Don Lenzini, il prete ucciso dai partigiani comunisti che ancora scandalizza l’Anpi

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Don Lenzini, il prete ucciso dai partigiani comunisti che ancora scandalizza l’Anpi

Don Lenzini, il prete ucciso dai partigiani comunisti che ancora scandalizza l’Anpi

03 Giugno 2022

E’ stata celebrata la settimana scorsa nella cattedrale metropolitana di Santa Maria assunta in Cielo e San Geminiano a Modena la Messa di Beatificazione di don Luigi Lenzini, ucciso in odium fidei il 21 luglio 1945 a Crocette di Pavullo, sull’Appennino modenese.

Il contesto storico

Un omicidio che, come spiega il noto storico Giovanni Fantozzi, “maturò nell’arco di almeno un paio di mesi”. “Nell’ambiente della sezione comunista e della polizia partigiana di Pavullo, coinvolgendo tra mandanti, esecutori e complici erano almeno una ventina di persone. Al processo del 1949 i sei imputati furono assolti per insufficienza di prove “con un dubbio – disse il giudice – che raggiunge il 99 per cento di certezza”. Il clima di omertà e di paura, bisogna ricordarlo, condizionò pesantemente i testimoni ancora a distanza di quattro anni dal delitto”.

Eppure quella morte, insieme alle uccisioni di tanti altri sacerdoti per mano di partigiani o ex partigiani, ancora scandalizzano coloro che continuano ad ergersi come paladini di una verità indiscussa e indiscutibile. Primi narratori di un racconto storico manicheo e falsato dalla ideologia e che pone una netta divisione tra ‘buoni’ e ‘cattivi’, tra ‘bene’ e ‘male’ piegando la realtà a questa causa.

Il reclamo dell’Anpi

Nel giorno stesso della beatificazione, infatti, l’Anpi provinciale ha inviato una lettera aperta al vescovo di Modena. L’intento era smentire ogni legame tra le sevizie e il martirio di questo sacerdote e il movimento partigiano. “Il processo per assicurare alla giustizia gli assassini di Don Lenzini si è concluso con l’assoluzione dei presunti colpevoli, ma ci spingiamo a dire che se anche fosse risultato colpevole un ex partigiano, non alla lotta partigiana e alla Resistenza si potrebbe attribuire quell’omicidio, bensì al singolo uomo che lo ha commesso” – ha scritto il presidente Anpi Vanni Bulgarelli.Parole che a 80 anni di distanza, ancora contribuiscono ad allargare il fossato negazionista che, col contributo di entrambe le parti, ha impedito una vera pacificazione nazionale e, in fondo, ha reso meno solida una identità nazionale condivisa.

Ristabilita la verità storica

Ma i fatti sono chiari. E restano scolpiti, nonostante le parole dell’Anpi. “In provincia di Modena la tragica sorte di don Lenzini fu la stessa, tra il 1944 e il 1946, di altri sei sacerdoti e religiosi”. Uomini di fede “uccisi in analoghe circostanze e con simili moventi, da partigiani o ex partigiani delle formazioni garibaldine comuniste – scrive lo storico Fantozzi -. Dopo l’omicidio, neppure a don Lenzini fu risparmiato l’oltraggio della memoria. Il tentativo di mascherare la natura squisitamente politico-religiosa del delitto era evidente.

Tuttavia, non si giunse al livello delle infamanti accuse che colpirono Rolando Rivi, seminarista quattordicenne. Perse la vita a Monchio nell’aprile 1945 per mano dei partigiani comunisti. Nel 2013, a Modena, Rivi è diventato beato. Per difendere i suoi assassini, ambedue rei confessi, il PCI e l’ANPI in coro non esitarono a sostenere falsità. Infatti, sulla loro stampa e al processo del 1950 sostennero che il movente dell’omicidio di Rolando non fosse l’odio antireligioso. L’accusa era di essere “una spia fascista”.

Questa è la realtà e, proprio per amore di essa, vale la pena ribadirla con forza.