Don Benzi, un prete “sociale” che non ha mai perso il contatto con Dio
05 Novembre 2007
La società italiana ha bisogno di
uomini come don Oreste Benzi? Era solo un prete o anche un cittadino italiano?
Credeva solo in Dio o anche nell’uomo? Viveva solo in sagrestia o anche nelle
pieghe – e nelle piaghe – della società? La morte di don Oreste Benzi dovrebbe
farci riflettere tutti sull’assurdità delle contrapposizione laiciste alla
religione cristiana. Non c’è dubbio: la società ha bisogno dei don Benzi e la
sua morte lascia un vuoto anche civile, oltre che religioso.
Don Oreste amava gli uomini,
amava gli ultimi perché amava Dio. Egli è lì a dimostrare che la fede non
aliena e non fa fuggire in un mondo compensatorio e narcotizzante. Sono oltre
200 le case-famiglia della Associazione Giovanni XXIII in Italia. Circa 30 le
comunità per il recupero dei tossicodipendenti. Tutto questo è nato dall’amore
di Dio e del prossimo, non da progetti ministeriali o da decisioni degli
assessorati regionali. C’è anche un welfare che trae origine dalla preghiera e
rappresenta una ricchezza per la società intera non solo in quanto welfare, ma
proprio perché trae origine dalla preghiera. Di solito lo spirito laico
apprezza l’aspetto sociale della religione: l’aiuto ai poveri, le iniziative
del Cottolengo, di don Calabria, di don Benzi. Ben vengano. Ma è meno propenso
ad accettarne la scaturigine: la fede, la preghiera, l’inserimento nella vita
della chiesa, insomma: la religiosità. Bene la religione, finché fa opere di
bene e si limita a queste. Male per il resto, perché sarebbe alienazione. Già
nell’Ottocento venivano soppressi gli ordini religiosi contemplativi: a cosa
servivano se non a rimbecillire? Mentre venivano lasciati benevolmente in vita
quelli a sfondo sociale. Ma don Benzi ci dice che così non è. Che tutta
l’azione sociale della Chiesa è inserita nell’intera vita religiosa e da essa
non può essere separata. Lui non l’aveva separata. Chi oggi gli fa onore,
quindi, non deve separarla. Non si può chiedere al cristianesimo di essere solo
un’etica pubblica, la vera laicità lo considera una religione. Se la società ha
bisogno dei don Benzi, allora ha anche bisogno del Dio cristiano, perché tutto
quello che don Benzi ha fatto lo ha fatto in suo nome.
La laicità ideologica è anche
maggiormente disposta a valorizzare i preti sociali senza tonaca. Nell’ambito
dei preti sociali essa preferisce quelli che contestano la gerarchia
ecclesiale, che sulle questioni morali viaggiano sul filo del rasoio e talvolta
superano il segno, che parlano più di problemi di struttura che di coscienza,
che scrivono sui giornali della cultura di sinistra. Don Benzi portava ancora
la tonaca nera e quella sua papalina da parroco di campagna. Era un vero
parroco, il parroco dei poveri e degli abbandonati, obbediente alla Chiesa,
senza velleità ideologiche di “cambiare il sistema”. Prendeva il Vangelo sul
serio e, soprattutto, prendeva “tutto” il Vangelo sul serio, senza farsene uno
proprio. Non era un prete progressista. Per aiutare i giovani a liberarsi dalla
droga non aveva bisogno né di andare contro l’insegnamento della Chiesa, né di
denunciare le “ricchezze” e il “potere”del Vaticano, né di partecipare a
congressi di partito. Non ha mai partecipato alla Assisi-Perugia, partecipava
sempre alla Macerata-Loreto. Come tende a separare l’azione sociale
dall’ispirazione religiosa, la laicità ideologica tende anche a separare il
cristiano, e specialmente il prete, impegnato nel sociale dalla Chiesa. Don
Oreste Benzi non si è mai prestato a questo gioco.
Quando un cristiano si impegna in
campo sociale e politico lo fa sempre con la totalità della sua esperienza
ecclesiale e di fede. Non può svestirsene e scendere sul piano di una presunta
laicità neutra. Sarebbe come dire che Cristo, per lui, è solo utile ma non
indispensabile. Ma anche una sana laicità non dovrebbe chiedere questo al
cristiano. Un cristianesimo solo “sociale” non è più cristianesimo e di un
cristianesimo solo orizzontale la società stessa non saprebbe che farsene.
Basterebbero i progetti ministeriali e i finanziamenti degli assessorati
regionali al welfare.