Dopo il caso Napoli il Pd rischia di trasformarsi in un “partito fai da te”
09 Gennaio 2009
Non è facile tenere a bada la tigre giustizialista dopo averla a lungo cavalcata. E così di fronte ai terremoti in sequenza che hanno di fatto scosso il Partito Democratico, facendolo cadere dentro le sabbie mobili della questione morale, Walter Veltroni fa fatica a chiudere i vari casi locali, a far decollare la “mission” dei commissariamenti e a far riacquistare piena credibilità alla sua leadership.Un’impresa ardua, quella del rinnovamento locale, che rischia di avere un effetto indiretto, ovvero quello di attizzare ancor di più i fuochi politici nazionali e riaprire il “derby” infinito tra Ds e Margherita sugli equilibri di poteri interni e sulle modalità di gestione del partito.
L’ultimo caso, eclatante, è quello verificatosi ieri nel Transatlantico della Camera quando Piero Fassino si è scagliato di fronte a giornalisti e parlamentari contro Pierluigi Mantini, impegnato in un colloquio con un giornalista di Radio Radicale. Una sfuriata scatenata dall’intervista rilasciata da quest’ultimo a Libero in cui Mantini aveva parlato dei versamenti della Margherita nelle casse democratiche, ovvero nel “conto comune”, accusando i Ds di non aver fatto lo stesso. Affermazioni che hanno scatenato l’ira di Fassino e portato plasticamente sotto gli occhi di tutti i malumori interni al Pd. Malumori che, a detta di Mantini, potrebbero portare la Margherita a forzare la mano per arrivare ad alleanze locali a macchia di leopardo con l’Udc.
Segnali di divaricazioni sempre più forti arrivano anche sul fronte mediorientale dove non è passata inosservata la scelta di Gianni Vernetti, ex sottosegretario agli Esteri, di schierarsi tra i promotori della “maratona oratoria” pro-Israele che si terrà davanti Montecitorio il 14 gennaio. Una scelta che illustra in maniera chiara quanto la linea dalemiana non sia certo sposata all’unanimità.
Nell’orizzonte turbolento di Piazza Sant’Anastasia resta poi da risolvere la questione Villari. In attesa della riunione del 13 gennaio al Senato, quando la giunta per il regolamento deciderà se revocare il senatore da membro e quindi da presidente della Vigilanza Rai per il venir meno della proporzionalità parlamentare in commissione, l’ala rutelliana scalda i muscoli. I rutelliani sono favorevoli a che il presidente della Vigilanza resti in sella e così anche i Radicali. L’Italia dei Valori fa blocco contro tutto e contro tutti, Pdl e Lega riflettono sul fatto che tenere Villari è l’unica soluzione possibile visto che il senatore napoletano è il solo ad avere, rebus sic stantibus, la maggioranza in commissione.
Le voci che invitano la leadership del partito a un supplemento di riflessione non mancano. Mantini chiede a Veltroni un “patto di programma” con Villari; Linda Lanzillotta definisce “inquietante” un eventuale siluramento del senatore ex Pd; Vernetti ritiene la possibilità di una revoca ”un precedente molto grave”.
Ma naturalmente le ferite più profonde e difficili da rimarginare sono quelle che dilaniano il corpo del partito a livello locale. Da Napoli all’Abruzzo, dalla Sardegna a Firenze, la sensazione è quella di una lotta tra potentati ormai slegata dalla leadership centrale. Una conflittualità frutto di scontri tra micropartiti locali che sentono la debolezza del “governo centrale” e attaccano, tentando la scalata al potere. Come dire che di fronte alla debolezza del partito i singoli capibastone, i portatori di voti, coloro che possono giocare la carta di quel radicamento che il Pd non riesce più a esprimere in maniera coerente e organizzata sfoderano le loro armi pronti a giocarsi il tutto per tutto. Una balcanizzazione che rischia, se non arginata attraverso la creazione di un partito vero e pesante, di affogare definitivamente il grande progetto veltroniano.