Dopo la Guerra Fredda c’è quella contro l’imperialismo islamico
03 Dicembre 2008
di Mark Steyn
Ogni volta che i terroristi attaccano, gli analisti e i media si trasformano in una sorta di Sherlock Holmes, aggirandosi metaforicamente sulla scena del delitto in cerca di tracce, come se la soluzione del mistero scaturisse dalla somma degli indizi. I terroristi di Bombay cercavano turisti inglesi e americani. Di conseguenza, il loro è stato un attacco contro l’Occidente! Ma non è così, secondo l’opinione di Fareed Zakaria. Se quello fosse stato il loro reale intento, avrebbero colpito l’Hilton o il Marriott o qualche altra famosa catena di hotel di lusso. Sia il Taj che l’Oberoi sono di proprietà indiana, con locali popolari frequentati da indiani facoltosi. E allora, cosa sappiamo di questo gruppo che rivendica l’attacco? Si fanno chiamare “Deccan Mujahideen”. Tutte le tv mercoledì notte hanno ripetuto insistentemente la stessa domanda: “Cosa sappiamo di loro?”
Ecco, a dire il vero, non ne sappiamo nulla. Perché non esistevano finché non hanno rilasciato il comunicato stampa di rivendicazione degli attentati. “Deccan” è il nome del vasto altipiano che copre gran parte della penisola triangolare nella metà inferiore del sub-continente indiano. Deriva dalla parola in lingua Prakrit “dakkhin”, che significa “sud”. Il che non vuol dire assolutamente nulla. Scegliere il nome “Deccan Mujahideen” è come chiamarsi “Fronte di Liberazione della Piattaforma Continentale”.
Okay. Allora tutto questo significa forse che l’operazione di Mumbai sia collegata ad al-Qaeda? La risposta è no. O almeno la risposta è no se con “collegata a” intendiamo riferirci a un gruppo sussidiario completamente dipendente e che coordina le sue attività in base a quanto disposto dai vertici. Non si tratta di scegliere tra questo scenario o l’altro: siamo di fronte a qualcosa che racchiude tutto ciò che è stato appena descritto. Sì, i terroristi hanno preso di mira hotel di proprietà locale. Ma come ostaggi hanno scelto inglesi e americani. Sì, hanno attaccato simboli prestigiosi della città, come il Victoria Terminus, una delle stazioni ferroviarie storiche più belle del mondo. Ma hanno anche attaccato un centro sconosciuto della comunità ebraica. Il progetto imperialista islamico riflette un’ideologia totalitaria: la sua guerra è contro Hindu, Ebrei, Americani, Inglesi e contro qualsiasi obiettivo che rappresenti la diversità.
Nei dieci mesi che hanno preceduto le atrocità di questa settimana, i terroristi musulmani hanno ucciso più di 200 persone in India e nessuno ci ha fatto caso. Si trattava del solito problema, ahimè. A Bombay gli autori degli attacchi sono stati più astuti. Hanno deciso di lanciare un assalto multiplo e indiscriminato contro bersagli deboli, e quindi, una volta esploso il caos, hanno iniziato a scegliere prede di prim’ordine: non solo ricchi turisti occidentali, ma anche ebrei ortodossi, indiani e poliziotti della municipale. Hanno sequestrato con la forza ufficiali di rilievo in luoghi selezionati, e quindi hanno freddato i capi delle unità anti-terrorismo e due dei loro più importanti luogotenenti. Hanno attaccato un ospedale, il luogo dove si suppone vengano portate le vittime, destabilizzando in tal modo il sistema di intervento d’emergenza della città. E, oltre alle dozzine di corpi, hanno ottenuto un’altra vittoria, infliggendo all’India un danno economico immediato e tangibile: la borsa di Bombay è rimasta chiusa fino a venerdì scorso, e la squadra di cricket inglese ha cancellato il suo tour (un atto vergognoso).
Ciò che rende rilevante il “modello-Mumbai” è che potrebbe funzionare più o meno in ogni città di ogni stato democratico: basterebbe scegliere obiettivi multipli deboli e bloccare l’infrastruttura municipale, al punto tale che ogni intervento di emergenza venga sommerso dalla pura sequenza degli eventi. Provatelo, ad esempio, nella New Orleans del primo cittadino Nagin (il sindaco che governava la città durante l’uragano Katrina, Ndt). Tutto ciò di cui c’è bisogno sono uomini disposti ad agire. Dato il numero degli attentatori, chiaramente c’era una componente locale significativa. D’altro canto che l’ISI – l’oscura intelligence pakistana – abbia o meno lasciato le sue impronte digitali sugli attentati, sembra comunque improbabile che non ci sia stato un coinvolgimento esterno. In fondo, se guardiamo a qualsiasi fronte del jihad, dalle bombe nella metropolitana di Londra all’insorgenza irachena, troveremo ragazzi del posto e astuti outsider: questo è praticamente un dato di fatto.
