Dopo 40 anni Woodstock non è solo quello che crediamo di conoscere

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Dopo 40 anni Woodstock non è solo quello che crediamo di conoscere

20 Marzo 2009

Secondo lo scrittore francese Michel Houellebecq, la rivoluzione di Woodstock ha modificato la società occidentale, il nostro modo di vivere e di comportarci, i valori e l’educazione di una intera generazione. Molto più profondamente di quanto fecero i movimenti politici fortemente ideologizzati del ‘68, che si credevano di massa, ma tutto sommato furono minoritari ed elitari.

Quarant’anni fa Woodstock fu uno di quei ‘risvegli’ religiosi che gli Stati Uniti hanno conosciuto ciclicamente nello loro storia, come ci ricorda una delle inquadrature del video che vi proponiamo, con un terzetto di suore che passeggiano perfettamente a loro agio nella calca di sciamannati – e una delle tre sorelle alza due dita in segno di vittoria. Oppure la scritta su un autobus parcheggiato in mezzo al bosco: “Even God Loves America”.

Sulla collina di Bethel sventolavano, non bruciavano, le bandiere americane. C’erano cowboy  col barbone e squaw con le treccine, tanti bambini, ma anche intellettualoidi e reduci del Vietnam, contadini improvvisati e guru dello yoga, croci cristiane, tende indiane, tanta musica per tutti i gusti. Provate a risentire Richie Havens e chiedetevi se non è meglio lui con la sua rabbia che la bontà prezzolata del presidente Obama. C’era pathos.  

La destra americana ha spesso confuso lo spirito di Woodstock con la degenerazione del decennio successivo, il pacifismo disfattista e il tradimento dello Standard americano. Ma come dimostra una lettura più profonda di altri fenomeni della cultura postmoderna – come il Beat – ci sono autori e movimenti che si muovono agilmente fra tradizioni culturali e ideologie anche contrapposte.

Se è vero che da Woodstock viene fuori il ritratto di una generazione drogata e beata, magari smidollata ma comunque in buona fede, bisogna ammettere che in molti di quei giovani agiva un mito ricorrente dell’identità americana: la frontiera, la sfida con se stessi, il ritorno alle proprie origini e ad un’America premoderna che non è nemica della tecnologia. Un confine da superare, una terra da conquistare, l’eco dei flauti che risuona tra la gente disposta a ballare fino all’alba.