Dopo Cuffaro per il Pd si apre anche la grana Sicilia
28 Gennaio 2008
Non ha retto alle accuse del presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, non ha retto ai blog del suo coinquilino nei palazzi del potere, Gianfranco Micciché, non ha retto all’ironia sui cannoli che ormai dilaga su you tube, su giornali internazionali e nelle vignette di molti quotidiani e non ha voluto aspettare la decisione del capo del governo, che seppur dimissionario ha il compito di firmare il decreto di sospensione dalla carica di deputato come prevede la legge 55 per coloro che, amministratori, vengono condannati per favoreggiamento a mafiosi.
Alla fine Totò Cuffaro, presidente della Regione siciliana, ha capito che quella condanna a cinque anni senza l’aggravante per favoreggiamento all’associazione mafiosa, ha avuto un effetto negativo maggiore di quello che inizialmente aveva creduto e sperato e così ha deciso di passare alla storia come il primo presidente della Regione che fa andare a elezioni anticipate i 90 deputati dell’assemblea regionale eletti con lui nel 2006, quando venne incoronato governatore, battendo di gran lunga la candidata antimafia per eccellenza, Rita Borsellino. Governo nazionali e siciliano messi in crisi dalla magistratura. In entrambi i casi un’inchiesta e un processo hanno deciso i tempi della politica. Se a ragione o torto si vedrà. Ma questo è lo stato dell’arte.
Tornando a Cuffaro c’è una quarta ragione alle sue dimissioni che si è andata delineando in corso d’opera. Il suo gesto, che lo fa considerare non solo dai suoi alleati generoso e preoccupato dell’immagine che viene appiccicata alla “sua” Sicilia, lo rende in qualche modo ricandidabile alle prossime (se ci saranno ma appare ormai sempre più certo) elezioni politiche. Già Lorenzo Cesa, segretario Udc lo ha indicato capolista al Senato. Voti a cui non si può rinunciare quelli di Totò Cuffaro, malgrado le manifestazioni di piazza di festeggiamento per le sue dimissioni da parte di cittadini genericamente definibili di sinistra, dove la parte dei dirigenti la fanno soprattutto i giovani, con esponenti di Rifondazione e dei Verdi, malgrado la posizione di Montezemolo. Ma i vertici del Pd, oltre a rendere l’onore delle armi a Cuffaro sembrano piuttosto preoccupati di dover affrontare non più la sola scadenza nazionale, certamente non a loro favore, ma adesso anche quella regionale.
E il mese di Aprile rischia di essere fatale. Perché una elezione potrebbbe tirare l’altra, come le ciliege. Provinciali, qualche comunale, Catania e Messina, non dobbiamo escludere il piano per le europee il prossimo anno, e infine le nazionali. Non sarà semplice per tutti i partiti riempire le caselle, ma sarà soprattutto il Partito democratico a soffrirne di più. E’ questo uno dei motivi che faceva sperare a non pochi quadri dirigenti del centrosinistra che Cuffaro avrebbe retto all’urto.
Ma le parole di Montezemolo: “Mentre i nostri industriali rischiano nella loro battaglia contro il pizzo, il presidente della Regione con una condanna di 5 anni di reclusione, non si muove dal suo posto”, gli hanno dato una bella scossa.
E poi fatale l’intervista concessa da Miccichè su una televisione locale: “Al suo posto io mi dimetterei” aveva ripetuto il presidente dell’assemblea regionale e le affermazioni di Stefania Prestigiacomo, l’ex ministro alla solidarietà sociale del Governo Berlusconi : “Non vogliamo un presidente da cannoli”. E infine la notizia che il suo decreto di sospensione è stato letto nella seduta di Consiglio dei ministri post crisi di Prodi ed è finito nelle mani del ministro Lanzillotta per prenderne atto e formalizzarlo. Anche se dallo studio dell’ex-componente della Corte Costituzionale Vaccarella era arrivato un fax allo studio del difensore, il deputato azzurro Nino Mormino, che escludeva la possibilità di applicazione della legge 55 per il caso di Cuffaro. E così dopo aver incassato una compatto voto di fiducia, 53 su 90 da politico navigato quale è, Cuffaro ha capito che quel voto era il bacio di Giuda ed ha preferito fare come Prodi, via io e con me tutti.
Anche perché le norme siciliane sono dalla sua. Non può esserci come un tempo prima della riforma del 2001 (la prima volta che Cuffaro venne eletto direttamente dal popolo con un milione e 600 mila voti) il rimpasto. Eletto dal popolo il governatore trascina con sé i deputati regionali. E’ per questo che l’atmosfera in aula sabato mattina è stata pesantissima e non sono stati pochi i deputati anche di Forza Italia ad aggredire, verbalmente, il presidente Miccichè considerato uno “dei motivi” delle dimissioni di Cuffaro e del conseguente tutti a casa. Sono molti i deputati che rimangono fuori da qualunque pensione, visto che la famosa cifra di due anni e mezzo non è stata raggiunta neanche alla Regione e molti deputati non sono neanche riusciti ad ammortizzare le spese della campagna elettorale.
Adesso la situazione politica italiana somiglia sempre più ad una grande scacchiera, visto che bisognerà, se si va ad elezioni nazionali, mettere tutte le pedine al posto giusto: in Sicilia ci saranno infatti, e congiuntamente con le politiche regionali, anche le amministrative per sette province su nove e due comuni, Messina e Catania. Le elezioni saranno prima delle nazionali, e su questo Berlusconi è certamente d’accordo visto che, così come è stato la volta precedente, la vittoria del centrodestra è data per scontata e potrà servire a dare la volata alle nazionali.
