“Dopo Gheddafi l’anarchia”

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“Dopo Gheddafi l’anarchia”

28 Marzo 2011

La Libia si avvia verso un periodo di anarchia totale in cui, tolto di mezzo Gheddafi, i paesi occidentali si scontreranno per favorire l’emergere di questa o quella leadership locale, in un contesto fatto di divisioni tribali. Non è ottimista il professor Virgilio Ilari, esperto di questioni politico-giuridiche e storico-militari, parlando del nostro ex "cortile di casa" e di quanto sta avvenendo nel mondo arabo. L’ansia di cambiamento che mobilita tanti giovani libici è un sogno che potrebbe produrre mostri, mentre sullo sfondo il protagonismo di Francia e Inghilterra annuncia nuove alleanze strategiche fra Europa e Stati Uniti. L’Italia è riuscita a "limitare i danni" con almeno un successo: far entrare la Turchia nella partita. Ora si attende quel che accadrà a Tripoli. Secondo Ilari, potrebbe essere un bagno di sangue. 

Professore, quant’è credibile l’avanzata dei ribelli degli ultimi giorni?

Non è facile dirlo in base alle notizie che abbiamo. Gli analisti fanno delle supposizioni mentre i giornalisti sul campo ci offrono soltanto delle interpretazioni ideologiche su quello che dovrebbe accadere. Tutti quanti dicono e vogliono la stessa cosa: Gheddafi deve cadere. Ma queste sono interpretazioni, non fatti, un modo di sostituire una vantata conoscenza della situazione sul campo con dei desiderata. 

Cosa potrebbe accadere adesso?

I ribelli potrebbero entrare a Tripoli sui loro pick-up, magari anche appoggiati dalla popolazione, almeno all’inizio. Il rischio è che avvenga un bagno di sangue, un massacro sistematico di tutti i sostenitori di Gheddafi. Il vescovo di Tripoli ha parlato di stragi commesse dai ribelli ai danni dei lealisti a Bengasi.

Anche in Italia c’è chi vuol cacciare Gheddafi

E’ più comprensibile ma ancora una volta si scambiano i propri desideri con la realtà. Mi riferisco al fatto che grosso modo l’ottanta per cento della classe politica e della opinione pubblica italiana spera che Gheddafi ce la faccia o perlomeno che la resistenza dell’esercito libico sia tale da impedire una vittoria schiacciante dei ribelli. Non perché ce l’abbiamo con i ribelli, sia chiaro, ma perché temiamo che dietro di loro si prepari un successo strategico della Francia, che Parigi possa entrare in quello che viene considerato, in modo abbastanza sorprendente, il nostro "cortile di casa".

Sorprendente perchè?

Purtroppo o per fortuna non è più così. La Libia è uno stato indipendente, anche se è stato legato all’Italia da tutta una serie di rapporti che negli ultimi anni sono stati sostanzialmente positivi per entrambi i Paesi e da cui anche l’Italia ha tratto un grande vantaggio.

Si può dire che sulla Libia c’erano dei "giochi" già fatti di cui siamo venuti a conoscenza solo dopo?

In passato i nostri servizi erano efficienti, come quando sventarono un attentato contro Gheddafi, mentre adesso sembra che non funzionino più così bene. Il senatore D’Alema ha rivelato che il 2 febbraio scorso, durante una riunione del Copasir, il capo dell’AISE, l’ex Sismi, dichiarava che la situazione in Libia era tutto sommato tranquilla. E’ possibile che i "giochi", come li chiama Lei, fossero già fatti, e che da parte dei nostri servizi non ci sia stato il sospetto di quello che stava accadendo. Non voglio neppure pensare ad altre ipotesi, che i servizi sapessero e non abbiano informato il governo, perché questo sì che sarebbe un fatto di enorme gravità vista la delicata situazione del nostro sistema politico-istituzionale.

Com’è stata presa la decisione di intervenire?

C’è stata una forzatura notevole da parte del Quirinale che ha incalzato il governo spingendolo a intervenire invece di seguire l’esempio tedesco. Nello stesso tempo bisogna ammettere una cosa: messo davanti al fatto compiuto, il governo ha fatto capire che l’Italia era fortemente contrariata dall’iniziativa francese e dal modo in cui Parigi ha interpretato la Risoluzione 1973 delle Nazioni Unite. A questo punto l’unico modo per cercare di limitare i danni, potenziali e reali (ricordo che sono a rischio anche le nostre installazioni petrolifere), era di entrare nella squadra, di sedersi al tavolo delle potenze interventiste.

Da questo punto di vista il governo italiano ha ottenuto dei risultati?

