Dopo Roma e Torino non è più il caso di ironizzare sul movimento 5 stelle
23 Giugno 2016
di Daniela Coli
Il “partito della nazione” lo stanno facendo i 5 Stelle perché Renzi si è impadronito furbescamente dei temi di Berlusconi, ma il Pd perde nelle città e nelle regioni rosse e il centrodestra non vince né diviso (Roma), né unito (Milano). L’elettorato dell’ex Centrodestra non vota Renzi e il Pd “berlusconizzato”, perché per vent’anni c’è stata una semiguerra civile fredda tra centrodestra e centrosinistra e non poteva funzionare un trasformismo stile fine del regime fascista. E neanche di vera fine dell’era berlusconiana si trattava, dato che il Pd non ha vinto le elezioni nel 2013, e Renzi non è stato eletto.
I cittadini di centrodestra ricordano che per vent’anni sono stati definiti populisti, fascisti, xenofobi, eccetera, dal Pd. Retorica ferrariana a parte, il “rottamatore” Renzi non ha fatto una politica liberale, non ha toccato le corporazioni statali, le lobby nazionali e internazionali del Partito democratico, e se non viene votato dal centrodestra non viene votato neppure più dagli elettori Pd delle periferie, insomma, dai lavoratori, come accade in Francia, dove operai e zone rurali non votano più i socialisti, ma Marine Le Pen.
La sconfitta più eloquente del Pd è quella di Piero Fassino nella Torino della Fiat di Togliatti e degli Agnelli. Fassino, passato dalle lotte di Mirafiori a uomo di fiducia degli Agnelli-Elkann, vince finché poteva erogare lavoro e ricchezza, perde quando la Fiat-FCA delocalizza con sede in Olanda: Fiat in linea col gattopardo Agnelli, famoso per la frase “Se vince lui, vinciamo tutti, se perde, perde solo lui”.
Le vittorie del movimento 5 stelle sono il risultato di cittadini post-ideologici (millennials) o lontani dalle ideologie dell’Ottocento e del Novecento. Se Berlusconi cambiò la politica con la tv, i 5 Stelle usano la rete. Il successo di m5s deriva anche dal disagio della globalizzazione (delocalizzazione e immigrazione) che negli Stati Uniti ha portato a votare Donald Trump e Sanders. Il problema del centrodestra è non avere costruito una cultura liberale, perché il fulcro del liberalismo è la mobilità sociale, l’ascensore sociale, rappresentato dallo stesso Berlusconi,che passa da giovane che canta sulle navi da crociera per guadagnare, a grande tycoon.
Il liberalismo degli intellettuali, accademici e giornalisti del centrodestra (in maggioranza, in realtà, provenienti dal Pci o dal Psi) non ha messo al centro la mobilità sociale, l’ascensore sociale. Uno studio della Banca d’Italia su Firenze dimostra che dal 1427 al 2011 la mobilità sociale è ferma da secoli. Da noi si è discusso di liberalismo come si discuteva del marxismo. Non si è affrontato il problema della globalizzazione, come ha fatto Trump in un’America deindustrializzata, impoverita, e indebitata.
Non è il caso di ironizzare tanto, come fa Giuliano Ferrara, sulla gente che, in una crisi economica come l’attuale, grida “onestà!”, perché pretende onestà dagli amministratori. La rivoluzione di Lutero era fondata sul rifiuto di pagare le indulgenze per la remissione dei peccati. L’Europa centrale e nordica rifiutò di credere di conquistare il perdono di Dio pagando per i propri peccati. Il movimento 5 stelle rappresenta una rivoluzione in questo senso, che finora la destra non ha valorizzato. Per il centrodestra la sfida è dunque affrontare questi problemi e tenere presente la povertà intellettuale del (fu) partito della nazione di Renzi.