Dopo quattro anni i  francesi vogliono un “presidente normale”

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Dopo quattro anni i francesi vogliono un “presidente normale”

11 Febbraio 2011

Si possono imputare molti errori a Nicolas Sarkozy in questi suoi quasi quattro anni di presidenza. È altresì lecito, senza dubbio, criticare il suo carattere a volte irascibile, poco rassicurante e troppo spesso irritante. Ma non si può certo affermare che all’inquilino dell’Eliseo manchino il coraggio politico e il gusto della sfida. Quella affrontata la sera del 10 febbraio scorso su TF1, accettando di rispondere al “fuoco di fila” di nove francesi rappresentativi di differenti ambiti professionali e diversi profili socio-economici, è stata senza dubbio una prova complicata. Memore del buon successo del 25 maggio 2010, con la sua partecipazione ad un format politico simile dal titolo “Face aux Français”, Sarkozy ha nuovamente cercato il contatto diretto con l’opinione pubblica e il corpo elettorale. Due obiettivi principali: ascoltare (e quindi tastare il polso della situazione al di là dei sondaggi di opinione) e proporre di fronte al mezzo televisivo la sua “nuova” immagine, giocarsi insomma mediaticamente le residue carte a sua disposizione e di conseguenza inaugurare, anche se solo implicitamente, la campagna elettorale per il 2012.

Quando si è aperto il sipario su “Paroles de Français” (novità rilevante già nel titolo rispetto al 2010, il Presidente non è di fronte agli elettori per essere giudicato, ma è disposto innanzitutto ad ascoltare le loro “paroles”) Sarkozy non poteva non avere in mente la complicata situazione politico-sociale nella quale si trova il Paese. E più ancora del suo basso (e cronico) livello di fiducia (solo il 29% dei cittadini francesi dichiara di fidarsi di lui) ad impensierirlo sono probabilmente altri dati di carattere più generale, che dipingono un quadro di pessimismo, generalizzata sfiducia negli eletti, frustrazione e generale straniamento. Un recente sondaggio Gallup, condotto in oltre cinquanta Paesi del mondo, ha dipinto i francesi come il popolo più pessimista del globo. Il 61% dei francesi si dichiara pessimista riguardo alle prospettive del proprio Paese nel 2011 e, a novembre, addirittura due francesi su tre ritenevano plausibile un’evoluzione sul modello di quella avvenuta in Grecia. Da un punto di vista poi specificamente politico i partiti sono le istituzioni che ispirano meno fiducia (solo il 13% dichiara di confidare nel loro ruolo) e, più in generale, due francesi su tre dichiarano la loro scarsa fiducia rispetto agli eletti di destra e di sinistra.

Se si osserva poi in maniera più dettagliata la crisi di “adattamento alla mondializzazione” che Parigi sta vivendo a partire dalla fine della Guerra fredda, il quadro presenta tinte piuttosto fosche. Sul banco degli imputati sale, infatti, l’integrazione alla francese, dal momento che un recente sondaggio Ifop ha mostrato che il 42% dei transalpini considera i mussulmani una minaccia per l’identità francese e addirittura il 68% ritiene che questi ultimi non siano bene integrati. Inoltre praticamente due francesi su tre ritengono troppo alta la percentuale di immigrati e infine il tema della “necessaria protezione” non risparmia nemmeno l’economico. Il 40% dei cittadini chiede più protezione per i prodotti francesi e il 54% parla della necessità che sia lo Stato nazionale a trovare risposte alla crisi economico-finanziaria globale. Ebbene se questo è il quadro a grandi linee sul quale si è trovato ad operare l’inquilino dell’Eliseo, Sarkozy ha optato per un intervento condotto su un doppio binario.

