Dopo Scajola scoppia anche il caso Verdini ma il Cav. tira dritto (con Bossi)
05 Maggio 2010
Nel giorno in cui Silvio Berlusconi assume l’interim dello Sviluppo Economico dopo le dimissioni di Claudio Scajola, il centrodestra è alle prese con un nuovo fronte: il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini è indagato per corruzione dalla procura di Roma nell’ambito di un’inchiesta sulla realizzazione di un polo eolico in Sardegna.
Se Bersani e Di Pietro attaccano a testa bassa, lo stato maggiore del Popolo della Libertà fa quadrato parlando, come fa Sandro Bondi, di "orientamento che appare rivolto unicamente nei confronti dei rappresentanti di una determinata parte politica", mentre Fabrizio Cicchitto rileva che "si sta determinando un clima generale assai inquietante". Indagini a senso unico, insomma, ma nessuna "congiura", come chiariscono i vertici del gruppo al Senato, Gasparri e Quagliariello smentendo la ridda di voci che per tutto il giorno rimbalzano a Montecitorio alimentando scenari a tinte fosche, sulla cena di Berlusconi con alcuni senatori durante la quale il premier avrebbe usato quel termine descrivendo quanto accaduto negli ultimi giorni
Tesi condivisa dal presidente della Camera Gianfranco Fini e rilanciata da Umberto Bossi con l’aggiunta di un passaggio che serve a stemperare il clima e a dire che il caso Scajola non avrà "alcuno scossone" sul governo che "va avanti" perché "Bossi e Berlusconi vogliono che vada avanti". Un modo per ribadire che la maggioranza è salda e pure per stoppare sul nascere le congetture di chi si avventura in previsioni catastrofistiche: elezioni anticipate e perfino scenari su improbabili governi tecnici che incrociano le voci da giorni in circolazione nel circuito politico-mediatico dei Palazzi che parlano di altri due esponenti del governo che, dopo Scajola, potrebbero finire sulla graticola.
E’ questo il clima che ieri si respirava a Montecitorio nei commenti dei deputati in attesa di votare la fiducia al dl incentivi (la maggioranza vota compatta, oggi il passaggio finale in Aula). Un clima di generalizzata preoccupazione, ben sintetizzato dall’interrogativo di un parlamentare forzista, membro della direzione nazionale: "E domani cosa succederà?". La sensazione di quella che in molti definiscono "una manovra di accerchiamento" nei confronti del Cav. che punta a "colpire gli uomini che gli sono più vicini, prima Scajola ora Verdini" e che dopo il voto alle regionali "ha ripreso vigore" è il refrain nei capannelli dei parlamentari pidielle.
E c’è addirittura chi si spinge a mettere in collegamento l’accelerazione dei magistrati nei confronti di esponenti del governo con il contrasto tra il premier e il presidente della Camera. Fantapolitica, certo, ma anche questo è il segnale del livello di fibrillazione nella maggioranza.
Da Fini, invece, arriva una presa di posizione chiara sulla vicenda che riguarda Verdini (già indagato dalla procura di Firenze) che "no, non si deve dimettere. La storia recente è zeppa di episodi in cui dopo l’avviso di garanzia le accuse si sono dimostrate non sussistenti". Messaggio che viene sottolineato nell’entourage del coordinatore nazionale del Pdl che a Montecitorio parlando coi giornalisti punta l’indice sulla "costante e sistematica violazione del segreto istruttorio" che produce la diffusione di indiscrezioni, voci e anticipazioni degli atti dei magistrati e quando accade questo si sfocia nello sputtanamento generale".
Il punto, per il coordinatore nazionale del Pdl sta proprio in quel "circuito" che anticipa i contenuti dei provvedimenti giudiziari e condanna gli indagati alla gogna mediatica. Verdini sgombera il campo dall’ipotesi di congiure, tuttavia osserva che "il segreto istruttorio è costantemente calpestato. La colpa non è dei magistrati, non è dei giornalisti e allora mi chiedo la colpa di chi è? Quando ci sono dei fenomeni che si ripetono costantemente hanno una loro scientificità e il mio amico Galileo direbbe che si tratta di un fenomeno scientifico".
Verdini assicura che "combatterà fino in fondo e nelle sedi opportune" e che l’avviso di garanzia che ha ricevuto non cambierà le sue convinzioni perché "si apprende dai giornali di essere indagati, ma l’indagato non sa di cosa deve rispondere e a chi deve rispondere. La parità nel processo non esiste, per fortuna che in Italia ci sono tre gradi di giudizio e che ci sono delle garanzie ma c’è anche chi, quelle tutele, vorrebbe ridurle. Per me è pura follia e quello è il partito dei matti".
