Dopo il Vertice di Astana abbiamo capito che bisogna chiudere l’OSCE
06 Dicembre 2010
Vista la bufera scatenata dai cablo di WikiLeaks era prevedibile che il vertice dell’Osce ad Astana, in Kazakistan, fosse un fallimento. Ma il problema con le organizzazioni internazionali "di massa" come l’Osce (contiene 56 Paesi) è il fatto di riprodurre, con il passare degli anni, soltanto dichiarazioni di principio altisonanti ma prive di qualsivoglia applicazione nella realtà.
L’Osce era nato per garantire la sicurezza e difendere i diritti umani, sulla scorta del dialogo stabilito con i sovietici ai tempi degli Accordi di Helsinki. Ma la guerra in Jugoslavia, la Cecenia, l’invasione russa della Georgia nel 2008, dimostrano che i risultati ottenuti dall’organizzazione sono alquanto deludenti. Creare un doppione allargato della Nato, con l’idea di favorire una penetrazione ideologica e non solo militare dell’Alleanza ad Est, a lungo andare, si è rivelata un’arma a doppio taglio.
La Russia ha progressivamente boicottato le attività dell’organizzazione di cui fa parte, e da cui è stata indirettamente favorita (vedi il comportamento degli osservatori Osce proprio in Georgia), chiedendo, per bocca del presidente Medvedev, di andare oltre pensando a nuovi conglomerati che sanciscano il definitivo passaggio dal mondo unipolare a quello multipolare. Il fatto che il vertice si sia tenuto in Kazakistan, il primo stato dell’ex Unione Sovietica ad entrare nel club, per Mosca è una minaccia e un’opportunità.
L’Occidente fa un altro passo in Asia ma il chairman kazako dell’Osce, che quest’anno è stato uno degli ospiti fissi del Consiglio Atlantico, resta pur sempre un cinquantenne che si è formato nelle università comuniste e che fino all’ultimo ha ottenuto incarichi di prestigio dal segretario del partito Gorbaciov. L’uomo migliore per garantire il necessario equilibrio di poteri, sinonimo di immobilismo, all’interno dell’organizzazione. I "conflitti congelati", come vengono chiamati, resteranno tali, non essendo rientrati nel testo finale della dichiarazione del vertice; un appuntamento, quello di Astana, molto ridimensionato rispetto alle trionfali aspettative del presidente kazako Nazarbayev.
Se l’Osce meriterebbe di chiudere è anche colpa degli americani che adesso si lamentano con gli alleati ma per anni hanno tollerato la propensione di alcuni stati europei a dialogare con Mosca, come pure la penetrazione russa nelle sue vecchie aree di influenza e nei mercati dell’Unione. Gli sfoghi della Clinton diffusi da WikiLeaks sono incomprensibili se pensiamo alla politica del "reset" inaugurata da Washington con l’arrivo di Obama, alle incertezze e ai passi falsi dell’Amministrazione sul disarmo nucleare, alla questione georgiana. Non è un dettaglio insignificante che durante le ultime elezioni in Russia il numero di osservatori dell’Osce incaricati di monitorare il voto fosse quasi insignificante.
Il rappresentante americano all’Osce è un uomo di Chuck Hagel, senatore repubblicano e attuale chairman del Consiglio Atlantico. Hagel quest’anno si è dato un gran da fare per diffondere paper ed analisi sulla sicurezza euroasiatica e il ruolo di stabilizzatore che potrebbe avere il Kazakistan nell’area (per esempio se si adoperasse positivamente verso il vicino Kirgizistan, attanagliato da una sanguinosa guerra civile). Il senatore ha lavorato d’intesa con l’amministrazione Obama all’agenda del vertice di Astana, criticando la Casa Bianca quando qualcuno ha provato ad obiettare che prima di legittimare il ricco Nazarbayev bisognerebbe risolvere il problema del "deficit di libertà" che minaccia il Paese.
Hagel del resto è il contrario di un "neocon". Implacabile avversario del Presidente Bush all’interno del partito repubblicano, si è opposto con tutte le sue forze alla guerra in Iraq, paragonandola al Vietnam, ed è convinto che sia ancora troppo presto per dare un giudizio sull’operato di Obama. L’Osce è un buon trampolino di lancio per esporre la sua politica realista ma di stampo leggermente isolazionista. Hagel rappresenta alla perfezione quel "Asse dell’appeasement" che dal consigliere di Bush Padre, Scrowfort, porta al vecchio Henry Kissinger, l’idea che si possa inchiodare gli avversari al tavolo delle trattative. Ma il comunismo è stato sconfitto diversamente, con una battaglia di idee – e di propaganda – che metteva al primo posto i diritti umani, la libertà di parola, la libertà religiosa, i "valori non negoziabili" dell’Occidente.
L’Osce si è riunuta dopo undici anni in Kazakistan, un Paese dove il regime comunista si è trasformato in una democrazia autoritaria, in cui i giornalisti ostili al governo finiscono in carcere. Proprio da qui doveva partire il rilancio dell’organizzazione. Crediamo di non essere troppo polemici chiedendo invece che l’Osce sia chiuso, sbilanciato com’è a Oriente, bloccato dai "veti" di Mosca e dal "realismo" di scuola americana. Senza l’Osce che fine farebbero i boiardi dell’ex comunismo sovietico? Questi ultimi, grazie alla loro crescente influenza economica, sfruttano le debolezze, le divisioni e l’indifferenza dei capi di stato occidentali per ricavarne un proprio tornaconto personale e di consenso.