Dopo le bombe islamiste l’India teme per la sua integrità
07 Novembre 2008
Non si arresta la scia di mortali attentati che negli ultimi mesi ha flagellato l’India. Una settimana fa quattro città dello Stato nord-orientale dell’Assam – compresa la capitale Guwahati – sono state investite da molteplici esplosioni sincronizzate che hanno provocato 77 morti e circa 350 feriti. Bersagli degli attacchi sono stati gli affollati mercati, alcuni tribunali e stazioni di polizia. Tra lo scetticismo degli inquirenti indiani, che hanno già arrestato tre sospettati, gli attacchi bomba sono stati rivendicati dall’"Islamic Security Force-Indian Mujahideen", un piccolo gruppo islamista locale fondato nel 2000.
Nell’Assam, come negli altri sei Stati del nord-est indiano abitati da comunità tribali di origine mongola (Arunachal Pradesh, Mizoram, Meghalaya, Manipur, Nagaland e Tripura), agiscono una miriade di gruppi armati che, dalla nascita dell’Unione Indiana (1947), lottano per affrancarsi da Delhi. L’originario tessuto sociale di questa regione è stato alterato negli ultimi anni dalla vertiginosa crescita dell’immigrazione clandestina (prevalentemente musulmani provenienti dal vicino Bangladesh e hindi dallo Stato del Bihar). Ne è nato un problema demografico, con la popolazione autoctona impaurita dalla prospettiva di divenire minoranza a vantaggio degli ‘stranieri’: un sentimento che ha generato la recrudescenza della lotta indipendentista. Il mese scorso, ad esempio, scontri tra indigeni di etnia Bodo e immigrati musulmani bangladesi hanno lasciato sul campo 57 morti.
Secondo le autorità indiane i responsabili degli attacchi di giovedì sono i miliziani degli "United Liberation Front of Assam" (Ulfa) e di "Harkat-ul-Jihad-al-Islami Bangladesh" (HuJI-B). Tra i movimenti separatisti dell’Assam, l’Ulfa è storicamente il più importante. L’intelligence di Delhi accusa il gruppo terrorista di aver intrecciato forti legami con alcune sigle islamiste in Bangladesh – dove i militanti dell’Ulfa hanno spesso trovato riparo – e con l’Isi, i servizi segreti pakistani. Sin dal primo momento, L’Ulfa ha negato ogni addebito in merito agli ultimi attentati.
HuJI-B è invece una formazione jihadista fondata nel 1992 con la benedizione di Osama bin Laden: il suo obiettivo dichiarato è quello di ‘talebanizzare’ il Bangladesh, trasformandolo in uno Stato islamico. HuJI-B – che ha collaudati collegamenti con i movimenti fondamentalisti del Kashmir – fornisce addestramento ai miliziani dell’Ulfa, ottenendo in cambio aiuto logistico per poter sferrare attacchi in tutto il territorio dell’India, magari in joint-venture con forze islamiste indiane, quali lo "Students Islamic Movement of India" (Simi) e gli "Indian Mujahidden" (Im).
Per la polizia indiana, un ruolo chiave nella vicenda l’avrebbe ricoperto anche Abdus Subhan Quresh (alias Tauqeer), un militante jihadista in stretti rapporti con il Simi. Tauqeer rappresenterebbe l’anello di congiunzione tra gli attentati nell’Assam, quello di Mumbai del 2006 e quelli più recenti che hanno colpito Jaipur, Ahmedabad e Delhi. Sospetti si annidano inoltre sull’Isi e il Dgfi (l’intelligence bangladese): non è una novità per gli 007 indiani che, già nel 2005, avevano ricostruito la rete di contatti tra HuJI-B e l’ambasciata pakistana a Dhaka, capitale del Bangladesh.
“I fatti accaduti nell’Assam dimostrano quanto il nostro governo abbia sottostimato le capacità tecniche e operative dei nemici dell’integrità territoriale e politica dell’India”. Così la pensano la stragrande maggioranza dei commentatori politici indiani, in particolare riguardo alla situazione nel nord-est del Paese, regione ricca di materie prime e di primaria importanza strategica, dove Delhi è impegnata in delicate dispute di confine con
Una delle critiche più accese a Manmohan Singh e al suo governo è quella di essere stati troppo ‘soft’ nei confronti del problema terrorismo. Un’accusa dalla quale il premier indiano si è difeso con forza sabato, mentre era in visita a Guwahati. Singh ha dichiarato che l’India non scenderà mai a compromessi con i terroristi, di qualsiasi specie essi siano, ammettendo, però, che l’intelligence nazionale sta incontrando più di qualche difficoltà nel sradicare il fenomeno.
La popolazione dell’Assam ha criticato pesantemente l’operato del governo locale e di quello nazionale, incapaci di prevenire gli ultimi attentati. La Krishna Advani, leader del "Bharatiya Janata Party" (Bjp), principale forza di opposizione nel Paese, ha parlato di vero e proprio fallimento di Singh nella lotta al terrorismo, chiedendo con forza la reintroduzione del "Prevention of Terrorism Act" (Pota), una stringente e controversa legislazione antiterrorismo introdotta dal Bjp all’indomani degli attacchi alle Twin Tower e abrogata dall’attuale esecutivo indiano nel settembre 2004.
I fenomeni di terrorismo in India si stanno moltiplicando a dismisura e non sono riconducibili al solo jihadismo (con tutte le sue connessioni internazionali e implicazioni geopolitiche). Minacce pressanti giungono dai naxaliti (i gruppi armati maoisti indiani) e, soprattutto, dagli oltranzisti indù. Un mix esplosivo, che rischia di approfondire ulteriormente le divisioni intercomunitarie, rimettendo in discussione i delicati equilibri etnici, religiosi e sociali del Paese.
In particolare, i governanti indiani temono che si inneschi un circolo vizioso – fatto di attentati e successive rappresaglie – tra i fondamentalisti islamici e i gruppi sciovinisti indù. Una prospettiva inquietante che sta emergendo da alcune indagini nello Stato del Maharashtra, dove la polizia indiana ha arrestato pochi giorni fa alcuni individui che si rifanno all’ideologia pan-indù dell’“Hindutva”, sospettati di aver compiuto alcuni attentati a danno della popolazione musulmana locale.
La più grande democrazia del mondo (in termini demografici) pare realmente sotto assedio, incapace di elaborare una risposta concreta alla strisciante ‘balcanizzazione’ del suo ordine politico-sociale. Invece di sedersi allo stesso tavolo per trovare un antidoto a questa minaccia, maggioranza e opposizione sembrano più propense a cavalcarla per un puro tornaconto elettorale, con il "National Congress" di Singh che strizza l’occhio all’elettorato musulmano e il Bjp di Advani che spalleggia la sua base ultranazionalista indù. Un atteggiamento bieco e autolesionista, che fa il gioco di chi soffia da anni (Islamabad) sul fuoco della crisi per destabilizzare l’India e indebolire il suo peso geopolitico nella regione.