La via crucis processuale di Totò Cuffaro è iniziata nel giugno 2003, con l’iscrizione nel registro degli indagati. Archiviata dal gip questa accusa, dopo gli arresti del 5 novembre di Aiello e dei marescialli Riolo e Giuseppe Ciuro i pm della Dda Maurizio Di Lucia, Gaetano Paci e Michele Prestipino, in accordo con l’allora procuratore capo Piero Grasso decidono di indagare Cuffaro per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazioni di notizie coperte dal segreto istruttorio. Il processo è durato tre anni e alcuni mesi ed ha anche significato una profonda frattura tra i pm della procura di Palermo. Alcuni, da Ingroia a Scarpinato a Morvillo, considerati ancora caselliani, vogliono Cuffaro accusato e rinviato a giudizio per concorso. Ma Grasso ha sempre sostenuto che l’accusa di favoreggiamento avrebbe portato a sicura condanna perché c’erano tutti gli estremi, come infatti è stato, e che sarebbe stato dannoso processare il presidente della ragione per concorso con il pericolo che alla fine ci si ritrovava con una assoluzione, le esperienze del passato insegnano. Scontro frontale in Procura che è durato sino a pochi giorni prima della sentenza e che ha portato ad una nuova incriminazione e ad un nuovo procedimento per concorso. La sentenza di una settimana fa sembra dare comunque ragione a Piero Grasso e ai suoi pm: la condanna c’è stata ed ha anche prodotto come effettto collaterale le dimissioni del politico. Su cui pende comunque l’altra indagine aperta nel maggio scorso, con l’accusa di concorso.
Alla fine Totò Cuffaro è stato condannato per favoreggiamento ad alcuni personaggi che nello stesso processo sono stati condannati per associazione mafiosa. Lui si è sempre difeso, sostenendo che quando lui parlava con il consigliere comunale, Mimmo Miceli, dell’Udc, nessun avrebbe mai sospettato che fosse un associato di Cosa Nostra. Per la precisione Miceli, medico abbastanza accreditato, era collegato con Giuseppe Guttadauro, altro medico che è diventato il capo della famiglia di Brancaccio, con il quale Cuffaro aveva avuto rapporti o almeno veniva citato nelle telefonate intercettate tra Miceli e Guttadauro. Altro favoreggiamento che gli viene imputato è nei confronti di Michele Aiello, condannato per associazione mafiosa nello stesso processo di Cuffaro e che i giudici ritengono prestanome e gestore dei soldi di Binnu Provenzano. Aiello, dopo essersi arricchito con il rifacimento delle strade interpoderali ai tempi in cui Cuffaro era assessore all’agricoltura, aveva poi investito in un centro diagnostica di eccellenza a Bagheria per i tumori. E agli atti del processo risultano i suoi incontri con Cuffaro, in particolare quello in un negozio di Bagheria dove, hanno sostenuto entrambi, di aver parlato di convenzione sanitaria della clinica con
Mafia o semplicemente corruzione? Secondo i giudici entrambe le cose. Secondo Cuffaro normali rapporti di clientela politica. Sullo sfondo una sanità che diventa fatalmente malasanità.
Per Cuffaro il suo favoreggiamento è semplice. E si dice certo che in appello cadranno tutte le accuse su di lui. L’errore più grosso è stato forse quello di ammettere a casa sua fotografi e ragazzi del bar con i cannoli per festeggiare una sentenza che non lo accusava di favoreggiamento all’associazione mafiosa ma “semplicemente” ad alcuni mafiosi.
Ma i cannoli gli sono stati fatali, forse più della sentenza: “Ho la consapevolezza di aver commesso tanti errori ma in assoluta buonafede. A chi mi dice di distinguere l’aspetto umano da quello di presidente, dico che non sono capace. So di essere stato condannato per reati gravi. Dopo la botta delle prime 24 ore, quando ho avvertito un certo conforto, successivamente è maturata in me una inquietudine sempre crescente. Mi chiedo se è più giusto assecondare la protesta comprensibile contro la mia permanenza, oppure se dare corpo all’altrettanta forte volontà che io vada avanti”.Questo il tono del suo intervento dinanzi al parlamento siciliano, quando i suoi avversari hanno presentato una mozione di sfiducia bocciata dalla maggioranza. Toni pacati al limite delle scuse per non aver capito con chi aveva avuto a che fare, sembravano averlo riappacificato con molti dei suoi alleati.
Ma dopo nemmeno 12 ore la decisione finale: “Le mie dimissioni non sono frutto di alcun automatismo. Esse costituiscono una scelta personale assunta per ragioni umane e politiche. Insieme a tante manifestazioni di affetto e sostegno ho visto diffondersi in questi giorni una crescente ostilità verso la mia persona….”
Così ha rassegnato le dimissioni, scegliendo “la via dell’umiltà” e mentre in aula c’è chi piange, in maggioranza chi si prepara a festeggiare in piazza, ma non tutta la sinistra, da Roma il partito di cui è vicepresidente nazionale, l’Udc, fa sapere che “sarà capolista al Senato o alla Camera”, dando per scontato che le politiche ci saranno e presto.