Dopo la Cina, un altro gigante d’Asia mette naso in Sud America: è l’India
24 Settembre 2011
Quando le relazioni commerciali tra Argentina e Cina hanno toccato il fondo lo scorso anno, un nuovo partner è apparso immediatamente all’orizzonte. Nell’Aprile del 2010, Pechino mise infatti fine ai suoi acquisti di olio di semi di soia argentino come rappresaglia alle restrizioni imposte dall’Argentina alle importazioni cinesi. Ciò avrebbe potuto avere un profondo impatto: l’Argentina è il grande esportatore di olio di semi di soia, e la Cina il primo importatore al mondo. Gli sforzi compiuti all’epoca dalla presidente Cristina Fernández de Kirchner non riuscirono a mettere fine alla disputa commerciale.
Arriva l’India, che immediatamente ha triplicato le sue importazioni di olio di semi di soia, portando l’ammontare delle importazioni da 606 milioni di dollari nel 2009 a 1,8 miliardi di dollari nel 2010 (le importazioni cinesi nello stesso periodo sono cadute da 1,8 miliardi di dollari nel 2009 a 240 milioni di dollari nel 2010). Fecero seguito le reciproche visite nei rispettivi paesi tra il ministro dell’agricoltura argentino Julián Domínguez e il suo omologo indiano, Sharad Pawar, e la firma di un memorandum di intesa in materia di cooperazione agricola
L’interscambio tra Argentina e India ha raggiunto 2,5 miliardi nel 2010 ed è probabile che raggiungerà 3 miliardi di dollari nel 2011.
E benvenuto al nuovo “bimbo” nel blocco dell’America Latina.
Mentre si è data molta attenzione al ruolo della Cina nelle Americhe, le crescenti relazioni Indo-Americane sono state largamente ignorate dalla stampa. Ma alcuni hanno notato il cambiamento. Nel 2010, l’Inter-American Development Bank (IDB) ha pubblicato un rapporto dal titolo “India: Latin America’s next big thing?” (ndt. “India: il prossimo grande evento in America Latina”), seguito da un simile rapporto da parte di SELA, Sistema Económico Latinoamericano y del Caribe.
L’alternativa dell’India: investimenti di alto valore
L’India ha oggi una palpabile presenza economica dai Caraibi all’Uruguay, e i suoi interessi sono estremamente diversificati. Dal lontano 2000, le compagnie Indiane hanno investito nella regione 12 miliardi di dollari in Information Technology (IT), in produzione farmaceutica, agrochimica, settore minerario, energia, e manifattura. Tra le più importanti imprese che operano nelle Americhe oggi sta la compagnia di IT, Tata Consultancy Services (TCS), Dr. Reddy’s Laboratories (settore farmaceutico), United Phosphorous (agrochimico), Shree Renuka Sugarsm Havells Sulvania (componentisca per illuminazione), Videocon (produzione televisori), e ONGC Videsh (ptrolifero).
In Bolivia, Jindal Steel & Power ha dato vita a un investimento di 2,3 miliardi di dollari nella mina di ferro di El Mutùn, il più grande investimento diretto estero nella storia della Bolivia, e il più grande mai fatto da una ditta indiana in America Latina.
A Trinidad e Tobago, Essar Steel sta per creare un impianto da 2,5 milioni di tonnellate di ferro. Nel 2020, TCS, la più grande compagna IT indiana, creò a Montevideo un suo Global Delivery Center, portanto l’Uruguay nella mappatura IT globale. TCS dà lavoro a 900 uruguagi ed è uno dei più grandi e ambiti datore di lavoro del paese.
Il commercio indiano non ha fatto la diffirenza in piccoli paesi come la Bolivia, Trinidad Tobago e l’Uruguay, ma anche nelle nazioni più grandi del Sud America – come dimostra l’accordo della soia con l’Argentina del 2010. Un anno dopo, l’India ha acquistato 1 miliardo di dollari in zucchero dal Brasile a compensazione di un penuria vissuta dall’India in produzione locale del prodotto. Nello stesso tempo, il gigante brasiliano Embraer ha venduto aeroplani all’India e le esportazioni del Cile verso l’India sono cresciute di dieci volte fino a toccare i 2,2 miliardi di dollari nell’arco tra il 2003 e il 2007.
