Dopo le urne Erdogan cavalca la Primavera Araba
18 Giugno 2011
Domenica scorsa il premier turco Recep Tayyip Erdogan è stato di nuovo premiato dalle urne con il 52% dei consensi, per quanto non sia riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta che gli avrebbe consentito di modificare la forma di governo in senso presidenzialista senza dover mediare con l’opposizione. Ma Erdogan continua a volare alto, utilizzando la politica estera come strumento per accrescere la sua aura di grande leader all’interno, magari in vista delle prossime presidenziali. E così durante il suo discorso post elettorale si è rivolto urbi et orbi al "neoimpero" ottomano: "Saluto con affetto le popolazioni di Baghdad, Damasco, Beirut, Amman, Il Cairo, Tunisi, Sarajevo, Skopje, Baku, Nicosia e tutti gli amici e i popoli che hanno seguito le nostre elezioni con grande entusiasmo ". Erdogan, infatti, aspira a promuovere la Turchia a primo attore nell’intero Levante. Ibrahim Kalin, consigliere del capo della politica estera turca, ha dichiarato questa settimana al New York Times:"In questo momento, il cambiamento è la chiave per stabilità nella regione. Vedremo molti scambi di ogni genere tra la Turchia e i Paesi dell’area mediorientale dal momento che Ankara è in grado di entrare in contatto con i loro popoli e i loro governi". Effettivamente la Turchia gode di rinomato prestigio e spesso, durante le attuali rivolte arabe, è stata citata più volte come esempio a cui orientarsi per l’aver ben calibrato Islam e democrazia.
Erdogan, oltre ad voler stabilizzare la Regione, punta anche ad assicurarsi la progettazione dell’architettura economica dei Paesi indeboliti dalle proteste di piazza, così da garantire l’opportunità di crescita finanziaria della Turchia. Un obiettivo giustificato dagli eccellenti risultati erariali raggiunti durante gli anni dell’Esecutivo di Giustizia e Libertà, il partito riconfermato alle elezioni di domenica scorsa. Secondo Celalettin Yavuz, vice direttore del Turkish Center for International Relations & Strategic Analysis, il prodotto interno lordo del Paese è triplicato da quando l’A.K.P è salito al potere nel 2002. “Vogliono vedere l’A.K.P. come modello e Erdogan come un leader ", aggiunge Yavuz riferendosi ai popoli del Grande Medioriente e aggiunge: "I regimi dittatoriali di molti paesi arabi possono anche odiarci per questa eccellenza, ma l’influenza della Turchia è sempre più presente nell’immaginario collettivo dei popoli di queste nazioni". Popoli come quello siriano, visto le ultime dichiarazioni dei capi politici turchi: Erdogan e il presidente Abdullah Gül. Pochi giorni fa, infatti, hanno condannato e minacciato il regime di Assad, dicendo di “esser pronti ai peggiori scenari, compreso quello militare per mettere fine ai massacri in Siria”. Una dichiarazione suggerita anche dal fatto che più di novemila persone per sfuggire al repulisti siriano cerca di raggiungere Ankara che non può più contare nemmeno sulla valvola di sfogo della Grecia.
Nel frattempo, in Iran la televisione di Stato questa settimana ha accusato la Turchia di fornire armi all’opposizione siriana. Il fronte contro Teheran potrebbe essere difeso insieme ad Israele -dove gli incursori della Shayetet13 si addestrano per arrestare il tentativo di forzare il blocco navale sulla Striscia di Gaza da parte della prossima Flotilla- e se Erdogan ricomincerà a vedere in Israele un alleato fedele, come quando le due nazioni condividevano numerose operazioni militari, Ankara e Gerusalemme potrebbero essere i migliori interlocutori tra il mondo arabo e l’occidente; le uniche nazioni in grado di bilanciare la crescente l’influenza dell’Arabia Saudita (sunnita) e dell’Iran (sciita).