Almeno quello di aver riportato nella stanza dei bottoni la Turchia. Ankara adesso si trova a svolgere un ruolo fondamentale nella gestione degli aiuti umanitari a Bengasi e quindi è nelle condizioni migliori per poter controllare quello che sta avvenendo in Cirenaica. Senza dubbio a Bengasi c’è stato un afflusso di armi, armi pesanti, per i ribelli, che non era previsto dalla Risoluzione Onu.

Fino a ieri il ministro degli esteri inglese negava una possibilità del genere

Che gli inglesi siano attivi in Libia è emerso in modo incontrovertibile quando 7 funzionari sono stati arrestati dagli insorti. Questo non significa che sul terreno ci fossero solo loro o che siano arrivati in quel momento. Così come nessuno può togliermi dalla testa che forze francesi stanno operando sul terreno con i ribelli, considerando che le capacità militari dimostrate dagli insorti negli ultimi giorni sono nettamente migliorate. Quantomeno i ribelli avranno dei consiglieri militari che gli indicano la strategia da seguire. La presenza sul posto è implicita ai bombardamenti stessi, perché i caccia dei "volenterosi" non sarebbero così efficienti senza qualcuno che gli indica dove si trovano i carri armati e le postazioni di difesa mascherate da Gheddafi.

Nei giorni scorsi uno dei capi dell’insurrezione ha ammesso che tra le forze ribelli ci sono uomini di Al Qaeda che hanno combattuto in Iraq. Sappiamo che ci sono basi di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), nel deserto del Tenerè, a sud della Libia. Il presidente del Ciad ha detto che alcuni missili di Gheddafi sono finiti nella mani dei jihadisti. E’ un pericolo concreto? 

Non ne ho la più pallida idea e immagino che fatti del genere siano ampiamente monitorati dai Paesi che sono impegnati direttamente nella guerra, la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti.

C’è un rischio islamizzazione?

Sappiamo che c’è un ribollimento di proporzioni incalcolabili in tutto il Medio Oriente e il mondo arabo, ma questa ondata che viene genericamente definita "democratica" si colora di situazioni particolari in ciascun Paese che ne viene coinvolto. Ogni Paese ha una storia a sé e delle forze particolari e specifiche che attengono alla sua storia interna, alla sua cultura. Sicuramente abbiamo degli alleati ma ci sono anche forze che hanno come obiettivo la ricostruzione di una unità del mondo arabo di tipo diverso da quella che reggeva i vecchi regimi caduti in disgrazia. A partire dal 1990, l’Occidente ha fatto la guerra contro chi, in un certo senso, condivideva i nostri valori politici, non tanto la democrazia bensì il nazionalismo e il socialismo. I nostri guai non hanno origine nei fondamentalisti islamici ma nei peggiori nemici dei fondamentalisti, i nazional-socialisti, come il Baath, per esempio, cioè da quelle ideologie che durante la Seconda Guerra mondiale avevano un punto di riferimento in Hitler e in Mussolini. Da qui è derivata una concezione laicista dello stato che nel caso di Gheddafi veniva mediata dalla struttura tribale della società libica; voglio dire, quando Gheddafi dice che non può dimettersi perché non ha nessuna carica ci sta spiegando che la Jamaria è diversa dall’Egitto. Un altro esempio può essere la guerra di Algeria: chi erano gli alleati dei francesi contro gli insorti dell’FLN? I fondamentalisti islamici, i collaborazionisti, che in seguito sarebbero stati massacrati. L’operazione francese in Algeria fece duecentomila vittime. Dopo la vittoria dell’FLN ci sono stati oltre un milione di morti, con i "fondamentalisti" massacrati dai nazionalisti. La Francia in quel caso aveva interesse a mobilitare gli islamisti contro la modernizzazione rappresentata dall’FLN. 

Questa componente islamista di cui parla è quella che ha partorito Al Qaeda?

Da punto di vista ideologico direi di sì. Da una parte l’islamismo si è spinto nell’attacco all’Occidente, con l’attentato alle Torri Gemelle, ma il suo vero nemico sono i regimi atei del mondo arabo. I nemici mortali del fondamentalismo erano proprio Mubarak o Gheddafi, e prima ancora Saddam.

I dittatori che avevano permesso la "occintossicazione", come dicono gli iraniani…

Esattamente. Allora chiediamoci perché l’Occidente dichiara guerra a questi regimi. E’ vero, Gheddafi e gli altri sono dei poco di buono, ma sono pur sempre i "nostri" poco di buono. Ed è per questo che Silvio Berlusconi si dipiace per il destino del Colonnello. La cosa peggiore è che non verrà sostituito da un altro tipo come lui ma da un grande punto interrogativo. Non abbiamo idea cosa accadrà in Libia.

