Donna, madre e cristiana. Liberate Asia Bibi!
03 Maggio 2016
Domenica primo maggio, l’inizio del mese mariano, durante una affollatissima messa vespertina nelle zone di Azizieh e Ram, ad Aleppo, è caduta una pioggia di missili. Le famiglie che tornavano dalla celebrazione della Pasqua ortodossa sono state colpite poco dopo, e due ragazzi di undici e diciotto anni sono morti. È solo l’ultimo episodio destinato a riaccendere l’attenzione sulla persecuzione dei cristiani nel mondo, dopo la manifestazione della scorsa settimana a Roma che ha visto la fontana di Trevi colorarsi di rosso in onore e a memoria del sangue dei cristiani resi martiri. Proprio in quell’occasione, venerdì sera, il vescovo di Aleppo aveva detto: “Non vengo qui a chiedervi privilegi per i cristiani siriani, ma ad interpellare la vostra coscienza”. Quattrocentomila i morti dell’ecatombe siriana. Centocinquantamila i cristiani che vivevano in Siria e, ad oggi, circa centomila sono andati via.
Il dramma delle persecuzioni dei cristiani investe il mondo intero e coinvolge l’Occidente direttamente e indirettamente. Chi si ricorda di Asia Bibi? La donna costretta ad un supplizio lungo ormai più di 2500 giorni? Era l’8 novembre 2010. Bastarono cinque minuti di camera di consiglio per emettere la sentenza sul caso più noto, e al contempo più nascosto, di “blasfemia“: una condanna per impiccagione. “Allahu akbar!”, esultava la folla fuori dal tribunale. I poliziotti trascinarono fuori l’imputata. Asia Bibi. La folla urlante la voleva morta, un altro manipolo di esaltati assaltò l’aula per farsi “giustizia” da sé. Da allora, la “blasfema” entra definitivamente in quell’inferno dal quale le è preclusa, ancora oggi, ogni via di fuga. Da quel momento è imprigionata e fuori dalla sua cella “ci sono dieci milioni di pachistani pronti ad ucciderla con le loro mani”, com’è stato detto.
Asia Bibi è costretta in una cella così piccola che le basta stendere le braccia per toccare le pareti, appena più comoda di quelle celle di isolamento in cui il regime comunista teneva i suoi prigionieri. Ma qual è il crimine di cui si è macchiata questa mamma di cinque figli condannata a morte soltanto perché cristiana? Aveva sete, fuori c’erano quaranta gradi e così la donna si è ‘permessa’ di usare un bicchiere che apparteneva a donne musulmane. “Sei solo una lurida cristiana”, le gridarono contro. “Hai contaminato la nostra acqua. cagna, lo sai almeno che Gesù è un bastardo, perché non ha un padre legittimo? Maometto sì che aveva un padre che lo ha riconosciuto. Si chiamava Abdullah. Ti dice qualcosa, Abdullah? Gesù è impuro, come te. Puoi fare solo una sola: convertirti all’islam per riscattarti dalla tua sozza religione”. Questo raccontano le cronache di quella giornata, basta farsi un giro sui giornali per capire cos’è accaduto quel giorno.
Asia Bibi, piccola com’è, tira fuori tutto il coraggio che ha e pronuncia le parole che firmano la sua condanna a morte: “Non voglio convertirmi. Io credo nella mia religione e in Gesù Cristo. E perché dovrei essere io a convertirmi e non voi?”. Ai sensi dell’articolo 295 del codice pakistano, questa frase è sufficiente per condannarla alla pena capitale per impiccagione. La pretestuosa accusa di aver offeso il profeta Maometto, da una parte, la fragile speranza in una nuova sentenza, da allora. Per questa donna minuta il mondo non ha organizzato manifestazioni dalla grande eco mediatica. La stampa occidentale le ha riservato solo rari e brevi editoriali.
L’ultima volta che il suo nome è stato pronunciato da un pulpito capace di raggiungere ogni latitudine era il 17 novembre del 2010. Erano trascorsi pochi giorni dalla sua condanna a morte e Benedetto XVI chiese pubblicamente che le fosse restituita la libertà, e quindi la vita. Nel 2011 in occasione del discorso d’inizio d’anno al corpo diplomatico, il Papa Emerito tornò ancora sull’argomento cercando di porre l’attenzione sulle modifiche alla legge contro la blasfemia in seguito ad alcuni attentati politici. “Tra le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà religiosa, una menzione particolare dev’essere fatta della legge contro la blasfemia in Pakistan: incoraggio di nuovo le autorità di quel paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose. Il tragico assassinio del governatore del Punjab mostra quanto sia urgente procedere in tal senso: la venerazione nei riguardi di Dio promuove la fraternità e l’amore, non l’odio e la divisione”.
Asia Bibi resta in balia di una sentenza che sembra irreversibile, frutto di un processo mefitico. E intanto l’odore del sangue dei cristiani che continua ad essere versato in tutto il mondo, per leggi simili e non solo, riempie l’aria. Asia Bibi è un caso emblematico, lo abbiamo detto, e rientra in quella battaglia che combattiamo da anni da queste pagine, contro le persecuzioni e il martirio dei cristiani. Il supplizio della donna si lega, ovviamente, non solo al marito e ai figli costretti nella condizione di clandestini, essendo anche loro in pericolo di vita, ma ai nomi sconosciuti di chi è perseguitato ad ogni latitudine, tutti quelli a cui viene negata la libertà religiosa. Chi subisce i tormenti di una guerra contro i “blasfemi” in quanto giornalista, scrittore, cantante, comico, regista, consacrato e uomo della strada.
Le ripercussioni profonde di questa guerra le subiano tutti noi, non solo nella minaccia di morte che pende sulla testa di chi osa, in maniera vera o presunta, offendere altre fedi. Certo, c’è il fondamentalismo islamico, ma anche una versione estrema del buddismo, stando all’ultimo Rapporto sulla libertà religiosa, pensa di diventare egemone in alcuni punti del mondo grazie alla repressione religiosa, più che alla pace e al sentimento di compassione di cui si fa bandiera. La distanza e la reticenza dell’Occidente nel dramma che abbiamo sotto gli occhi è solo lo specchio di un atteggiamento culturale che ignora la minaccia dell’islamismo radicale e dei fondamentalismi. La liberazione, il riscatto e la difesa della verità, vale per tutti i “casi Asia Bibi” nel mondo e ci riguarda da vicino. La persecuzione dei cristiani non è un fatto lontano nel tempo e nello spazio, ma vive anche nei nostri confini. E le campane suonano già a morto per un Occidente che vuole dirsi libero e democratico ma rischia solo di essere vigliacco.