Dopo il voto sardo nel Pd si riaprono tutte le sfide ed è l’ora dei chiarimenti

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Dopo il voto sardo nel Pd si riaprono tutte le sfide ed è l’ora dei chiarimenti

17 Febbraio 2009

E’ un macigno pesantissimo quello che si abbatte sul Partito Democratico nella notte delle elezioni sarde. Un colpo da ko – misurabile in un distacco di nove punti tra i due candidati e addirittura di diciotto punti tra le liste del centrodestra e del centrosinistra – che sarà impossibile derubricare alla voce varie ed eventuali. Questa volta è chiaro a tutti che Walter Veltroni non potrà allontanare da sé la disfatta sostenendo che in Sardegna è andato in scena un duello tra Renato Soru e Silvio Berlusconi.

Il segretario del Pd non potrà sottacere un doppio, evidente e fatale errore. Il primo è la ripetizione di uno schema stantio e logoro: la demonizzazione di Silvio Berlusconi. Il secondo è la riesumazione dell’alleanza multicolor con dentro Antonio Di Pietro ma anche Rifondazione comunista e i Comunisti italiani.

Un ritorno al passato che ha dimostrato che la restaurazione è in corso e che dentro il Pd si sta procedendo all’archiviazione successiva di tutti i fattori di innovazione che il nuovo partito ha portato con sé. Via la vocazione maggioritaria, via l’aspirazione a un centrosinistra moderno, socialdemocratico e riformista, via l’idea del partito capace di proporsi come forza di innovazione e cambiamento. Meglio ripiegare sul “catenaccio” di un tempo, recuperare fotografie ingiallite del ‘96 e scegliere la via delle grida antiberlusconiane, del “dagli al regime” dipietrista, del conservatorismo istituzionale di Scalfaro e dell’immobilismo sociale della Cgil.

A questo punto i dalemiani tornano sul piede di guerra. Ma la novità è che anche la loro piattaforma alternativa dimostra di avere il fiato corto e ben poche frecce al proprio arco. L’ex ministro degli Esteri, e con lui Pierluigi Bersani, hanno ben poco da gioire in questa fase. Insomma, se Atene piange, Sparta non ride. La coalizione messa in piedi in Sardegna, infatti, ricalcava lo schema “unionista” di Romano Prodi. Ma il cambio di schema ha confermato che quando Silvio Berlusconi scende in campo non c’è alchimia tattica che tenga. Inoltre D’Alema-Bersani, pur avendo ormai lanciato la sfida al segretario, non hanno finora raccolto alcun successo seppure minore. A Firenze il loro candidato sindaco Michele Ventura ha fatto peggio non solo di Matteo Renzi, l’outsider-vincitore delle primarie, ma anche di Lapo Pistelli che era appoggiato dalla segreteria del Pd. Lo stesso passaggio a vuoto hanno avuto i candidati scelti da Bersani nelle primarie di Forlì, Prato e Riccione.

La situazione, quindi, appare intricata. Tanto più che anche le ambizioni nazionali di Renato Soru, dopo la cocente sconfitta nella sua terra sono state spazzate via in maniera definitiva. L’impressione è che ormai l’insoddisfazione dei militanti si stia allargando al punto di accerchiare il quartier generale romano e trasformare ogni occasione elettorale in una occasione di contestazione. Un panorama terremotato che dovrebbe spingere Veltroni a tentare il tutto per tutto e giocarsi la partita in campo aperto. E in quest’ottica può essere letto il vertice di partito riunito in tutta fretta, in cui il leader del Pd ha formalmente rimesso il suo mandato. Aldilà delle intenzioni – che hanno il sapore dell’atto puramente formale, per quanto rapide sono state le rassicurazioni dei suoi sulla "leadership che non è in discussione" – ciò che sembra ormai scontato è che per il segretario non sia più possibile proseguire sulla strada vecchia, con un partito che ogni giorno mostra il suo lato debole e appare sempre più confuso e diviso.

Fino a ieri Veltroni restava convinto che non fosse opportuno anticipare il congresso, ritenendo piuttosto necessario un vero chiarimento politico, da tenersi già nella direzione di fine mese o alla conferenza programmatica che, in questo caso, potrebbe essere anticipata o, comunque, cambierebbe forma e contenuto. Ma l’unico dato certo, a questo punto, è il risultato elettorale. La clamorosa débâcle sarda, infatti, potrebbe cambiare lo scenario e imporre un’accelerazione. Anche se finora tutti i redde rationem annunciati alla vigilia si sono trasformati, alla prova dei fatti, in una plastica prova di immobilismo e di rancore lasciato a covare sotto la cenere.