Dopo Cancun dovremo chiederci come limitare il “global warming”

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Dopo Cancun dovremo chiederci come limitare il “global warming”

09 Dicembre 2010

Messa a confronto con l’incredibile fanfara che ha preceduto il summit sul riscaldamento globale di Copenhagen di un anno fa, la conferenza della Convenzione-Quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico di Cancun è passata sotto silenzio. Ciò si deve in parte al generalizzato convincimento che la pubblicità messa in piedi per l’incontro dello scorso anno abbia contribuito al suo fallimento, ma anche al fatto che le aspettative sono drammaticamente cambiate. Sull’onda del summit di Copenhagen, si è diffusa la crescente accettazione che gli sforzi per scongiurare un radicale mutamento climatico si siano esauriti.

Forse, dopo un periodo di pausa e qualche disastro climatico, quegli sforzi riprenderanno. Di certo sarà così. Ma anche se dovessero ritrovare slancio, il mondo per un po’ continuerà a riscaldarsi. Accettazione, tuttavia, non significa inazione. Fin dalle origini di tutti i tempi, le creature si sono adattate ai cambiamenti del proprio habitat naturale. Sfortunatamente, tale adattamento ha sempre significato un elevato numero di morti. L’evoluzione funziona così. Ma il genere umano è più fortunato della maggior parte delle specie: ha il vantaggio di essere capace di pensare in anticipo, e di prepararsi per i cambiamenti avvenire. E questo è ciò che deve succedere adesso.

L’estate russa. Anche se l’attuale moderato ritmo di riduzione delle emissioni ha preso piede, è probabile che alla fine del secolo la Terra sarà almeno tre gradi più calda di quanto non lo fosse all’inizio della rivoluzione industriale; il riscaldamento può diminuire, ma può anche aumentare, e più rapidamente. Le ondate di caldo che ora sono da record diventeranno quotidianità. Gli ecosistemi si troveranno soggetti a climi molto diversi da quelli in cui si sono evoluti, mettendo a rischio molte specie. Dove oggi già piove, la pioggia cadrà con più violenza, aumentando le inondazioni; e nei luoghi già inclini alla siccità, tutto nel complesso diventerà più secco, talvolta fino al punto della desertificazione. I ghiacci scompariranno dalle estati artiche e da alcune vette; i ghiacci perenni non lo saranno più, il livello dei mari continuerà a salire.

Questi cambiamenti andranno a beneficio di alcuni. Poiché lo scioglimento dei ghiacci permette l’accesso all’Artico, la Russia diventerà ancora più ricca di carbon fossili. Per molti, però, le prospettive sono cupe. La siccità e i diluvi comprometteranno i mezzi di sussistenza di centinaia di milioni di persone, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Perciò la questione è come limitare questi danni. Coloro che possono adattarsi lo faranno principalmente per mezzo di decisioni private: traslocando, per esempio, o piantando coltivazioni di vario genere. Ma anche i governi hanno un loro ruolo.

La migliore difesa dal riscaldamento globale è la prosperità globale. Persone più ricche, più in salute, riescono meglio di quelle povere ad affrontare aumenti del prezzo dei beni alimentari, o ad investire in nuove tecniche agricole, o a trasferirsi in un’altra città o paese. Le economie più ricche si fondano meno sull’agricoltura, più esposta al cambiamento climatico, e di più sull’industria e i servizi, che in gran parte non lo sono. Le persone più ricche tendono a lavorare in palazzi dotati di aria condizionata. I poveri tendono a non farlo.

Ma lo sviluppo non è una soluzione facile al problema. Ci sono già molte buone ragioni perché i governi dei paesi poveri pongano in essere politiche economiche assennate, smettendo di rubare denaro e facendo tutto quanto necessario per incanalare le loro economie nella via giusta; e se tutto ciò non l’hanno ancora fatto, la minaccia del cambiamento climatico non li spronerà certo ad attivarsi. Il mutamento del clima, tuttavia, fornisce ai paesi ricchi – che per primi hanno causato il problema – un motivo ulteriore per escogitare la maniera di incentivare lo sviluppo dei paesi poveri. È una questione di giustizia, non soltanto di umanità.

C’è un altro rischio nell’affidarsi allo sviluppo: per quanto possa aiutare a proteggere i paesi poveri dal mutamento climatico, esso minaccia allo stesso tempo di acuire il problema, perché mentre le economie crescono, consumano più e più energia. Di nuovo, i paesi ricchi possono aiutare, offrendo supporto ai paesi poveri per tecnologie energetiche più ecologiche, e di conseguenza permettendogli di far uso delle loro conoscenze allo scopo di generare energie rinnovabili dall’acqua, dal vento e dalla luce solare.

Oltre ad incoraggiare uno sviluppo ecosostenibile, i governi devono prendere alcune misure mirate in tre aree: le infrastrutture, i movimenti migratori e il cibo. Gli olandesi, che hanno secoli di esperienza nel proteggersi dall’acqua alta, stanno già lavorando su come adattare e costruire infrastrutture per minimizzare i rischi di inondazioni quando il livello dei mari sale e il pluviale Reno cresce più nervosamente. Altrove, i politici devono stimare la vulnerabilità delle loro città al cambiamento delle temperature massime, della piovosità, della frequenza di forti tempeste e del livello dei mari, e agire di conseguenza.

Quando la vita diventerà più difficile nei luoghi vulnerabili, le persone dovranno migrare tanto tra paesi, quanto all’interno degli stessi. Le persone ricche possono contribuire a rendere più facile la vita dei poveri permettendo che un numero maggiore possa varcare le loro frontiere. All’interno dei paesi industrializzati, i governi dovrebbero smettere di sovvenzionare assicurazioni nelle aree più vulnerabili – come la linea costiera della Florida – incentivandone lo sviluppo. Le persone devono essere incoraggiate a migrare lontano dalle regioni a rischio, non all’interno di esse.

Via col grano. La sicurezza alimentare diventerà un tema cruciale. Servono semi che resistano alla siccità; e, considerando che gli agricoltori meno in grado di pagare necessiteranno delle varietà più resistenti, gli sforzi delle compagnie di sementi dovrebbero essere integrate da fondi statali di ricerca. Poiché la modificazione genetica potrebbe aiutare, sarebbe utile se le persone abbandonassero i loro pregiudizi contro queste tecnologie.

Anche con coltivazioni migliori, una più efficiente conservazione del terreno, una migliore organizzazione delle piantagioni e più precise previsioni meteorologiche, tutte cose necessarie, si verificheranno inevitabilmente calamità regionali. Per assicurare che gli alimenti siano sempre disponibili, il mercato alimentare globale dovrà essere più esteso ed elastico di quanto non lo sia ora. Il che significa abbandonare il protezionismo che tormenta l’agricoltura oggi.

Niente di tutto ciò metterà in sesto il mutamento climatico. Rimane l’esperimento umano più folle che sia mai stato portato avanti. Può anche darsi che nel lungo termine venga messo sotto controllo. Nell’imminente futuro, tuttavia, la colonnina di mercurio continuerà a salire, e la razza umana dovrà convivere con il problema al meglio che può.

Tratto da Economist

Traduzione Carolina De Stefano