Ma così rischiamo di perdere di vista l’obiettivo principale: l’ideologia. E’ proprio l’ideologia infatti a determinare se sia possibile trovare nella zona scelta per l’attacco un numero abbastanza congruo di giovani disposti a tutto, a tirare la cinghia per farsi saltare in aria o (per una più promettente carriera a lungo termine) a imbracciare un fucile AK e aprire il fuoco nell’atrio di un hotel. O, qualora i terroristi in azione sul campo si mostrino un po’ troppo deboli, è sempre l’ideologia a determinare se sia possibile contare su un più ampio sostegno in campo. Magari fisicamente puoi trovarti in qualche lontana capitale straniera, ma sei deciso a intraprendere un’operazione stile-Bombay ad esempio ad Amsterdam, Manchester o Toronto. Da dove inizieresti? Semplice. Conosci le moschee estremiste, e le altre organizzazioni con un fronte ideologico. Così hai già trovato la risposta.
Ma incentrando il dibattito sul fatto che si tratti dei “Deccan Mujahideen” o dell’ISI o di al-Qaeda o di Lashkar-e-Taiba non si coglie il punto fondamentale. Questo è un argomento riduttivo. Potrebbe trattarsi di tutti o di nessuno di loro. La loro ideologia è stata seminata in giro per il mondo con un successo tale che nessuno ha bisogno di un promemoria dal quartier generale per agire. Questi sottogruppi e singoli individui sono così tanti che si intersecano in tutto il mondo, in un milione di modi differenti. Non è la Guerra Fredda, con un piccolo network di spie in profondità controllate direttamente da Mosca. Non ci sono tessere di appartenenza, solo un’ideologia. Questo è ciò che ha radicalizzato finora le comunità moderate dei musulmani dall’Indonesia all’Asia centrale a Yorkshire, e ha trasformato quelle che erano iniziate come lotte nazionaliste nel Caucaso e nei Balcani, più o meno convenzionali, in meri tentacoli del jihad mondiale.
Molti di noi, compresa l’amministrazione di Obama, sono convinti che questa sia una questione di polizia. Bombay è la scena del crimine: e allora circondiamo l’area con il nastro giallo della polizia, inviamo sul posto la squadra di medicina legale, e aspettiamo che le accuse vengano archiviate. C’era una foto che ha occupato le pagine di molti giornali inglesi, scattata da un fotografo della Reuters, su cui la maggior parte delle agenzie stampa ha posto questa didascalia: “un sospetto criminale si aggira al di fuori della stazione Chhatrapati Shivaji o Terminus Victoria”.
La foto del “sospetto” mostra un uomo che impugna un’arma. Non sappiamo molto di lui – potrebbe essere musulmano o episcopaliano, potrebbe essere una vittima dell’oppressione economica dei colonialisti occidentali, impoverita e senza istruzione, o un ex vice-presidente della Lehman Bros. deciso a intraprendere un inebriante cambiamento di carriera di mezza età – ma una cosa dovremmo essere in grado di affermare con certezza: un uomo che punta un’arma non è “un sospetto criminale”, bensì un criminale. “Questo sciocco modo di esprimersi politicamente corretto infetta i giornalisti e i servizi d’informazione mondiali” ha scritto John Hinderaker su Powerline. “Pensano di essere scrupolosi – l’uomo non è stato ancora condannato per essere un criminale! – quando in realtà si mostrano solamente privi di senno. Ma la convinzione irrazionale che nulla possa essere sicuro a meno che non sia stato stabilito da una corte e da una giuria non è solamente sciocca, ma anche pericolosa.”
Proprio così. Qui non si tratta di un problema di polizia, bensì di un assalto ideologico – e stiamo combattendo i sintomi, non la causa. Gli imperialisti dell’Islam vogliono una società islamica, non solo in Palestina e nel Kashmir ma anche nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna. Le opportunità che possano raggiungere questo obiettivo saranno determinate dal diffondersi dell’ideologia tra la popolazione comune di musulmani, e dall’incremento demografico di tale popolazione in mezzo a tutti gli altri. E ora che Bush è ormai passato alla storia, e abbiamo un nuovo presidente che promette di guarire il pianeta, i jihadisti non sembrano aver colto il messaggio di Obama sul fatto che non esistono nemici, ma solamente amici con i quali non si è ancora intrapreso un dialogo senza preconcetti. La questione non riguarda rinnegare gli anni di governo Bush, né ritirarsi dall’Iraq, né liquidare Israele. E’ qualcosa di più grande. E se manca una strategia per respingere l’ideologia, la sconfitta è certa.
Tratto da National Review Online
Traduzione di Benedetta Mangano