Dopo la vittoria a Napoli, De Magistris non faccia il Masaniello

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Dopo la vittoria a Napoli, De Magistris non faccia il Masaniello

31 Maggio 2011

A Napoli il diritto di scegliersi un sindaco ha spesso travolto il dovere dello Stato di impedire abusi e dissipazioni nella gestione delle risorse comunali. Da Lauro a De Magistris, per certi versi.

Nel caso di quest’ultimo tutti evocano Masaniello. Salvo poi prescindere da quanto, come e perché nella Napoli repubblicana si risveglino umori e rancori di Napoli spagnola. Qualcuno ricorderà quelle oceaniche piazze laurine degli anni cinquanta e quell’idea di Napoli tutta proiettata nel Mediterraneo di Faruk, in opposizione all’Europa, all’Occidente, allo stesso Stato nazionale. Ad un certo punto la DC esaurì i propri margini di tolleranza col laurismo; al Viminale c’era Tambroni e la città fu commissariata. Dall’alto però, non dal basso. Proveniva, invece, dal basso, dalle viscere dell’insofferenza popolare, la furia con la quale nel 2008 Napoli affidò a Berlusconi un autentico mandato di commissario nazional-popolare all’immondizia. Ed egli lo svolse negli ambiti e nei limiti entro i quali la Costituzione ed il suo titolo V (pensato, scritto, votato solo dalla sinistra nel 2000) glielo avrebbe consentito.

All’indomani del trionfo elettorale da un consiglio dei ministri tenutosi, appunto, a Napoli fu varato un decreto legge che sul fronte della guerra all’immondizia fece storia. Per i suoi ricorrenti giochetti di interdizione sugli inceneritori e per le sue contiguità alla sinistra venne quasi commissariata la magistratura. Non però il sistema delle autonomie. Sarebbe stata lesa maestà della Costituzione secondo il centro-sinistra; non avrebbe consentito alla sovranità popolare di abbattere il malgoverno secondo il centro-destra.

Avevano ragione entrambi. Ma erano argomenti che prefiguravano prima o poi l’ingresso in scena di un Masaniello. Un po’ come aveva ricostruito Benedetto Croce in alcune pagine della sua Storia del Regno di Napoli.

Il voto di domenica è parso "bestia selvaggia", cioè società civile avrebbe detto Hegel. Nessuna indulgenza per quelle quarantennali compagnie dialettali (di diverso colore politico, ma un pò sempre uguali a se stesse), abituate a recitare sugli stanchi palcoscenici di Provincia, Regione, Comune. L’irruenza popolare, che un candidato come De Magistris sperava di riuscire a risvegliare, ha davvero "spaccato tutto".

De Magistris nei panni di Masaniello e Ranieri in quelli di Genoino, dunque. Chi sono costoro? Non resta che cedere la parola a Croce.

Giulio Genoino, colto giurista di Cava de’Tirreni, nel 1620 aveva inventato per sé la carica di "eletto del popolo". Si batteva contro le prepotenze della nobiltà ed aveva la protezione dell’allora viceré di Napoli duca di Osuna. Quando quella protezione gli venne meno, Genoino andò in carcere (prima a Madrid, poi in Andalusia). Tornò a Napoli vecchio e indomabile: nel 1647 decise di servirsi come suo braccio armato di Tommaso Aniello, un giovane pescivendolo di Amalfi detto Masaniello. Solo che gli eccessi di Masaniello gli parvero inutili, crudeli, dannosi e col governo spagnolo ne progettò l’eliminazione…

Ranieri e De Magistris di quelle antiche cronache nulla vorranno sapere. Speriamo perché tutti e soltanto dediti a sradicare l’immondizia e niente affatto tentati dalla secessione dallo Stato nazionale in nome dell’autonomia.