Per quanto sia un quadro scomposto e poco chiaro, chi sono i ribelli di Bengasi?

Basta vedere cosa fanno: pregano e indossano la kefiah. Non mi sembrano dei giovani sessantottini. E’ illusorio credere che scegliere un interlocutore fra i tanti, da parte degli occidentali, significhi controllare la situazione. Gheddafi poteva esercitare una leadership, un consenso personale, se pure imposta con la forza. I ribelli invece rappresentano interessi tribali, particolari, confessionali. Mi sembrano come il Pd di fronte al centrodestra in Italia, non hanno nessun capo in grado di organizzare alcunché visto che se emergesse qualche personalità di spicco sarebbe subito fatta fuori.

Lo scenario è la disintegrazione territoriale della Libia?

Una anarchia totale, per cui a un certo punto sarà necessario intervenire. Il punto decisivo sarà la questione del petrolio.

C’è ancora la possibilità di trattare con Gheddafi?

Il Rais ha compiuto una serie di passi con le tribù per cercare di ricomporre le spaccature interne. Il suo esercito per adesso ha tenuto. Il problema è che le schermaglie diplomatiche a cui stiamo assistendo fra i Paesi europei fanno parte di una lunga guerra che è appena cominciata e che probabilmente andrà avanti per anni. Con operazioni militari che oggi avvengono quasi in tempo reale, con un piccolo numero di aerei che riescono a distruggere un apparato militare dotato di una sua pur minima consistenza, c’è poco da fare: Gheddafi è sconfitto in partenza. Ma la partita comincia dopo. La distruzione dei giocattoli armati del Colonnello e magari la sua uccisione – è probabile che alla fine lo ammazzino, con tutto quello che sa finirà linciato come Mussolini – è solo l’inizio del conflitto.

Ci aspetta un altro Iraq?

E’ possibile ma non credo che avvenga. E’ molto più probabile uno stato di anarchia totale, a meno che non ci sia un intervento militare terrestre con forze occidentali. Possiamo prevedere attentati terroristici fra i vari gruppi libici, ma non credo a uno scenario come quello successivo alla caduta di Saddam Hussein. In realtà quello che sta succedendo dal punto di vista militare in Libia si può paragonare all’Afghanistan: nel 2001 l’Alleanza del Nord entrò a Kabul sconfiggendo i Talebani, appoggiata dai missili e dalla aviazione americana. La guerra è finita lì? No.

Era sbagliato "esportare la democrazia"?

Farlo in posti dove i poteri non sono organizzati come pensiamo noi è un grande rischio. La cosiddetta ansia di democrazia, che poi sostanzialmente è il desiderio di opportunità, di lavoro, di affermazione personale, rivendicato da grandi masse di giovani disperati e senza sbocchi, non cambia la struttura di quelle società, le sue strutture tribali e di potere. Cambiano i sogni, le speranze, ma la struttura socio-economica resta la stessa. E i sogni, al risveglio, possono generare mostri. Non credo che da queste rivoluzioni possa nascere una maggiore affezione verso l’Occidente. 

Non crede che dovremmo almeno lasciarci il beneficio del dubbio?

Nessuno riesce a immaginare quale sarà il futuro di queste società. Era inevitabile che le cose cambiassero ma l’idea intellettualistica che si è formata nelle cancellerie occidentali – la logica del tanto peggio tanto meglio – per cui abbiamo sposato una sorta di "rivoluzione permanente" nel mondo arabo-musulmano, non mi convince, perché è qualcosa di non governabile, di imprevedibile. L’idea di usare la forza militare, i colpi di mano, l’intelligence, come un sostituto della politica, a mio avviso è profondamente sbagliata e pericolosa. Sarà un successo apparente, sempre che la situazione non precipiti troppo velocemente, come in Siria o altrove (e in questo caso non possiamo neppure lontanamente pensare a cosa accadrebbe), ma anche ammesso che tutto andasse per il verso giusto credo che le conseguenze di lungo periodo non siano minimamente prevedibili. 

Cosa avrebbe dovuto fare l’Occidente?

Tutto sommato avrebbe dovuto lasciare a Gheddafi la possibilità di riprendere il controllo della Libia. Invece ci avviamo verso una situazione di instabilità. Una cosa è sicura: non risolveremo le cose usando l’aviazione. Dopo Iraq e Afghanistan, gli americani non si impegneranno in un altro intervento militare terrestre, non hanno più forze disponibili.

C’è un’alternativa all’intervento terrestre?

Da parte occidentale ci sarà un coinvolgimento politico più che militare, ma questo provocherà un aumento della conflittualità tra i paesi europei e occidentali, schierati uno contro l’altro nel tentativo di far emergere una leadership credibile dopo la caduta del Rais.