Dopo le dimissioni di Sharraf al Cairo si fa il nome di Mohammed El Baradei
21 Novembre 2011
di Andrea Doria
Siamo al quarto giorno di scontri in Egitto. Bilancio provvisorio: quaranta vittime e più di mille e ottocento i feriti. Ieri il governo provvisorio presieduto da Essam Sharaf ha rimesso il proprio mandato e quello del suo governo nelle mani della giunta militare. In questo momento il Supremo consiglio militare presieduto da Mohammed Tantawi sta vagliando la possibilità di affidare l’incarico a un’altra personalità. Secondo l’emittente televisiva ‘al-Hayat’ circolerebbe in queste ore il nome di Mohammed El Baradei, già direttore generale dell’Aiea e probabile candidato alle prossime elezioni presidenziali.
Continuano gli scontri nel paese. Oggi continueranno a manifestare i salafiti del gruppo al-Nour. Gli scontri sono iniziati lo scorso Venerdì quando il neo costituito partito Libertà e Giustizia, la branca politica della Fratellanza musulmana, assieme proprio al partito al-Nour, hanno convocato una manifestazione contro la giunta nella famigerata piazza Tahrir per protesta contro la bozza di Costituzione formulata da Ali El-Selmy, allora vice-premier del governo Sharraf.
Secondo quanto riportato la nuova bozza costituzionale in circolazione in ambienti governativi, tale testo prevede una disposizione che manterrebbe il budget dell’esercito segreto. Non è dato sapere con certezza, ma non è da escludere che dietro alle tensioni tra Fratellanza e il governo Tantawi vi sia uno scontro in merito proprio all’aiuto finanziario che il governo statunitense fornisce all’esercito egiziano.
Dai tempi del trattato di pace tra Israele ed Egitto, gli Stati Uniti sono diventati un sicuro introito d’aiuti per il regime di Sadat prima e il regime di Mubarak poi. Ancora oggi il Dipartimento di Stato statunitense versa alle casse dell’esercito egiziano circa un miliardo di dollari in aiuti finanziari. Non è da escludere che a incendiare nuovamente la piazza cairota sia stato appunto uno scontro tra militari e partiti sul ruolo che Washington dovrebbe giocare nel nuovo Egitto.
Un ruolo, quello degli Usa, evidentemente vissuto come fumo negli occhi da parte dei Fratelli musulmani, i quali neanche troppo velatamente, intendono favorire delle relazioni più cooperative con Teheran, relazioni rese molto conflittuali dal regime di Hosni Mubarak.
La spiegazione "politica" alle rivolte è un buon metro di misura per comprendere ciò che accade ma non è l’unico. Le rivolte di piazza di questi ultimi tre giorni sono anche il risultato dell’immobilismo che vive il paese da oltre otto mesi a questa parte, da quel lontano 11 Febbraio, data della destituzione di Mubarak.
Il paese mediterraneo è ancora attanagliato da una difficile situazione economica, con un altissimo tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile. In più le prospettive di soluzione dell’impasse politica sono rarefatte. Infatti Lunedì prossimo si terrà il primo round di consultazioni legislative per l’elezione della Camera bassa, le quali si protrarranno sino a fine Dicembre.
Con la fine del prima tornata, avranno luogo le elezioni per la Camera alta le quali si dovrebbero protrarre sino a fine Marzo. Finite le elezioni legislative, si dovrebbe procedere alla scrittura della nuova Costituzione. Infine si dovrebbero tenere le elezioni presidenziali le quali secondo opinione diffusa finirebbero per tenersi addirittura nel 2013. Un processo elettorale che durerà molto a lungo e che mina le possibilità che in particolare la Fratellanza musulmana possa emergere come forza del dopo-Mubarak.
Il coro delle forze che chiedono una transizione più breve non si limita però solo alla Fratellanza musulmana o alla componente islamico-salafita. Anche tra i partiti considerati ‘laici’ le voci iniziano a farsi insistenti perché Tantawi e l’esercito ‘tornino nelle caserme’. Ayman Nour, leader del partito Ghad al-Thawrà, ha chiesto che “il potere sia consegnato alle autorità civili al massimo entro il prossimo Maggio”.
Anche Amr Moussa, candidato tra i favoriti alle prossime presidenziali (le quali come detto non è ancora chiaro quando si terranno precisamente) ha dichiarato ieri a sua volta che “il sentimento generale che prevale tra i politici ed i civili è che è necessario eleggere il presidente appena possibile”.