Due compagnie di Information Technology che operano in Cile – la TCS e Evalueserve – danno lavoro a più di 2000 persone.
In Argentina, a oggi operano 14 compagnie indiane, sette delle quali stanno nel settore IT o nei settori connessi all’IT, dando impiego a circa 7.000 individui, il resto si distribuisce in vari settori manifatturieri, dal farmaceutico al cosmetico fino all’agrochimico.
Anche il Venezuela ha incredibilmente aumentato le sue esportazioni verso l’India. In totale, una cifra vicina alle 35.000 unità lavora per una compagnia indiana nella regione dell’America latina – più della metà di esse in IT, in compagnie d’outsourcing in business process o in knowledge process.
Dal 2000 al 2009, il commercio indo-latinoamericano è cresciuto di otto volte, raggiungendo la cifra di 20 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra ben indietro rispetto ai 140 miliardi di dollari di interscambio commerciali tra la Cina e l’America Latina, ma il divario si stringerà senz’altro negli anni a venire.
Benché esistano degli evidenti ostacoli di natura geografica e cultural, la possibilità di accorciare i processi spazio-temporali che la tecnologia fornisce sempre di più, permetterà di abbattere queste frontiere. Ancor più significativo, l’India non deve copiare il percorso commerciale seguito dalla Cina nelle Americhe. Per quanto condivida un certo numero di caratteristiche con la sua “gigantesca sorellina asiatica”[ndr. la Cina], l’India può in qualche modo offrire un diverso ventaglio di alternative – come indica la diversità delle iniziative commerciali appena menzionate.
Ma la crescente presenza dell’India ha anche il dubbio pregio di aumentare lo scetticismo riguardo alla ‘salubrità’ del crescente profilo che i giganti asiatici stanno assumendo in America Latina. Molti sostengono che la crescente domanda di importazioni dall’America Latina, spinta dal quasi prossimo a due cifre tasso di crescita di un certo numero di economie asiatiche, perpetui meramente il ruolo classico della regione latinoamericana di produttore e esportatore di prodotti minerari e agricoli.
Questo modo di ragionare è spagliato. Non c’è dubbio che una crescente domanda dall’Asia – in particolare da Cina e India – ha dato alla regione un nuovo slancio. Tra il 2003 e il 20008, l’America Latina ha avuto la propria migliore performance economica da tre decenni a questa parte, con media di crescita annua vicina la 5 percento, in parte attribuibile all’esplosione dei prezzi delle materie prime.
L’aumento eccezionale nei volume di interscambio commerciale tra l’Asia e la regione non ha solo aumentato il prezzo delle materie prime latinoamericane, ma ha anche permesso alle nazioni delle Americhe di diversificare le proprie esportazioni dai loro tradizionali mercati di sbocco: il Nord America e l’Europa Occidentale.
Nel 2010, il 40 percento delle esportazioni cilene sono andate verso l’Asia. Nel 2007, la Cina aveva già spodestato gli Stati Uniti come primo mercato di sbocco delle esportazioni cilene, e l’India aveva già rimpiazzato la Germania come suo decimo più grande mercato di sbocco. Qualcosa di simile sta accadendo in Argentina, Brasile e Peru.
Allo stesso tempo, ‘l’età dell’oro’ dei tassi di cambio ha permesso ai paesi dell’America Latina di liquidare i propri debiti, di aumentare le loro già significative riserve monetarie e, in qualche caso, di creare il proprio fondo sovrano.
E’ perciò difficile argomentare che un aumento dell’interscambio con i giganti asiatici, sia nocivo per l’America Latina nel lungo periodo. A riprova di ciò, l’America Latina abbia è riuscita a evitare la Grande Recessione del 2008-2009, crisi finanziaria è bene ricordarlo originata nel Nord, non solo grazie a una gestione macroeconomica prudente affiancata da una regolamentazione finanziaria, ma anche dalla copresenza di basso indebitamento e grandi quantitativi di riserve monetarie estere, reso possibile in parte dal commercio con l’Asia.
Le opinioni espresse in questo articolo sono personali e non riflettono necessariamente quelle del Governo Indiano
Fine prima puntata. Continua…
Traduzione di Edoardo Ferrazzani