Da un lato si è mosso in continuità rispetto agli ultimi mesi: basso profilo, poche promesse, tentativo di entrare in rapporto empatico con il proprio uditorio, desiderio di ascoltare piuttosto che di proporre, grande attenzione e preparazione su tutti i dossier della vita quotidiana, ma allo stesso modo grande professionalità e sforzo nell’incarnare quegli “panni presidenziali”, che aveva cercato di stravolgere nella prima metà del suo mandato. Ecco dunque l’attenzione al tema del lavoro, con la promessa di investire 500 milioni di euro per contrastare la piaga delle disoccupazione (in particolare quella di lunga durata). Ma anche quella del sostegno alle famiglie con malati cronici o anziani (il grande dossier della “dependance”) e quella, molto sentita da una minoranza attiva di peso, come la crisi dell’agricoltura transalpina (da inserire nel futuro negoziato europeo di riforma della Pac).

Dall’altro lato Sarkozy ha scelto però di aprire ufficialmente la campagna elettorale e di conseguenza di focalizzare la sua attenzione sui temi cari al proprio elettorato di destra, nella convinzione che la strada per restare altri cinque anni all’Eliseo passi innanzitutto dall’ottenimento del pieno dei voti del proprio elettorato tradizionale al primo turno. Sarkozy non ha esitato allora ad attaccare i privilegi dei funzionari pubblici e a smorzare le proteste provenienti dalla scuola giudicata “malata di scarsa qualità e non di penuria di finanziamenti”. Si è poi dilungato sui temi della sicurezza, promettendo sforzi maggiori per la piaga della violenza minorile, ma mostrando il “guanto di velluto” con i magistrati in sciopero dopo le sue critiche per la scarcerazione di un recidivo, presunto responsabile dell’assassinio della giovane Laetitia. Infine la stoccata sul fallimento del modello multiculturale, da un lato in linea con le dichiarazioni di Merkel e Cameron e dall’altro per affrontare il delicato (quanto decisivo e non solo a destra) tema del rapporto con l’islam. Dopo la legge sul burqa, le preghiere collettive di rue Myrtha, Sarkozy ha rispolverato il tono categorico e la frase ad effetto: “Oui à l’islam de France, non à l’islam en France”. Nel complesso esercizio riuscito quello dell’inquilino dell’Eliseo? Solo nelle prossime settimane si potrà valutare l’impatto della scelta mediatica di Sarkozy. Da un punto di vista “tecnico”, la trasmissione è stata certamente un successo (fino a 9,6 milioni di telespettatori, con uno share del 34%)

Qualche dubbio in più sulla reale portata e sul reale impatto dell’apparizione televisiva può sorgere se ci si sofferma un minimo sul quadro politico complessivo. I fronti aperti per Sarkozy, da questo punto di vista, sono almeno tre. Innanzitutto quello interno al fronte della maggioranza, che in realtà presenta due incognite. Con la nomina di Jean-François Copé a segretario generale dell’Ump Sarkozy ha puntato su un “cavallo di razza” per rianimare un partito post-gollista piuttosto frastornato dai mesi della presidenza bling bling e forse ancora di più dalla cosiddetta ouverture (non a caso spedita in soffitta con il rimpasto governativo del novembre scorso). L’attivismo di Copé (e la sua ambizione personale) potrebbe creare qualche problema a Sarkozy. Lo spettro del “delfino Pompidou” che a partire dal 1967 “scippa” il partito a de Gaulle, per poi “ucciderlo politicamente” dopo il ’68 e sostituirlo alla presidenza un anno dopo farà probabilmente riflettere Sarkozy. Inoltre il dualismo polemico che si è creato nelle ultime settimane tra Copé e il Primo ministro François Fillon, ricorda le liti tra Lionel Jospin e Laurent Fabius di fine anni Ottanta, nella ricerca spasmodica della successione a François Mitterrand.

