Dopo l’arresto di Gbagbo i mille dubbi sul futuro della Costa d’Avorio
15 Aprile 2011
A quattro giorni dall’arresto dell’ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo – che nonostante fosse uscito sconfitto dalle elezioni presidenziali svoltesi lo scorso novembre, in questi mesi non aveva mai voluto accettare il verdetto e il passaggio di consegne al suo successore –, a cui “verrà riconosciuto tutto il rispetto dovuto a un ex capo di Stato”, come ha assicurato il nuovo presidente Alassane Ouattara, emergono tutti i interrogativi su come verrà gestita la complessa situazione in Costa d’Avorio, dove di fatto si sta aprendo una nuova pagina di storia.
Quello ivoriano è uno stato da sempre, fin da quando ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia, retto da sistemi dittatoriali e caratterizzato da un potere esercitato con la forza su un area densa di popolazioni diverse dal punto di vista etnico e religioso. Per quanto, insomma, la cattura di Gbagbo rappresenti un passo importante per il Paese, non rappresenta la risoluzione ai problemi che attanagliano lo stato dell’Africa occidentale. E Ouattara è ben consapevole della patata bollente che ha tra le mani.
Da oltre un decennio, come si legge sul magazine Slate Afrique, la Costa d’Avorio vive forti tensioni etniche che sono degenerate più di una volta in guerra civile. Le minoranze etniche, culturali e religiose del Burkina Faso, del Mali o della Guinea sono state a lungo escluse dalla vita politica ed economica perché non sono ritenuti non abbastanza ivoriani. Nel 1994, sotto la presidenza di Henri Konan Bédié, l’Assemblea nazionale ha approvato una legge per evitare che queste minoranze aspirino alla presidenza, al fine di escludere Ouattara, ex primo ministro ritenuto originario del Burkina, nelle elezioni del 1995 e 2000. Questo episodio ha iniettato nella vene della società una dose massiccia di razzismo che ha intriso ogni aspetto della vita nazionale. La cittadinanza e i diritti fondamentali, tanto per fare un esempio, sono diventati acquisibili solo a condizione si sia ivoriano di nascita e figlio di due genitori ivoriani. Nel 2002, il disagio causato da questa politica di esclusione e di xenofobia si è trasformato in una vera e propria guerra civile tra la parte settentrionale del paese, ribelle, e il Sud retto dal governo in carica. Anche oggi, molti ivoriani credono che Ouattara, musulmano del Nord, non sia in effetti un ivoriano doc.
Altra questione: la popolarità della figura di Outtara stesso, in quanto è già sospettato di essere dietro ad un fallito colpo di stato nel 2002. Più in generale, la sua collaborazione con gli ex ribelli, così come l’uso della forza militare per eliminare Gbagbo, hanno sporcato la sua immagine di leader democratico e pacifico. Per non parlare del massacro avvenuto nella città occidentale di Duékoué, durante il quale le forze pro-Ouattara avrebbero ucciso centinaia di civili. Se Outtara intende rappresentare tutti gli ivoriani, dovrà indagare quanto prima sui crimini commessi contro i civili e punire i colpevoli, anche se alcuni di loro sono suoi sostenitori.
Terzo nodo: i buoni rapporti che il nuovo presidente ivoriano intrattiene con la Francia. La retorica anti-francese e anti-imperialista, infatti, è stata uno degli strumenti principali utilizzati da Gbagbo per rafforzare il suo regime ed ampliare la sua base di appoggio ed è stata, ovviamente, una delle ragioni per la riluttanza iniziale di Francia a partecipare più attivamente nella risoluzione della crisi ivoriana. Tuttavia, quando il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha scritto a Sarkozy il 3 aprile per chiedere che l’esercito francese intervenisse per protezione dei civili, Parigi si è impegnata con forze di pace delle Nazioni Unite.
Secondo le Nazioni Unite e la Francia, la decisione di bombardare le posizioni strategiche adottate di Gbagbo è stata presa quando le sue truppe hanno iniziato ad usare armi pesanti come mortai e lanciarazzi contro i civili e i quartieri delle Nazioni Unite ad Abidjan. Tuttavia, non sarà sfuggito a nessuno che l’operazione ha coinciso con il fallito tentativo delle truppe pro-Ouattara di assediare la residenza presidenziale Gbagbo. I sostenitori di quest’ultimo possono dunque interpretare l’intervento francese e delle Nazioni Unite come una forma di assistenza a Ouattara, e non come una operazione di protezione civile. Il ruolo centrale della Francia per incastrare Gbagbo (Parigi ha insistito perché firmasse un documento che riconosce la vittoria di Ouattara) non ha certo contribuito a cambiare questa sensazione.
Il nuovo presidente della Costa d’Avorio, insomma, si trova davanti a una questione spinosa. Una soluzione alla situazione caotica, come si legge su Slate Afrique, potrebbe essere quella di formare un governo di unità nazionale con i membri del governo di Gbagbo, senza la sua presenza; ma le esperienze di Kenya e Zimbabwe suggeriscono un esito catastrofico. Un’altra ipotetica soluzione sarebbe quella di modificare la Costituzione in modo da convertire il sistema presidenziale in quello parlamentare, il che lascerebbe più spazio per governi di coalizione. Ma si tratta di un ipotesi irrealistica nell’ottica della classe politica ivoriana.