Dove sbaglia Cameron

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Dove sbaglia Cameron

26 Giugno 2015

David Cameron è senza dubbio un leader bravo e ambizioso e da più parti viene giudicato un modello per il mondo conservatore, ma qualcosa non torna nella sua ultima dichiarazione sull’Italia, quando in sostanza ha detto che la responsabilità delle scene “intollerabili” viste a Calais è nostra.

 

Quel qualcosa non riguarda tanto il merito della dichiarazione di Cameron e la sua presa di posizione: siamo tra democrazie adulte dove ognuno è libero di manifestare il suo pensiero anche a rischio di alienarsi qualche alleato. No, il biasimo nasce da un’altra cosa.

 

Dal brusio di approvazione e soddisfazione che si è levato dagli scranni del parlamento inglese quando Cameron ha parlato di Italia. Un rumoreggiare compiaciuto sugli italiani caciaroni, il riflesso di vecchi stereotipi dal sapore orientalista che pensavamo spariti almeno nella elite brit.

 

Il nostro Paese resta in prima linea nella gestione del fenomeno migratorio dal Nord Africa e su questi temi ci dispiace ma non prendiamo lezioni da nessuno. Per un anno abbiamo affrontato da soli la crisi nel Mediterraneo con la missione Mare Nostrum e continuiamo a presidiare con la nostra Marina militare il confine meridionale dell’Europa.

 

Può sembrare aria fritta per chi come la Gran Bretagna medita un referendum sulla permanenza nell’Unione, un Paese dove è già stata messa in discussione la libera circolazione intracomunitaria, il tutto in nome di ragioni storiche risapute, l’isola e la sua collocazione geografica, lo splendido isolamento, la nostalgia dell’impero, l’immigrazione del welfare, eccetera.

 

Ma il Cameron che oggi stigmatizza l’Italia è lo stesso che qualche mese fa – lo ha detto Nick Clegg – dopo l’ennesima strage del mare si era pentito di aver fatto poco sull’agenda migratoria? Lo stesso che definì tale agenda questione “vitale” per l’Italia? Lo stesso premier che insieme a Sarkozy ormai viene quasi unanimemente criticato per l’avventura libica e i suoi esiti nefasti?

 

Proprio per la stima che abbiamo verso di lui e per le istituzioni inglesi, ci permettiamo allora di suggerire ai parlamentari di Sua Maestà che non basta scaricare le colpe addosso agli altri partner europei per evitarsi un esame di coscienza. Se l’obiettivo in politica interna è quello di allontanarsi dall’Unione, bisogna sapere che si rischia di commettere un errore di portata storica.

 

Il Regno Unito e le altre “potenze” europee da sole potranno contare ancora qualcosa per qualche decennio, rinchiudendosi su se stesse nell’illusione di risolvere i grandi problemi della nostra epoca al riparo della Contea. Ma sul lungo periodo resteranno isolate e schiacciate, troppo piccole per essere competitive nello scenario mondiale fatto di grandi blocchi che si fronteggiano.

 

Servono civiltà forti, e quella europea può esserlo, per affrontare problemi enormi che vanno anche al di là di questioni importantissime come la schedatura degli illegali.