La cosa che più non tollera è quella di essere descritto come "il capo di un comitato di affari, come un boss mafioso che mette in atto chissà quali trame" e da buon toscano ci scherza su dicendo di essere già andato dal sarto per ordinare un "gessato a righe larghe". Nessun passo indietro da parte sua, perché "non ho l’abitudine, non fa parte della mia mentalità e non ho nessuna necessità di farlo. Eppoi da cosa devo dimettermi? Dal lavoro? Sarebbe difficile. Io vado avanti, sono abituato a cominciare da capo tutte le settimane".
E a chi gli chiede la reazione di Berlusconi alla notizia dell’avviso di garanzia, Verdini spiega che il premier "è un uomo di grande serenità. Da vent’anni è abituato a questo massacro. In questi casi il migliore alleato è proprio lui". Chi ha avuto modo di parlargli in queste ore conferma che il Cav. è intenzionato ad andare avanti senza tentennamenti, contando sull’asse con il Carroccio che lo stesso Bossi ieri ha confermato essere ben saldo, rilanciando il tema che gli sta più a cuore: il federalismo e i decreti attuativi.
Obiettivo di legislatura sul quale la Lega ha investito molto (soprattuto in termini di consenso elettorale) e che il Senatur sa bene di poter centrare solo con Berlusconi premier e in questa legislatura. E’ anche per questo che ieri le punzecchiature di Bocchino al Cav. o le stoccate di Fini (nell’intervista a Sky Tg24, sul conflitto di interessi sulla vicenda de Il Giornale, sul federalismo e sul 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia) sono passate quasi in secondo piano nelle file della maggioranza.
Intanto, sul fronte interno al Pdl, si lavora per verificare le condizioni di una tregua tra Berlusconi e Fini dopo lo strappo di quest’ultimo in direzione nazionale. E’ la mission di alcuni pontieri – esponenti di primo piano del partito, ex Fi ma anche ex An – che stanno tessendo la tela per evitare che le divaricazioni abbiano ripercussioni dirette sull’azione di governo e sui provvedimenti strategici che stanno per approdare in Parlamento.
Contatti tra finiani e berlusconiani ci sono stati anche ieri e che l’esplorazione sia stata avviata lo conferma l’invito alla ripresa del dialogo che Berlusconi ha rivolto ieri sera ad un gruppo di senatori e deputati vicini al presidente della Camera che ha ricevuto a Palazzo Grazioli. Sono i cosiddetti "finiani moderati", alias "le colombe" guidate dal sottosegretario Andrea Augello (a Palazzo Madama) e dal presidente della Commissione Lavoro Silvano Moffa (a Montecitorio), ispiratori di un’area denominata "Spazio Aperto" (una "non corrente" la definiscono) che vorrebbe riunire una serie di parlamentari intenzionati a creare una sorta di aggregazione che faccia da cuscinetto, da camera di compensazione nel teso rapporto tra il premier e l’inquilino di Montecitorio.
Per questo, Augello ieri al Senato ha riunito alcuni finiani per lavorare a un documento che rappresenti la traccia sulla quale intavolare il tentativo di mediazione e in serata ha avuto un lungo colloquio col presidente della Camera. Ma lo scopo è anche un altro: frenare l’ala "oltranzista" dei fedelissimi di Fini capeggiata da Italo Bocchino.
Se il tentativo di mediazione è già in piedi, non è poi così scontato un esito positivo, perché le posizioni restano distanti: Fini sembra molto determinato ad andare avanti nella campagna mediatica per spiegare le proprie ragioni (come ha fatto ieri a Sky Tg24) e il suo braccio destro – Bocchino – ieri ha riunito a pranzo venti deputati e tre senatori che fanno riferimento a "Generazione Italia", la corrente finiana che lunedì ha lanciato la sua strutturazione territoriale attraverso la costituzione dei Circoli, annunciata direttamente da Fini sul web di "Gi".
Di certo, un’accelerazione del livello di scontro interno che nell’ipotesi più estrema potrebbe portare a elezioni anticipate, in questo momento non conviene a nessuno, soprattutto a Fini, ma è un dato di fatto che il solco che si è creato tra lui e il Cav. appare sempre più profondo. Come lo strappo in direzione nazionale ha certificato. E in diretta tivvù.