Dopo lo sgombero a St. Paul, Occupy London resta solo un sogno infranto
28 Febbraio 2012
Alla fine l’hanno sgomberato. Dopo un mese di tira e molla giudiziari la City of London Corporation, che amministra il quartiere degli affari, è riuscita a far smantellare l’accampamento dei dimostranti di Occupy London, allestito nei pressi della cattedrale di Saint Paul perché – come ha motivato David Neuberger, uno dei giudici che oggi ha emesso la sentenza – seppur esista “il diritto all’assemblea e alla protesta sulla strada, non è affatto un diritto illimitato”.
Così il movimento degli indignati made in Uk che dallo scorso 15 ottobre, coralmente ad altri movimenti gemelli di altri Paesi, avevano occupato piazze e strade per protestare contro la finanza internazionale e il capitalismo, ha perso il suo baluardo più importante. E a parte qualche resistenza – 20 persone sono finite in manette – e qualche agitazione perché la cattedrale che li ha ospitati per quattro mesi e mezzo adesso ha permesso alla polizia di fare piazza pulita della ferocia e della determinazione iniziale, ci è rimasto ben poco.
Visto quello che è successo proprio qualche ora fa viene da pensare che quello di Occupy London sia l’ennesimo movimento destinato a essere definito ‘un fuoco di paglia’. Del resto è accaduta la stessa cosa con gli Indignados spagnoli e sta accadendo con l’Occupy Wall Street statunitense, di cui ormai non resta che il vago ricordo delle mani agitate in alto, dei megafoni e di qualche maschera di V per vendetta.
Eppure in Inghilterra sembrava si facesse sul serio. L’autunno scorso “Occupy London” insieme a “Occupy UK”, che vantava tra i suoi supporters personalità del calibro di Thom Yorke dei Radiohead e la celebre stilista Vivienne Westwood, pareva un movimento molto influente e destinato addirittura a estendersi ulteriormente.
Col passare dei mesi però, Occupy ha perso progressivamente vigore. Vuoi perché l’arrivo della stagione fredda ha scoraggiato una fetta di attivisti a dormire in strada. Vuoi perché spentosi il fervore iniziale il movimento, non avendo leader e idee forti, ha perso l’orientamento e ha finito per non sapere più per quale motivo continuasse a occupare in pianta stabile le piazze. Vuoi perché è stato vampirizzato in buona parte da chi vive ai margini della società: un esempio su tutti i senzatetto che sono molto più motivati a ‘colonizzare’ le aree occupate.Fatto sta che delle 30 zone Occupy inizialmente presenti sulla cartina del Regno Unito non restano che poco più che un paio di traballanti esempi: Nottingham, Margate (nel Kent) e Norwich. Recentemente hanno tolto le tende gli indignati di Exeter, Bristol, Edimburgo e i manifestanti assiepati davanti alla cattedrale di Sheffield.
Ma la perdita più importante si è avuta appunto la notte tra il 27 e il 28 febbraio con lo sgombero del campo vicino St. Paul. Nella City rimangono una piccola area a Finsbury Square e un ex tribunale nelle vicinanze. Nulla insomma.
C’è ancora qualche inossidabile non disposto a mollare, come George Barda che dopo l’intervento di qualche ora fa di agenti di polizia e ufficiali giudiziari ha dichiarato alla Bbc: "Non è l’inizio della fine è la fine dell’inizio. La mia preoccupazione è di non consentire alla drammaticità di questo evento di eclissare le questioni enormi e importanti con cui ci fronteggiamo sia noi in questo Paese che miliardi di persone in tutto il mondo". Ma la verità è che il movimento ha perso la sua ragione d’essere ed è destinato a non lasciare neppure strascichi visto l’avvicinarsi dell’evento per cui Londra si sta preparando da tempo: le olimpiadi. Per quella data il ministro degli interni inglese Theresa Mayle ha annunciato che i presidi e gli accampamenti di Occupy dovranno sparire perché c’è il rischio che mettano a repentaglio la sicurezza nazionale favorendo infiltrazioni di gruppi terroristici. Insomma i “british protesters” hanno le ore contate e Occupy London non rimane che un sogno infranto.