
Dopo ‘Ultimo’ e Mori, ora tocca a Contrada

16 Gennaio 2008
Martedì 15 gennaio, il Tribunale di sorveglianza di Napoli, come
già aveva fatto quello di Santa Maria Capua Vetere, rigetta la richiesta di
scarcerazione di Bruno Contrada, l’ex funzionario di polizia e Sisde,
condannato a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex capo
della squadra mobile di Palermo è ritenuto sufficientemente in salute per
rimanere nel carcere militare e scontare la sua pena, accusato, secondo una
sentenza passata in giudicato, da molti pentiti che lui stesso aveva
perseguito, di essere ‘a disposizione’ di Cosa Nostra, in spregio a decine di
testimonianze a lui favorevoli di capi della polizia, prefetti e questori.
Per ironia della sorte il pronunciamento dei giudici napoletani
viene emesso il giorno in cui ricorreva il quindicesimo anniversario della
cattura di Salvatore Riina. Quel 15 gennaio 1993 l’inafferrabile capo dei capi
andava a messa indisturbato, nonostante la caccia che lo Stato gli dava da più
di trent’anni. La sua latitanza finì quando due macchine si
materializzarono dall’ombra, lo affiancarono al semaforo e un uomo lo tirò
fuori dalla sua Citroen ZX bianca dichiarandolo in arresto. Di quell’uomo
nessuno conosce il volto, pochissimi il nome, tutti il nome di battaglia:
Ultimo. Ma come si è sdebitato lo Stato con questo ufficiale dei carabinieri, associato
dalla gente al viso di Raoul Bova, che aveva messo in ginocchio uno dei boss più
inafferrabili e sanguinari, servendosi di pochi uomini invisibili,
considerati scarti dall’Arma? Rinviandolo a giudizio (e poi assolvendolo da ogni
accusa nel febbraio 2006) per il sospetto, pesante come un macigno, di aver
favorito i picciotti che, poco dopo l’arresto di Riina, ripulirono il covo di
via Bernini a Palermo per conto del loro capo appena catturato. Tutto
questo dopo che Crimor, l’unità speciale del R.O.S, era stata sciolta e Ultimo
era stato promosso a salvaguardare le virtù dell’ambiente al Nucleo Operativo
Ecologico dell’Arma.
Non è andata meglio al prefetto Mario Mori, ex capo del Servizio
segreto civile, che ai tempi della cattura di Riina era il generale del R.O.S
che coordinava l’operazione. Mori, oltre ad essere coimputato con Ultimo nello
stesso processo per la mancata perquisizione del rifugio di via Bernini, è
attualmente coinvolto in un’altra indagine della Procura di Palermo che,
concludendo le indagini su di lui lo scorso 4 gennaio, si appresta a chiederne
nuovamente il rinvio a giudizio, con l’accusa di aver agevolato Bernardo
Provenzano ed altri mafiosi che ne gestivano la latitanza, tra i quali Nicolò
La Barbera e Giovanni Napoli, a sottrarsi alle ricerche e ad eludere le
investigazioni dell’autorità.
In Italia non c’è pace per chi ha combattuto la mafia.