
Dopo sei anni, parte il processo Cirio ma viene subito rinviato

14 Marzo 2008
A sei anni dal default da 150 miliardi di vecchie lire oggi
è cominciato il processo a Cragnotti e ad altri 32 imputati, tra cui l’attuale
presidente di Mediobanca Cesare Geronzi. Tutti accusati di bancarotta per
distrazione e truffa aggravata ai danni dei risparmiatori della Cirio. Il
processo, come capita spesso in Italia, è stato subito rinviato di due mesi
visto che la cancelleria del tribunale si era dimenticata di notificare gli
avvisi agli imputati della società di revisione Deloitte e Touche che oggi si
chiama Dinthus.
Inoltre l’ex senatore dei Ds Guido Calvi ha lasciato la
difesa dell’ex padrone del gruppo Capitalia, Cesare Geronzi, cosa che potrebbe
fare pensare a un allontanamento politico del Partito democratico dall’uomo che
risanò tutti i debiti del vecchio partito post comunista.
E a Parma, sempre oggi, è iniziato e subito rinviato
anch’esso per difetti di notifica alle parti il processo a Calisto Tanzi,
ancora a Geronzi ed ad altri 27 imputati del dissesto dei bond Parmalat,
fratello quasi gemello di quello della Cirio.
Certo pensare che in Italia processi così importanti
avvengano a distanza di oltre un lustro dagli accadimenti fa riflettere su una
giustizia ingiusta che va a due velocità e utilizza due pesi e due misure.
Ad ogni modo, nel processo romano della Cirio la vera novità
processuale delle prossime udienze sarà l’atteggiamento aggressivo che terrà
(quasi certamente) l’ex presidente della Lazio. Cragnotti ha intenzione di
denunciare in aula sia la congiura delle banche per appropriarsi della Cirio
(dopo aver mandato in default il primo bond e aver impropriamente messo i
titoli Cirio destinati solo alle banche anche nei giardinetti dei
risparmiatori), sia l’assurda gestione dell’amministrazione controllata dai
commissari governativi nominati a suo tempo dall’esecutivo Berlusconi.
Le verità della difesa di Cragnotti dipingono un
quadro diverso e, per certi aspetti, molto più inquietante di quello
accusatorio: il 7 novembre 2002 non doveva esserci alcun default perché non si
è mai visto al mondo di banche che fanno mancare il proprio sostegno a un
gruppo che fatturava oltre mille miliardi di vecchie lire l’anno, con asset
importanti come Cirio, del Monte e Bombril (che all’epoca facevano gola
un po’ a tutti), solo per una “temporanea mancanza di liquidità”.
In particolare a volere la rovina dell’ex presidente della
Lazio, secondo l’ipotesi difensiva, fu proprio la Banca di Roma di Cesare
Geronzi che con un voltafaccia inaspettato non sostenne il rinnovo del bond in
scadenza, determinando come sarebbe avvenuto per qualunque altro imprenditore,
lo stato di default.
Perché questa sorta di complotto creditizio ai danni
di Cragnotti? Occorre ben poca fantasia per capire che facendo fallire un
gruppo industriale alimentare così grande sarebbe stato facile per qualcuno
mettere le mani a buon mercato sopra bocconcini prelibati come quelli su
citati.
Anche il diverso destino dei due principali imputati è assai
significativo: Cragnotti praticamente è quasi in rovina e vive solo del proprio
mestiere di imprenditore vinicolo (peraltro il suo vino nobile di Montepulciano
è assai apprezzato in America e in Cina). Geronzi, invece, nonostante una
condanna in primo grado per bancarotta semplice nell’affare Italcase e il
rinvio a giudizio per il crac della Cirio (per non parlare di Parmalat),
ha preso il posto che fu di Enrico Cuccia a piazza dei Filodrammatici.
Inspiegabilmente, i valutatori delle stesse banche che
avevano provocato il default, e gli stessi commissari governativi, invece di
pensare a come fare per ricavare quanti più soldi possibili dal gruppo Cirio
per risanare la situazione e rifondere azionisti e risparmiatori, compivano una
serie molto discutibile di azioni che sembravano avere come unico faro la
svalutazione peritale dei predetti pezzi pregiati con conseguenti accordi in
perdita.
La Bombril, ad esempio, è sempre stata descritta, anche
nella sentenza di rinvio a giudizio, come una sorta di scatola cinese
vuota. Eppure ancora nel 2007 era quotata nella borsa brasiliana di San Paolo con
oscillazioni per azione dai 7 ai 9 dollari e con un fatturato annuo mai
inferiore ai 600 milioni di dollari. Altro cardine della vicenda è la
configurazione di questa bancarotta “per distrazione”.
Al contrario che per quanto è avvenuto alla Parmalat, ha
sempre sostenuto la difesa di Cragnotti anche nelle sedi civili, i movimenti di
denaro nelle 27 società del gruppo non hanno mai evidenziato manovre per
arricchimenti personali. In altre parole, può configurarsi come illecito il
semplice far passare i soldi dalla Cirio ad altre società del gruppo o
viceversa?
Il nuovo diritto societario approvato con legge del 2005 è
molto più in linea con l’Europa su queste operazioni intragruppo di quello
vigente al momento dell’arresto di Cragnotti.
Il presidente della Lazio storicamente più amato dai suoi
tifosi ha perso lo scorso 14 febbraio un primo round in sede civile.
Il tribunale di Roma lo ha infatti condannato, sempre in
solido con il suo ex banchiere di riferimento Cesare Geronzi, a rifondere la
bella cifra di 300 milioni di euro ai commissari straordinari del gruppo Cirio
per la compravendita di Eurolat. Ma la parola fine su questa vicenda è ben
lungi dall’essere scritta.