Dopo la sentenza della Corte sul referendum la legge elettorale può attendere

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Dopo la sentenza della Corte sul referendum la legge elettorale può attendere

15 Gennaio 2012

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito  referendario a sostegno dell’operazione politica di abrogazione della legge elettorale vigente (il Porcellum). Le motivazioni, dal punto di vista “tecnico”, segneranno presumibilmente la bocciatura dell’ipotesi alla base dell’iniziativa: la contraddittoria o, quantomeno, fideistica, teoria della “reviviscenza della legge”. Fulco Lanchester l’ha definita, con ragione, la “resurrezione di Lazzaro”. Teoria che pareva “autorevole”, peraltro, quantomeno per essere stata sostenuta da ben centoquindici “costituzionalisti” (tra cui l’ex giudice della Consulta Zagrebelsky), i quali hanno firmato l’appello a sostegno del referendum, lo scorso 4 gennaio.

In tema di referendum elettorali, va detto, la giurisprudenza costituzionale si è, con il tempo, consolidata nel senso di escluderne l’ammissibilità, se non nel caso in cui il quesito proponga un’abrogazione solo parziale della legge elettorale vigente, in maniera tale da generare una “normativa di risulta” coerente ed immediatamente applicabile (Corte Cost., n. 32/1993). Tale orientamento presuppone, pertanto, che dall’abrogazione totale della legge elettorale consegua sempre un vuoto normativo in una materia costituzionalmente necessaria e, come tale, inammissibile.

La proposta referendaria attuale ha tentato, allora, di “forzare” il concetto di abrogazione, attraverso la cosiddetta teoria della reviviscenza della legge. La teoria, nella sua formulazione generale, sostiene che gli effetti derivanti dall’abrogazione di una legge si ripercuotano sulla legge a sua volta abrogata dalla disposizione non più esistente; ripercussione che avrebbe, come effetto, quello di far “rivivere” la disposizione originaria. Sul tema, la scienza giuridica è sempre stata divisa. Già sul finire degli anni Cinquanta si era sostenuto che il “senso pratico” dell’abrogazione non potrebbe essere che quello di volere ripristinare la prima disciplina (così disse Pugliatti, con riferimento ai casi di “abrogazione della norma abrogatrice”).

Difficile si rivelò, del resto, indicare precisamente cosa significasse “abrogare” una legge. L’abrogazione, si legge nei commenti al Code Napoléon, è “l’atto col quale viene distrutta ed annientata” una legge: se il legislatore intende “renderle la vita”, dovrà “crearla nuovamente” (Demolombe).

Abrogare, si dice oggi, è porre fine alla vigenza di una disposizione o di una norma. Da tale punto di vista – e semplificando il più possibile la questione – una legge abrogata non potrebbe mai “tornare a vivere”, in quanto essa non può più aver vigore nell’ordinamento. In realtà, il dibattito è ben più complesso, le divisioni profonde, gli esercizi e le variazioni sul tema sono costanti.

La Cassazione, nel 2009, aveva tuttavia ribadito con chiarezza le differenze, in tema di “reviviscenza”, tra abrogazione e dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma, precisando che soltanto in quest’ultimo caso la norma abrogata dalla disposizione dichiarata illegittima può “rivivere” (cfr. Cass. civ. Sez. V, 06-08-2009, n. 18054). La stessa Corte Costituzionale, pochi mesi fa, aveva indicato come l’abrogazione di una disposizione abrogativa è “inidonea a rendere nuovamente operanti norme che, in virtù di quest’ultima, sono state già espunte dall’ordinamento” (Corte Cost., n. 28/2011). È dunque presumibile che la medesima motivazione verrà riproposta nel caso in esame.

Il significato della pronuncia della Consulta, tuttavia, è ben più profondo della disputa intorno ad una teoria di fatto “snobbata” dai giudici. Il senso politico sotteso al tentativo di chirurgia elettorale attiene direttamente al ruolo del Parlamento.

Nonostante le tante critiche al Porcellum, il Parlamento non è, infatti, stata in grado di far rivivere la vecchia legge elettorale. Ad essa, non sarebbe servito ricorrere ad una “teoria della reviviscenza”, bensì ad un semplice “tratto di penna”, con cui abrogare la legge in vigore riproponendo ex novo la disposizione già oggetto di abrogazione (ci sono tanto di istruzioni per la redazione nella circolare della Presidenza del Consiglio 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.92). Non ne fu in grado nemmeno nel 1996, quando non passò ai voti la proposta n. 2423 (la cosiddetta “Legge Rebuffa”), la quale, con un solo articolo, avrebbe risolto ogni problema relativo alla successione nel tempo delle leggi elettorali.

Se il potere parlamentare è “bloccato”, incapace di prendere decisioni, ciò che viene messo in discussione è il senso stesso dell’abrogazione delle leggi. L’abrogazione, infatti, non è semplicemente una tecnica, ma l’espressione del potere del Parlamento di trascendere “ogni momento del proprio esercizio”. È il riflesso di una determinata concezione del potere politico, che in pochi mesi è completamente collassata. Concezione che consiste nell’idea che il Parlamento abbia il primato politico in relazione alla creazione del diritto. È soltanto il Parlamento che incarna la concezione del diritto come progetto nel tempo, come produzione: il diritto valido è solo quello presente, ma tale “presente” si giustifica solo attraverso l’autorità dell’avvenire, ossia quella propria del legislatore (il Parlamento), della legge “che dispone per l’avvenire”. 

L’appello del 4 gennaio scorso, già ricordato, contiene inoltre comunque un invito al Parlamento ad intervenire con una nuova legge elettorale. Difficile, se si considera che il Porcellum non è un residuo di una legislatura che non è più, bensì l’espressione di un accordo politico che fu raggiunto tra i partiti che, ancora oggi, costituiscono la maggioranza dell’attuale Parlamento.

Cosa ci dobbiamo dunque aspettare? Io credo che non ci sia nulla da attendere. Salvo che il Parlamento non si faccia dettare una nuova legge elettorale direttamente dal governo “tecnico” di Monti, non ci resta che …. aspettare Godot!