A questi sommovimenti si deve poi aggiungere la querelle relativa alla ipotetica (almeno al momento) candidatura 2012 di un “centrista di maggioranza”. Se l’obiettivo di Sarkozy è fare il pieno di voti al primo turno è evidente che una candidatura di centro potrebbe creare problemi. Al momento l’unica candidatura “tollerabile” potrebbe essere quella del radicale Jean-Louis Borloo, in grado di raccogliere al primo turno voti al di fuori dello spazio politico della destra classica.

Il secondo fronte è quello dell’estrema destra. Il passaggio di testimone tra il padre, fondatore del Fn, e la figlia Marine è avvenuto senza grossi scossoni all’interno del movimento e ora sembra procedere l’operazione di “ripulitura ideologica” che la nuova leader sembra voler operare. Anche se la strada che condurrà alla campagna 2012 è ancora molto lunga, l’opinione pubblica sembra apprezzare il tentativo di Marine Le Pen di traghettare nell’alveo repubblicano un partito essenzialmente xenofobo e antisemita così come voluto dal padre. Un francese su cinque si dice disponibile a valutare l’ipotesi di un voto Fn al primo turno. E se più di un francese su due continua a definire Marine Le Pen razzista, il 71% giudica le sue affermazioni “coraggiose”.

Infine un’ultima incognita riguarda l’avversario socialista che Sarkozy si troverà di fronte e soprattutto se le primarie per la designazione del candidato all’Eliseo fissate per il mese di ottobre consegneranno alla competizione elettorale un partito compatto o oppure lacerato tra le molte individualità. Candidato naturale dovrebbe essere il segretario Martine Aubry. Ma al primo segretario del Ps si devono aggiungere due outsider e un peso massimo. I due outsider sono la rediviva Segolène Royal e l’ex compagno François Hollande. Se la prima ha definitivamente deciso di radicalizzare a sinistra il suo discorso politico, Hollande è probabilmente il candidato che all’Eliseo temono di più, in quanto a preparazione sui dossier di politica interna ed internazionale, radicamento sul territorio e capacità di presa mediatica.

Il peso massimo è naturalmente Dominique Strauss-Kahn, attuale presidente del Fondo monetario internazionale, definito da alcuni giornali l’“imam-caché” della gauche. Fino ad oggi nelle simulazioni di voto, che lo presentano come nettamente vincitore in un eventuale ballottaggio con Sarkozy (l’ultima 66% a 34%), ha potuto godere di tre armi, inevitabilmente destinate ad usurarsi: la distanza, il silenzio (non può per mandato del Fmi esprimere opinioni politiche) e la gestione del tempo. La logica della suspense è dettata dalle regole dell’istituto di Washington e da una precisa scelta del suo entourage. Entro il 13 luglio dovranno essere depositate le candidature per le primarie, di conseguenza nelle prossime settimane DSK dovrà fare una scelta. Anne Sinclair, la famosa moglie, ha lanciato un sasso nello stagno dichiarando di disapprovare l’ipotesi di un nuovo mandato per il marito al Fmi. Se DSK diventerà nelle prossime settimane un candidato come gli altri dovrà per forza di cose scendere nell’arena e all’Eliseo attendono questo momento con una certa impazienza. In un quadro in così grande evoluzione le incognite sul terreno sono davvero molteplici e soprattutto richiedono un monitoraggio costante e su differenti piani.

Sarkozy è stato a lungo un presidente che ha cercato di stravolgere (in larga parte senza riuscirci), prima ancora che il Paese, la pratica presidenziale della V Repubblica. Nel 2007 era riuscito ad innovare la campagna elettorale e i francesi lo avevano premiato. E forse sull’onda di quella vittoria aveva scelto il moto perpetuo piuttosto che la gradualità della riforma e la pratica del “monarca repubblicano”. L’impressione è che oggi i francesi cerchino un presidente “normale” in grado di condurre una campagna elettorale “normale” e proporre soluzioni concrete ai problemi del Paese. Sarà in grado Sarkozy di riempire una parola neutra come “normalità” di tutti gli attributi positivi indispensabili per risollevare un Paese e una popolazione in crisi?