Dopo un anno di Monti i vecchi nemici costretti a volersi bene

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Dopo un anno di Monti i vecchi nemici costretti a volersi bene

14 Novembre 2012

Conduco un programma radiofonico su radio 1 da qualche mese dove ospito e intervisto molti politici e ho notato uno strano fenomeno: quando invito a parlare un esponenete del centro-destra e uno del centro sinistra in onda sbocciano convenevoli e regna l’armonia. Se invece invito politici della stessa area è molto più probabile che litighino.

Da qualche tempo insomma, politici e parlamentari di fronti che si sono scannati a vicenda per anni vengono a cinguettare d’amore e d’accordo come fossero alleati da sempre.

Che si parli di legge elettorale, di legge anti-corruzione, di legge di stabilità, la musica è sempre la stessa: pidiellini e democrats si scambiano riconoscimenti di lealtà, di impegno e di profiquo lavoro comune, e quando gli si fanno notare le differenze che pure ci sono, la promessa è quella che si troverà un "buon compromesso".

L’ultimo episodio ha visto protagonisti i due relatori della legge di stabilità: Pier Paolo Baretta e Renato Brunetta. A sentirli sembravano innamorati, si scambiavano complimenti e promesse di fedeltà. Brunetta, di solito scorbutico e sbrigativo, è arrivato a dire, circa un problema che non si era riusciti a risolvere: "lo risolveremo noi se andremo al governo, o lo risolveranno loro, oppure lo risolveranno Brunetta e Baretta se andranno al governo insieme".

Questa reciproca legittimazione tra i partiti, seppure limitata e frutto di una osservazione empirica, mi pare di quache importanza. Potrebbe essere uno dei frutti migliori dell’esperienza del governo Monti. Aver costretto destra e sinistra a governare insieme la zattera Italia nel mare procelloso della crisi potrebbe aver prodotto tra i nemici di sempre una sorta di cameratismo, un rapporto magari brusco ma innegabile.

Forse Monti aveva intuito una similie possibilità d’intesa tra nemici quando nel suo discorso di insediamento al Senato disse: "Governo di impegno nazionale significa assumere su di sè il compito di rinsaldare le relazioni civili e istituzionali fondandole sul senso dello Stato. E’ il senso dello Stato e la forza delle istituzioni che evita la degenerazione del senso di famiglia in familismo, dell’appartenenza alla comunità di origine in localismo, del senso del partito in settarismo".

Se Monti fosse davvero riuscito a trasformare il settarismo in senso del partito avrebbe compiuto la madre di tutte le riforme istituzionali, quella in grado di partorire tutte le altre. Certo è presto per dirlo, e la campagna elettorale ci fornirà ogni giorno mille spunti per essere smentiti. Ma potrebbe essere che quel filo d’intesa tessuto nelle aule di commissione e in quelle parlamentari, nelle ore di lavoro notturno sui testi, tra lo sfinimento delle discussioni e i tramezzini della bouvette divenuti rancidi, si ritrovi più o meno saldo anche dopo il voto.

Perché i partiti tradizionali possano, se vogliono, sopravvivere all’impatto della completa rottamazione grillesca, forse il primo requisito è smettere di rottamarsi tra loro. E se ci riescono dovranno, almeno per questo, ringraziare Mario Monti che li ha costretti a quel matrimonio "contro natura" che proprio in questi giorni celebra il suo primo anniversario.

Tratto da Huffington Post