alle Presidenziali del 2006. Egli volge il proprio sguardo all’esperienza di Hugo Chavez, in Venezuela, e terrorizza gli investitori con i suoi propositi di redistribuzione della ricchezza e la sua opposizione all’apertura dell’economia messicana ai mercati internazionali, tanto da far titolare il Financial Times del 27 Giugno scorso con un emblematico ‘Why Boring is Good’, perché noioso è bello. Dove per noioso, evidentemente, si intendono i candidati che non siano Obrador.