Domani parte la campagna di Obama ma il ‘messianismo’ del 2008 è finito

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Domani parte la campagna di Obama ma il ‘messianismo’ del 2008 è finito

04 Maggio 2012

Rullano i tamburi: domani si apre formalmente la campagna per la rielezione di Barack Obama alla Casa Bianca. Il candidato Democratico ha scelto il palcoscenico della Ohio State University per dare inizio alla tenzone politico-elettorale che si protrarrà fino a Novembre prossimo, quando più di 230 milioni d’aventi diritto al voto saranno chiamati a decidere chi dovrà sedere nello Studio Ovale della Casa Bianca per i prossimo quattro anni.

Una campagna già lanciata dal presidente con uno spot più di un mese or’ sono, ma soprattutto incipiata con il viaggio lampo in Afghanistan di qualche giorno fa, quando Obama nel lasso di 12 ore è atterrato a Bagram, raggiunto Kabul ove ha incontrato Karzai per un trattato di mutua cooperazione tra Usa e Afghanistan, per poi tornare a Bagram per un discorso alla nazione dal territorio afghano (prima volta nella storia statunitense).

La nottata afghana è stata l’ultima occasione, ben sfruttata dal team di Obama, di mostrarsi al popolo americano in qualità di presidente, un modo neanche tanto velato di giocare la carta dell’incumbency, dell’essere uscente. Ha parlato di Afghanistan il presidente, del ritiro delle forze Usa e Nato previsto per il 2014, delle negoziazioni triangolari tra americani, governo afghano e talebani, di Osama bin Laden, e ovviamente di Al Qaeda.

Obama è riuscito anche ad impiegare il verbo ‘destroy’, distruggere quando ha affermato che “il nostro obiettivo è distruggere Al Qaeda e siamo sulla buona via per fare esattamente questo”. Certo, quando un presidente come Obama, tutto luccichii, il nuovo messia telematico del 2008, il primo presidente nero, l’uomo dalla sublime oratoria, è costretto a giocare la carta I got the bad guy, ho acciuffato il cattivo, vuol dire che v’è poco per le mani.

La strategia elettorale che ne discende è l’esatto cascame di questo assunto: attaccare a mani basse l’avversario Repubblicano, Mitt Romney, dividere la nazione su linee di faglia di genere e razza, lui il presidente post-partisan (su l’Occidentale abbiamo raccontata l’uso politico che tanto il presidente che i Democratici hanno fatto della sciagurata morte del minorenne Trayvon Martin) e cercare di rimanere in sella d’un soffio.

Sul fronte della politica estera, non v’è molto da dire: la totale mala gestio politica che il Dipartimento di Stato ha fatto delle proprie risorse diplomatiche nell’ultimo anno di rivolte arabe, così come i del tutto inconsistenti risultati ottenuti da Washington nei negoziati che l’amministrazione ha condotto con Teheran sul programma nucleare degli ayatollah – una scelta che ha avuto peraltro come effetto il deterioramento delle relazioni con Israele, un fatto che peserà anche sull’orientamento della comunità ebraica statunitense il prossimo Novembre- dicono che anche la foreign policy non sarà di grande aiuto.

Il presidente-candidato Obama potrà, come ha iniziato già a fare con il discorso afghano, presentarsi solo come il commander-in-chief che ha dato il sì definitivo alla missione dei Navy Seal contro Osama bin Laden, che è poi un uso politico dell’anti-terrorismo, l’onda lunga delle politiche post-11 Settembre, esattamente l’opposto di quello che nel 2008 Obama ha rappresentato: la fine del bushismo. Corsi e ricorsi della storia!

Il sito conservatore Hotair si è encomiabilmente preso la briga di andare a ripescare un bel discorso del 2006 di Barack Obama nel quale l’allora senatore dall’Illinois affermava: “Ne ho abbastanza dell’uso del terrorismo da parte della nostra politica”. Guardare per credere. Vendere la morte di Bin Laden non è forse uso politico dell’anti-terrorismo?

Comunque sia la fine dell’obamania è condensato dalla povertà del cesto di doni che può portare in dote il prossimo Autunno: i suoi primi due anni, Obama li ha spesi per far approvare un piano di stimolo da quasi un trilione di dollari che ha avuto il dubbio merito di far indebitare ulteriormente le casse federale e che poco impatto ha avuto sull’economia americana.

E poi ci sono stati i due anni a guida Democratica del Congresso per far passare migliaia e migliaia di pagine di riforma sanitaria, che a breve la Corte Suprema potrebbe totalmente o parzialmente dichiarare incostituzionale per il proprio individual mandate. Una riforma che peraltro rischia di alienare un bel pezzo di elettorato cattolico al presidente – un sondaggio pubblicato lo scorso 3 Maggio dà il voto cattolico diviso perfettamente a metà tra Democratici e Repubblicani.

Solo il prossimo Autunno sapremo che cosa ne sarà del presidente Obama. Quello che conta, però, (ed è questo un dato disponibile già da ora), è che ormai l’obamania è un retaggio del passato e che d’ora in poi sarà bene diffidare dei fenomeni effimeri, messianici o no che siano, che ci giungono dalla rete. Obama per credere.